L’Aquila città ferita si mobilita
 







Daniele Nalbone




Il 6 aprile 2009, alle ore 3.32 l’Aquila viene colpita da un sisma di grado 6,3 della scala Richter che colpisce 57 comuni. Muoiono 308 persone. Oltre 55mila gli sfollati. Circa 10mila gli edifici inagibili. Poche ore dopo, Guido Bertolaso, capo del dipartimento della Protezione civile viene nominato commissario delegato, «esautorando, di fatto» sottolineano gli aquilani «gli enti locali».
Mentre i soccorsi continuano a scavare tra le macerie, mentre gli aquilani cercano di recuperare una parvenza di quotidianità all’interno dei campi militarizzati, il 23 aprile il premier Berlusconi annuncia lo spostamento del G8 dall’isola della Maddalena a L’Aquila. Cinque giorni dopo, il 28 aprile, il governo emana il decreto Abruzzo che, disponendo la copertura finanziaria per la ricostruzione, stabilisce la realizzazione urgente di abitazioni: si tratta del famoso progetto C.a.s.e. (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili), per la cui edificazioneviene autorizzata una spesa di 700 milioni in due anni «in deroga» denunciano gli aquilani «a leggi urbanistiche, piani regolatori, piani paesistici e, soprattutto, alla legge sugli appalti».
Mentre L’Aquila, in particolare la caserma di Coppito, si prepara ad ospitare i grandi della terra e le loro first ladies, mentre iniziano i lavori per le C.a.s.e., il 16 giugno oltre 1500 aquilani manifestano a Roma contro il decreto Abruzzo che spalma la copertura finanziaria della ricostruzione su 24 anni e per chiedere un maggiore coinvolgimento degli enti locali e della popolazione in scelte determinanti, e durevoli. Come, appunto, quella del progetto C.a.s.e..
Dall’8 al 10 luglio L’Aquila ospita il G8. Costo totale del summit, senza tener conto delle spese per gli appalti de La Maddalena, 327,5 milioni di euro, tra le quali, solo per fare un esempio, 22mila euro per 45 ciotoline d’argento marca Bulgari o 25mila euro per la fornitura di accappatoi e asciugamani. Oltre a 18 milioni dieuro elargiti a Finmeccanica per la fornitura di materiale per la sicurezza.
Passate le ferie estive, il 15 settembre, il premier Berlusconi torna sul set de L’Aquila per consegnare le chiavi del Villaggio di Onna: «il crono programma del governo» spiega il commissario Bertolaso «è stato rispettato puntualmente». Peccato, però, che il villaggio sia stato finanziato dalla Croce rossa e realizzato dalla Provincia di Trento.
Quarantotto ore dopo lo show televisivo, il 17 settembre, la Protezione civile annuncia lo smantellamento delle tendopoli senza spiegare quale sarà la fine dei cittadini che vi vivono. O meglio, sopravvivono «con gravi lesioni di diritti fondamentali di associazione e di espressione» spiegano gli aquilani. Il primo a essere smantellata è l’accampamento di Piazza D’Armi. In risposta, la signora Pina Lauria si barrica nella sua casa inagibile: «Vergogna» urla dal balcone «il progetto C.a.s.e. è un fallimento del governo Berlusconi».
Ma del fallimento, sullereti televisive, non c’è traccia. Così come non c’è traccia del corteo cittadino che sfila, il 29 settembre, fino a Piazza d’Armi per richiamare l’attenzione sulla reale situazione della città, ancora un cumulo di macerie: le telecamere sono tutte impegnate a riprendere la consegna di alcuni appartamenti (appena 400 su 6mila) del complesso C.a.s.e. di Bazzano.
Ottobre. L’inverno è alle porte. Le C.a.s.e., che serviranno appena un terzo degli sfollati, non sono ancora pronte. La città rischia definitivamente lo spopolamento. Intanto, mentre 5800 persone sono ancora rinchiuse nelle tendopoli, 5mila persone rimangono confinate negli alberghi lungo la costa, a decine di chilometri dalla loro terra. Per ognuna di loro il governo versa 55 euro al giorno, per un totale di 275mila euro al giorno.
Intanto, in un maxiemendamento alla finanziaria in discussione in Parlamento, per gli aquilani si profila, dal primo gennaio 2010, il rischio di dover tornare a pagare tasse, tributi econtributi. Per questo oltre mille persone, il 10 dicembre, si riversano a Roma, sotto Montecitorio. Ma a tener banco, oltre alla richiesta di una proroga della sospensione, sono le denunce della reale situazione in cui versa L’Aquila e gli aquilani: il 2009 sta per terminare e ad otto mesi dal sisma ai 12.646 alloggiati nelle C.a.s.e. o nei moduli abitativi provvisori fanno da contraltare ben 17.566 persone sistemate in alberghi, caserme, case private, di cui 13.297 fuori dalla provincia de L’Aquila.
Così, in attesa dell’inizio della reale ricostruzione e di una casa vera, il 2009 aquilano termina con alle porte la consegna delle ultime C.a.s.e.. Entro febbraio 2010 verranno consegnati gli ultimi appartamenti. L’intervento governativo si può quindi riassumere in 184 edifici da circa tre piani ciascuno, per un totale di 4600 appartamenti in cui troveranno rifugio 17mila persone su un totale di 40mila sfollati. Il tutto, per una spesa di oltre 625 milioni di euro. Facendo quindi duerapidi conti, si viene a scoprire che il prezzo di ogni appartamento ( circa 45mq) è di quasi 136mila euro. Ben 2.850 euro al metro quadro a fronte di un costo medio di costruzione, per un edificio a norma antisismica, di 1.200 euro/mq.
«È questo» commentano i terremotati, in quel momento ancora all’oscuro delle inchieste della magistratura di Firenze e di Perugia «il primo, vero miracolo aquilano».
Il 2010 del "miracolo aquilano" si apre con la consegna delle ultime C.a.s.e..
Giornali e telegiornali raccontano di un’emergenza ormai al termine, di una città pronta a ripartire, di un governo miracoloso. Ma l’11 febbraio, mentre monta la protesta contro la Protezione civile che un decreto legge, il 195, vuole trasformare in società per azioni, la magistratura di Firenze pubblica il testo dell’ordinanza che porta all’arresto dell’imprenditore Diego Anemone, presunto corruttore nei confronti del sottosegretario Guido Bertolaso e di altri pubblici ufficiali per ottenerefavoritismi negli appalti delle grandi opere. Quali? Ovviamente, quelle relative al G8 de La Maddalena, ma anche quelle per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e, piovuto come un dono dal cielo, del terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto L’Aquila. Contro Anemone ci sono delle intercettazioni che scomode è dir poco: una su tutte, la famosa telefonata, pochi minuti dopo le 3.32 di quel 6 aprile, tra gli imprenditori Piscitelli e Gagliardi (i due sono cognati): «Alla Ferratella (sede del dipartimento per il Turismo al quale fanno capo gli appalti in questione, ndr ) occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto al giorno» dice Gagliardi. «Lo so» risponde Piscitelli ridendo. «Stamattina» ribatte Gagliardi «ridevo alle tre e mezzo dentro al letto».
Partendo da Diego Anemone, la magistratura fiorentina stana una vera e propria "cricca" che coinvolge l’intero dipartimento di Protezione civile e getta ombre sul suoruolo chiave nella gestione degli appalti, tanto dei grandi eventi quanto delle grandi emergenze. «All’oscuro del "vuoto di diritto" creato dall’emergenza» denunciano gli aquilani «si è formata una vera consorteria affaristica di cui fanno parte imprenditori, alti funzionari dello stato, giudici amministrativi, addetti ai controlli "interessati" agli affari dei controllati».
Forti delle inchieste della procura, domenica 14 febbraio circa trecento aquilani, indignati, forzano per la prima volta la zona rossa per mostrare a tutta l’Italia l’immobilismo della rimozione delle macerie. Altro che ricostruzione. Il patrimonio abitativo e artistico aquilano giace in stato di totale degrado. Le piazze e le vie del centro storico sono abbandonate. Le macerie la fanno da padrone.
Intanto lo scandalo legato alla cricca e le mobilitazioni dei cittadini e di una parte, quella senza bavaglio, della stampa riescono a far stralciare la riforma della Protezione civile in spa. A sancire questavittoria, il 18 febbraio, migliaia di persone, provenienti da L’Aquila, ma anche dalla Campania, manifestano sotto al Parlamento assieme ai Vigili del Fuoco. Al "miracolo aquilano", quello dell’emergenza sisma, si somma il "miracolo campano", quello dell’emergenza rifiuti. È il No Bertolaso day. Ma, soprattutto, è il giorno della richiesta di una nuova Protezione civile, attenta non agli affari ma alla previsione e alla prevenzione delle tragedie.
Il 21 febbraio è, invece, la giornata della "protesta delle chiavi": centinaia di aquilani appendono le chiavi delle loro case alle reti che delimitano quella che, oggi, è la zona rossa: il centro storico de L’Aquila. È qui che inizia ad aggirarsi l’idea di autorganizzarsi per far rivivere la città. È qui che, di fatto, nasce il Popolo delle Carriole. Il 28 febbraio, dopo una serie di assemblee preparatorie, 6mila aquilani tornano a forzare la zona rossa. «I cittadini, schierati in due ali di folla» ricordano i terremotati «consentono ilpassaggio di secchi pieni di terra, macerie e detriti mentre altri continuano a depositare nelle carriole materiali da recuperare perché utili alla ricostruzione».
Mentre dal governo si fa tanto parlare dell’accordo raggiunto, il 3 marzo, con il ministero dell’Ambiente per la rimozione, indifferenziata, delle macerie dal centro storico, i cittadini continuano ad autorganizzarsi: il 28 marzo il popolo delle carriole, come ogni domenica da quel 28 febbraio, torna a forzare la zona rossa. Solo che stavolta è il giorno delle elezioni amministrative e per questo la questura nega l’autorizzazione alla manifestazione con la motivazione che le carriole sono, in realtà, un simbolo politico. Per questo, mentre migliaia di persone continuano a ripulire la loro città dalle macerie, le autorità sequestrano tre carriole e identificano decine di cittadini.
Stremati e vessati, ma tutt’altro che decisi a fermarsi, i terremotati decidono che è arrivato il momento di alzare il tiro: non bastanole macerie per mostrare la vera immagine de L’Aquila. Servono gli aquilani in carne e ossa. Intanto accade che Franco Gabrielli, ex direttore del Sisde, dal 6 aprile 2009 prefetto de L’Aquila, viene nominato vice di Bertolaso alla Protezione civile (17 maggio). Quindi, accade che il neoprefetto de L’Aquila, Giovanna Iurato, riceve un avviso di garanzia nell’inchiesta sugli appalti per la sicurezza con l’accusa di turbativa d’asta in relazione all’appalto per il centro elaborazione dati della polizia aggiudicato a un consorzio della Elsag Datamat, società di cui il marito di Iurato è un dirigente (2 giugno). Infine, ciliegina sulla torta del miracolo aquilano, la Commissione grandi rischi riunitasi il 31 marzo 2009 viene indagata per omicidio colposo (3 giugno).
Arriva così il 16 giugno. Nel più totale silenzio mediatico, ventimila aquilani manifestano per le vie della città, arrivando a bloccare l’autostrada A24 per due ore, per protestare contro la manovra finanziaria del governoche vuole che i cittadini del cratere tornino a pagare, dal 1 luglio, i contributi fiscali, restituendo anche per intero gli arretrati non versati. Fomentati dall’omertà mediatica, centinaia di aquilani decidono di partecipare, il 24 giugno, al Consiglio comunale straordinario de L’Aquila in programma a Roma, a piazza Navona. Dopo aver protestato, con i loro amministratori, per la mancanza di liquidità nelle casse dei comuni del cratere, i cittadini si spostano sotto la sede della Rai, in viale Mazzini, per denunciare l’oscuramento calato su L’Aquila.
La repressione finale, le manganellate contro i cinquemila aquilani giunti a Roma mercoledì scorso, 7 luglio, è cronaca.
Così, il bilancio finale di quindici mesi di "miracolo aquilano" parla di una perdita di 5600 posti di lavoro solo nel 2009 con, oggi, circa 7mila lavoratori in cassa integrazione, la metà dei quali a causa del sisma. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi e i professionisti, invece, stimabili intorno allemille unità nella sola area urbana, per loro non c’è alcuna certezza, né strumenti, per poter riavviare la propria attività. Per non parlare delle oltre duemila imprese commerciali e artigianali presenti, fino alla sera del 5 aprile 2009, sul territorio aquilano e che creavano un volume d’affari medio annuo tra i 230 e i 250 milioni di euro. Di questi, solo 150 unità hanno trovato una nuova collocazione.
E se, tra chi è in affitto, chi all’interno del progetto C.a.s.e. e chi nei moduli abitativi provvisori (dai quali sono stati esclusi single e giovani coppie senza figli), al 1 luglio 2010, risultano alloggiate 18.817 persone, ben 25.534 persone risultano abbandonate a se stesse chissà dove nella regione, beneficiarie solamente del contributo di autonoma sistemazione (pari a 200 euro).
Figuriamoci se chi ha subito tutto ciò dal governo del "fare", può fermarsi, ora, davanti ai cordoni del governo del "reprimere".









   
 



 
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