Diaz, polizia condannata, ma il Governo la assolve Sui muri della Diaz, sulla pelle di chi vi fu pestato non c’era sangue rappreso di scontri di piazza. Non fu la «normale perquisizione» che il Viminale voleva far credere mettendo il portavoce di De Gennaro al cancello della scuola invasa e a organizzare la messinscena delle prove false (molotov e attrezzi di cantiere). Tutti colpevoli, dicono ora i giudici, di un massacro premeditato: 60 i feriti, 93 gli arresti illegittimi. Dovevano essere i "black bloc" da dare in pasto all’opinione pubblica sconvolta. «Vi fu una strategia internazionale e governativa per cancellare, con la violenza, il movimento altermondialista - dice Paolo Ferrero, il segretario del Prc - la cui critica del potere fece paura al potere stesso. Il nostro pensiero va a Carlo Giuliani, che questa strategia repressiva ha pagato con la vita. Chi ha diretto quella macelleria anticostituzionale non puòdirigere l’ordine pubblico in Italia». Nove anni dopo, quando i giudici della terza sezione della corte d’appello di Genova hanno letto la sentenza di secondo grado per quella notte cilena qualcuno ha lanciato un grido, qualcun altro ha sorriso con denti nuovi ché quelli veri gliel’avevano spaccati alla Diaz: come per Mark Covell, il giornalista inglese che fu quasi ammazzato, e Lena Zulkhe che fu vista in mondovisione quando uscì in barella senza coscienza. La sentenza, letta poco prima della mezzanotte, ribalta il verdetto di primo grado che aveva assolto i vertici della Ps presenti quella notte di fronte la scuola dove dormivano i no global. Per loro condanne tra 3 anni e 8 mesi e 4 anni e l’interdizione dai pubblici uffici per 5. Nel complesso le pene superano gli 85 anni sui 110 chiesti dal procuratore generale. Solo due dei 27 imputati sono stati assolti. 4 anni al capo dell’anticrimine Francesco Gratteri e all’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi (oggi all’exSisde), 5 all’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, 3 e otto mesi all’ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola (ora vicequestore vicario a Torino) e all’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi, un mese in più a Pietro Troiani. Non sono stati dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi, prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali. Per i 13 condannati in primo grado le pene sono state inasprite. Ad Haidi Giuliani non sfugge il sorriso di Lena, per lei questo esito è un’altra boccata d’ossigeno dopo l’appello di Bolzaneto. La buona notizia è che viene riconosciuta la catena di comando, come nota anche Enrica Bartesaghi, presidente del comitato "Verità e giustizia". «Non è facile capire quanto coraggio abbiano avuto questi giudici , Enrico Zucca, il pm che ha seguito con Francesco Cardona Albini un’inchiesta così difficile - quello che vedi è l’unico modo per impedire che succeda dinuovo». In mezzo alla piccola folla che ha atteso fino a tardi la sentenza c’è il sociologo Salvatore Pallida: «La verità, come Pasolini, la sapevamo tutti ma non esiste in Italia un controllo politico indipendente sull’operato delle forze dell’ordine». Al Genoa legal forum è tempo di bilanci: «E’ stata confermata la nostra tesi che anche i vertici sono responsabili - dice l’avvocato Stefano Bigliazzi - abbiamo ottenuto il risarcimento delle spese di primo grado, l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. E c’è anche il riconoscimento del danno per i giuristi democratici ai quali furono trafugati gli hard disk dei computer». «Riconoscimento tardivo e con scarse implicazioni operative di un prezioso lavoro dei magistrati genovesi», commenta Gigi Malabarba, oggi in Sinistra Critica ma allora capogruppo Prc in Senato e, in quanto tale fuori dai cancelli della Diaz. «Non è accettabile che la difesa della Costituzione e della sicurezza dei cittadini - dice anche Antonio Bruno,consigliere genovese Prc - sia affidata a chi è stato riconosciuto responsabile di reati così gravi». «Il punto - riprende Malabarba - sono tutti coloro che hanno attraversato indenni tutti i governi da oltre dieci anni e hanno stravolto in senso autoritario e paragolpista tutto l’apparato di sicurezza del Paese». Da destra arrivano commenti lapidari e violenti, si parla di vendetta no global, di cittadini disorientati dal ribaltamento, si dice che a essere colpito sarebbe chi fa la lotta alla mafia. A volte sembra di sentir parlare «un esponente di qualche giunta militare del Sudamerica degli anni ‘80», dice il segretario ligure del Prc. Si rivela, da altre inchieste, il legame tra appalti, politica, polizie e barbe finte, «e quanto sia avanzata la sovversione della classe dirigente», indica Andrea Alzetta di Action Roma. «Con le norme che si profilano sulle intercettazioni anche le indagini sul G8 avrebbero avuto il fiato corto», ricorda Marcello Zinola, sindacalista e autore di unadelle prime inchieste sulla polizia di Genova. Poi la doccia fredda: Maroni li assolve. «Resteranno al loro posto» garantisce il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. «Hanno e continuano ad avere la piena fiducia del sistema sicurezza e del Viminale».Checchino Antonini Pdl contro i giudici,le forze dell’ordine non si toccano -I mujaheddin hanno avuto la loro temporanea vittoria-, dice Giorgio Straquadanio, deputato pidiellino della Repubblica. Non parla dell’Afghanistan, commenta la sentenza d’appello per l’assalto della polizia alla scuola Diaz di Genova. Non sono parole in libertà di un peone di Montecitorio. Gli onorevoli del Pdl offrono un’univoca chiave di lettura sulla sentenza di secondo grado sulle violenze e i pestaggi dentro la scuola: i magistrati sono amici dei terroristi, la polizia è al servizio del cittadino. Non è un eccesso di garantismo nell’attesa della valutazione giuridica della Corte di Cassazione, piuttostol’ennesima dimostrazione della frattura che si è venuta a creare nell’Italia di oggi fra i principali poteri dello Stato. Da una parte la magistratura, dall’altra governo e maggioranza, due mondi che non comunicano. Basta fare due passi per Montecitorio e appuntare le dichiarazioni per capire la situazione. Finaini, berlusconiani, leghisti, tutti insieme contro i giudici. «I condannati resteranno al loro posto», chiarisce subito il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Perché questi uomini, insiste, «hanno e continuano ad avere la piena fiducia del sistema sicurezza e del Viminale». E perché quella della Corte d’Appello di Genova «è una sentenza che non dice l’ultima parola». Frasi che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni sottoscrive «al 100%». «Non ho niente da aggiungere se non ribadire la fiducia per le persone che sono state coinvolte e confermare le opinioni espresse e le valutazioni del Viminale», sottolinea l’esponente leghista. Quando si dice il rispetto dellesentenze. Del resto il loro capo, Silvio Berlusconi, è un esperto del genere. Così parte la consueta malinconica gara a chi attacca più rozzamente la magistratura. Succederà una volta di poter rileggere frasi di questo genere nei confronti di pm e giudici. Ecco Isabella Bertolini: «Sembra che a Genova più che un sereno processo si sia svolta una sorta di vendetta in nome dei no global consumata nei confronti della polizia e degli stessi magistrati di primo grado». Enrico Costa, ance lui del Popolo delle libertà berlusconaine, parla di «una faida tutta interna alla magistratura». Jole Santelli: «Visto che sotto processo sono uomini oggi al vertice della lotta alla mafia e che hanno ottenuto clamorosi successi, ciò che è accaduto nel "processo Diaz" non può che lasciare profonda delusione nei cittadini. Intanto la mafia ringrazia». Alè. Per Osvaldo Napoli «quel verdetto è un’ingiuria contro le Forze dell’ordine e un’altra macchia sulla veste sempre meno immacolata della magistratura».Ultimo ma non certo per ultimo Fabrizio Cicchitto, autentico specialista in materia: «Questa sentenza fa propria la tesi dei no-global che è totalmente accusatoria nei confronti delle forze dell’ordine e del tutto assolutoria nei confronti di chi ha provocato danni gravissimi, morali e materiali, alla città di Genova. A nostro avviso quella notte ci furono indubbiamente errori e valutazioni sbagliate da parte di alcuni settori delle forze dell’ordine, ma non ci fu un organico disegno repressivo». Lo vada a dire a chi a Genova c’era - almeno 300mila persone - e che ha visto con i propri occhi quel che è successo. Pd e Idv esprimono un giudizio opposto a quello del Pdl. A suo modo è una notizia. Per Luigi De Magistris, Italia dei valori, -la sentenza odierna attenua in parte- il dolore per la «pagina immonda» rappresentata dalla vicenda Diaz. I senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante parlano di -una pagina di limpida democrazia che ristabilisce lo stato di diritto. Nel2001 eravamo a Genova con migliaia di manifestanti pacifici, e quello fu un episodio di inaudita violenza "di Stato" che calpestò i diritti di centinaia di persone e offese lo stesso onore delle forze dell’ordine-. Fuori dal Parlamento, si fa sentire la sinistra. Per Paolo Ferrero-la sentenza di Genova è importantissima. Sono state riconosciute le responsabilità della catena di comando e non solo degli agenti in giornate vergognose in cui furono cancellati l’habeas corpus e lo stato di diritto in Italia-. E ancora: -Chi ha diretto quella macelleria anticostituzionale non può dirigere l’ordine pubblico-. Invece ci sono state promozioni su promozioni. Una storia italiana, da qualsiasi parte la si guardi. In discussione ci sono le violenze terribili alla scuola Diaz, non le contorsioni dell’avvocato inglese Mills. Eppure i commenti di ministri, sottosegretari, onorevoli deputati e senatori delle libertà seguono lo stesso registro. Da una parte l’attacco ai giudici comunisti, amici deino-global, addirittura dei mafiosi (dice proprio così Jole Santelli). Dall’altra la difesa acritica delle forze dell’ordine, quasi che le opposizioni parlamentari ed extraparlamentari si dedicassero quotidianamente a gettare discredito su polizia, carabinieri, guardia di finanza, ecc. Non è così. E imbastire un pasticcio del genere su una vicenda drammatica come quella del G8 di Genova è anche pericoloso. Purtroppo non è una novità nel paese delle libertà berlusconiane. Frida Nacinovich Ora se ne vadano E’ stato attaccato al telefono e al computer per tutta la sera di martedì e poi fino a notte. Era in viaggio per Pisa, motivi di lavoro non rinviabili. Così, Vittorio Agnoletto ha vissuto da lontano l’attesa della sentenza Diaz. Nove anni fa era il portavoce del Genoa social forum. Si precipitò ai cancelli del dormitorio assalito da centinaia di poliziotti travisati ma, come accadde a legali e parlamentari, fu stoppato da chi ripeteva che fosseuna «normale perquisizione- e che quel rosso che impiastrava volti e vestiti fosse pomodoro e sangue rappreso degli scontri di piazza. Ora racconta di come sia restato tutta la sera in contatto con i genovesi. Fino alla comunicazione commossa: -Tutti colpevoli, tutti condannati!-. Poi subito su facebook. «Non c’è solo la razionalità, c’è anche l’emotività», confessa. Il primo messaggio è stato questo: -"Finalmente un po’ di giustizia! Adesso chiediamo le dimissioni di De Gennaro e di tutti i condannati". E’ stato un messaggio positivo-. Che cosa c’entra De Gennaro con la sentenza di ieri? La sentenza ha tanti aspetti importanti, uno di questi è che non condanna solo i superiori diretti degli esecutori materiali (Canterini e i suoi capisquadra) ma riconosce le responsabilità di tutti i vertici. Si dice, insomma, che non si trattò di uno scatenamento di violenza improvvisa e per poco tempo al di là del portone della Diaz. Si dice che fu un’azione programmata,premeditata. E De Gennaro, allora capo della polizia, ha sempre dichiarato che colpire i suoi dirigenti che erano sul posto sarebbe stato come colpire lui. D’altronde sarebbe impensabile che Gratteri, Luperi, Caldarozzi avessero agito di loro iniziativa, in una situazione del genere, senza informare il capo. Ora, la magistratura s’è fermata al penultimo piano della catena di comando ma in tribunale è stato annunciato già il ricorso contro l’assoluzione di De Gennaro stesso per la presunta istigazione alla falsa testimonianza di Colucci, il questore di quei giorni. Rimuovere i condannati e dimissionare De Gennaro: ha senso chiederlo in questo contesto politico? Questa è una richiesta dovuta perché chi operò alla Diaz è arrivato da allora in posizioni chiave per la sicurezza di tutti gli italiani. A partire da De Gennaro che, grazie al governo Prodi, è capo di tutti i servizi segreti. Non è un caso che, poche ore dopo la sentenza, Mantovano e i vertici del Pdldichiarino che non si sognano di rimuovere chicchessia. Fini e Mantovano, che è stato sottosegretario agli Interni, hanno sempre accusato il movimento per le violenze di Genova e sono i mandanti politici di quella repressione. Oggi c’è un governo fotocopia. Chissà cosa avrebbe dichiarato Scajola, in quei giorni al Viminale, se non fosse alle prese coi suoi guai giudiziari?! Ma una richiesta del genere non può rimanere patrimonio di chi era a Genova. E’ vero, serve una campagna ampia, democratica, che chieda che queste persone vengano allontanate a tutela della collettività, non deve essere una partita a scacchi tra il movimento e loro, ma una mobilitazione vasta a garanzia dei diritti collettivi. Sul terreno istituzionale torniamo a chiedere l’istituzione del reato di tortura e del codice di riconoscibilità per chi operi travisato in servizio di ordine pubblico. Sembra che ci sia una sorta di emergenza sicurezza al contrario. Questo tipo di poliziasarebbe la causa dell’insicurezza. Tutti noi ci sentiamo più insicuri perché ai vertici ci sono persone responsabili di fatti gravissimi. C’entra qualcosa con l’escalation di denunce di abusi di polizia anche fuori dai contesti immediatamente più politici? E’ evidente che il clima è cambiato dopo il clamore dei casi Aldrovandi, Cucchi, Gugliotta. La stampa sembra più libera di parlarne, l’opinione pubblica è più disincantata. Probabilmente questo ha aumentato l’aria da respirare per i magistrati genovesi. Stavolta hanno potuto agire nell’autonomia senza la cappa micidiale che c’era ai tempi della prima sentenza. Purtroppo tutto ciò lo dobbiamo a quei ragazzi morti o pestati e al coraggio delle loro famiglie. Anche stavolta, però, resta fuori il Gsf dall’elenco delle parti lese cui viene riconosciuto un risarcimento. Aspettiamo la lettura delle motivazioni per capire meglio. Forse è successo per prestare meno il fianco allepolemiche ma forse è un errore perché il Gsf ha rappresentato il momento più alto di unificazione e democrazia interna dal dopoguerra. Quel percorso è stato brutalmente interrotto proprio dalla repressione: abbiamo dovuto investire risorse e cambiare le nostre priorità per rispondere alla repressione e affrontare i processi, e a finire in secondo piano sono state tutte le altre tematiche antiliberiste. Il Gsf ha pagato quelle violenze non solo materialmente - i computer e altri materiali distrutti e le persone picchiate - ma c’è stato un prezzo fortissimo in termini di identità: a un certo punto siamo diventati quasi autoreferenziali. Vuoi dire che da quelle giornate violente è iniziato il declino del movimento no global? In realtà allora c’è stata una reazione immediata, siamo riusciti a produrre il social forum a Firenze, ma certo la scala delle priorità e l’uso delle risorse - e dunque anche il nostro percorso - ne hanno risentito fortemente. Ampi settorifurono molto spaventati dalla repressione e non ci hanno seguito su quella strada, penso a tutta l’area di Lilliput. Dunque la risposta alla domanda è: sì. Pensa se fossimo arrivati ad affrontare questa crisi globale con un movimento che sapeva parlare ai ceti popolari, che fosse una forma di educazione di massa. Invece ci siamo dovuti occupare della difesa di noialtri. La sentenza di ieri rafforzerà il percorso per affrontare il decennale del 2011 in modo non rituale, la prima riunione ci sarà sabato prossimo e partiremo da due elementi: avevamo ragione, ora ci riprendiamo le nostre ragioni. Purtroppo sembra, stando alle reazioni sulle agenzie, che il dibattito politico stia prendendo un’altra piega. Il centrosinistra sta zitto o balbetta e la destra è aggressiva, molto, con la magistratura. In fondo la destra rivendica come suo quello che è accaduto ed emerge un’idea inquietante di impunità di stato per qualcuno, che sia la polizia o il premier.C.A.
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