Magari le lucciole di Pasolini torneranno...
 







Tonino Bucci




Nove mesi prima di finire assassinato su una spiaggia di Ostia Pasolini aveva pubblicato sul Corriere della Sera un articolo sulla situazione politica dell’epoca. Non una di quelle esibizioni di retorica sui leader di Palazzo che vanno tanto di moda sui giornali di oggi. L’articolo (datato primo febbraio) aveva per titolo Il vuoto del potere in Italia ma tutti i lettori pasoliniani lo ricordano come l’articolo sulla scomparsa delle lucciole . Oltre la metafora poetica si cela uno sguardo sferzante, profetico, persino disperante sulla società italiana. L’articolo è un lamento funebre o, se si vuole, il suicidio di un amore che fino a quel momento il poeta aveva nutrito per un’Italia ritenuta capace di resistere al Potere, al conformismo, al neocapitalismo. Pasolini aveva amato - spasmodicamente, non è una forzatura - l’Italia popolare, nei gesti, nella mimica, nei dialetti, persino nel corpo della quale aveva intravisto il perdurare di culture e mitiarcaici che mai e poi mai - sperava - avrebbero ceduto di fronte all’ondata disumanizzante del consumismo. L’Italia contadina, quella dei sottoproletari, dei borgatari, delle tante Napoli da terzo mondo non ancora conquistate alla modernità neocapitalistica, delle culture popolari, comunista e cristiana.
Ecco quel che scriveva Pasolini, quel giorno sul Corriere : «Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo abbastanza straziante, del passato)». Può sembrare un testo evocativo, l’esercizio stilistico di un poeta che per descrivere l’Italia ormai industrializzata giochi a civettare con l’ecologismo. E invece no, non c’è nessuna intenzione di addolcire la violenza di un fenomeno che agli occhi di Pasolini staavendo effetti molto più devastanti del fascismo, quello del ventennio. Dissimulata sotto la crescita del benessere il consumismo sta cambiando la pelle e i corpi degli italiani, persino il loro modo di desiderare. «Il fascismo - continua Pasolini - proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è completa».
Sono passati venticinque anni ma la carica profetica rimane invariata, oggi come allora. Un filosofo francese, studioso di teorie del visuale, di figuratività e di immagini, ha pensato di dedicargli un libro. Parliamo di Georges Didi-Huberman, autore di Come le lucciole (Bollati Boringhieri, pp. 112, euro 16), unsaggio disincantato, privo di illusioni rispetto al buio (o se si preferisce alla luce accecante) dei tempi che viviamo, quasi un pamphlet, a giudicare dal sottotitolo Una politica delle sopravvivenze .
Le lucciole compaiono nell’ Inferno dantesco, ventiseiesimo canto, per la precisione, quello in cui Dante relega i politici corrotti dell’epoca, i notabili fiorentini, attorniati da fiammelle che paiono lucciole, appunto. Pasolini, quando è ancora uno studente universitario, riprende e capovolge la metafora. Sono i giorni e le notti di fine gennaio 1941. Ci sono i potenti riflettori della propaganda puntati sul Capo, su Mussolini, una luce accecante che impedisce ogni altra visione. Ci sono anche i fari delle torri di guardia che danno la caccia al nemico nell’oscurità dei campi. «E’ un’epoca in cui i consiglieri fraudolenti (quelli raccontati da Dante, ndr ) sono in piena gloria luminosa, mentre i resistenti di ogni sorta, attivi o "passivi", si trasformano in lucciole fugaci,costrette a emettere i loro segnali nella maniera più discreta possibile. L’universo dantesco è dunque capovolto: ormai è l’inferno a essere in piena luce, con i suoi politici corrotti, sovraesposti, orgogliosi. Le lucciole, invece, tentano come possono di sfuggire alla minaccia, alla condanna che ormai colpisce la loro esistenza». Troppo scontato leggervi un’analogia col presente. Per quel riguarda il giovane studente Pasolini, le lucciole sono l’immagine a intermittenza dei corpi innocenti, amorosi, vitali. «Tutta l’opera letteraria, cinematografica e persino politica di Pasolini sembra attraversata proprio da questi momenti di eccezione in cui gli esseri umani diventano lucciole - esseri luminescenti, danzanti, erratici, inafferrabili e, come tali, resistenti - sotto il nostro sguardo meravigliato». L’innocenza ha il volto e il corpo, ad esempio, di Ninetto Davoli che si muove aggraziato per le vie affollate di Roma (nella Sequenza del fiore di carta , del 1968). Ma Dio alias ilPotere non gradisce gli innocenti. «L’innocenza è una colpa, l’innocenza è una colpa, lo capisci? E gli innocenti saranno condannati, perché non hanno più il diritto di esserlo. Io non posso perdonare chi passa con lo sguardo felice dell’innocente tra le ingiustizie e le guerre, tra gli orrori e il sangue».
Il potere non è nelle vuote stanze del palazzo democristiano - o nei Berlusconi, nei Fini, nei Casini. Il vero Potere è nell’apparente libertà di tutti, nella falsa tolleranza, nella felicità piccolo-borghese a portata di tutti, sotto la quale si nasconde un cinico meccanismo di distruzione di culture. Il Potere è il mercato, il consumismo, il Neocapitale. La tragedia - scriverà Pasolini - è che non ci sono più esseri umani, «ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra». «Il vero fascismo» è «questa assimilazione totale al modo e alla qualità della vita della borghesia». E’ sotto gli occhi di tutti ma nessuno lo vede, «il comportamento coatto del potere dei consumi»- compriamo, viviamo, desideriamo tutti allo stesso modo - ha deformato «la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione». Un genocidio culturale.
Per il Pasolini degli ultimi anni il colpo è duro. Per chi come lui ha amato il popolo e si è messo - nei romanzi, nella poesia, nel cinema - alla ricerca di eroi borgatari della sopravvivenza, come Accattone , significa suicidare il proprio amore. «Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone». I sottoproletari che dovevano apparirgli fatti di un’umanità destinata alla sopravvivenza, eroi - come tali - della resistenza politica al Potere dei consumi, si sono sgretolati. «Insieme con l’immagine delle lucciole è tutta la realtà del popolo che, agli occhi di Pasolini, sta scomparendo». Gli italiani, scrive il poeta, «sono divenuti in pochi anni un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma,naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l’avevo amata». Non ci sono più corpi innocenti da contrapporre alla massificazione culturale e commerciale, alla volgarizzazione della realtà.
Ma un conto è indirizzare lo sguardo, senza infingimenti e illusioni, contro la macchina totalitaria, «un altro accordarle così rapidamente una vittoria definitiva e senza riserve». Si può amare Pasolini, ma non per questo fossilizzarlo nell’icona di un pessimismo apocalittico. Non occorre pensarla come Giorgio Agamben e figurarsi l’umanità incapace di fare esperienze e comunicarle. «La giornata dell’uomo contemporaneo - scriveva Agamben in Infanzia e storia , pressapoco negli stessi anni di Pasolini - non contiene quasi più nulla che sia ancora traducibile in esperienza. L’uomo moderno torna a casa alla sera sfinito da una farragine di eventi - divertenti o noiosi, insoliti o comuni, atroci o piacevoli - nessuno dei quali è peròdiventato esperienza». Invece no, dovremmo affermare sulla scia di Didi-Huberman, quale sia la potenza dei regni, foss’anche la pervasiva società dello spettacolo e delle merci, che «l’esperienza è indistruttibile, anche quando si trova ridotta ale sopravvivenze e alle clandestinità di semplici bagliori nella notte».









   
 



 
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