Berlusconi pranza da Previti e prepara la strada alla crisi
 











Metti un venerdì a pranzo da Cesare. Non che ieri Silvio Berlusconi abbia invitato a pranzo alcuno, tanto meno qualche «vecchio ubriacone»: semplicemente, si è incamminato a piedi da Palazzo Grazioli e, facendo in modo così che tutti i reporter possibili potessero testimoniarlo, a pranzo è andato lui a casa d’un Cesare. Che poi era, nella sua magione di Piazza Farnese, niente meno che Cesare Previti. Un’immagine, in verità, di qualche effetto: specie in un giorno segnato dalla replica scatenata di Angelino Alfano all’intervista a Repubblica in cui il segretario del Partito democratico aveva indicato come priorità -liberarsi di Berlusconi-, ciò che gli ha meritato dal ministro della Giustizia e da un successivo stuolo di corifei del Pdl la taccia di «violento».
Per il resto, il Cavaliere ha utilizzato l’attenzione suscitata dal pranzo chez Previti per qualche aggraziato sberleffo nei confronti dei -giornali-. Così, infatti, ha risposto alledomande di scenario politico dei giornalisti schierati ad accoglierne l’uscita dalla casa dell’amico: -Succede quello che scrivete voi. Siccome la realtà è quella che raccontano i giornali, allora io leggo i giornali e mi adeguo alla vostra realtà-. Con buffetto d’accompagnamento: -Beati voi, che andate in vacanza... Io passerò solo qualche giorno ad Arcore-. E così, l’immagine d’un governo dedito all’avvio preventivo della campagna elettorale, è confermata dal capo in persona.
D’altronde, la -realtà- che -i giornali- raccontano è questa: ed è appunto il racconto d’un orientamento politico sempre più evidente. A confermarlo ulteriormente, l’altro incontro che il Cavaliere ha avuto ieri pomeriggio: quello con Francesco Storace, leader de La Destra. Il quale Storace, al termine, ha dichiarato secco: -Quello che posso dire e che si va verso un’alleanza-. La cui natura elettorale è resa evidente dal paragone che fa Storace stesso: -Nel 2008 la impedì Fini-. Con la chiosa al veleno: -Manon mi pare sia più nelle condizioni di porre veti-.
E poi, c’è addirittura un ministro a confermare il -piano dei 4 punti- svelato ieri dal Corriere della Sera che ha anticipato la mossa fissata per settembre al vertice di Palazzo Chigi di giovedì: chiedere la fiducia su una risoluzione di programma di governo su giustizia, fisco, federalismo e Mezzogiorno, e su questo inchiodare i finiani alla scelta definitiva. Il ministro è quello all’Attuazione del Programma, non a caso, il neo-dc Rotondi. Ulteriore conferma del -quattro punti- giunge dal capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto. E l’unico finiano a rispondere nel merito è in realtà un altro componente del governo, il viceministro allo Sviluppo (dicastero ancora privo d’un successore di Scajola), Adolfo Urso: per lui -ora le elezioni sono decisamente più lontane-.
C’è da dubitarne, visto che a scrivere la -mozione programmatica- su quei fronti così sensibili saranno gli uomini di Berlusconi e quelli della Lega. Contutto il peso poi di quanto detto dal braccio destro di Bossi, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: il quale a Libero ha consegnato che qualsiasi governo di transizione -sarebbe una truffa eversiva- e, di più, che -è possibile votare a novembre-. Oltre ad annotare che, -se lo diventasse per decisione degli italiani con le elezioni-, allora -Tremonti sarebbe un ottimo premier-. Risposta piuttosto definitiva ai tentativi d’abbordaggio di Bersani. Ribadita dal braccio sinistro del senatùr, Roberto Calderoli ministro per la Semplificazione: che rilancia la qualità di -legislatura costituente- per questa in corso e avverte come -chi volesse interrompere questo percorso-, culminante ovviamente nel federalismo, -se ne assumerà le responsabilità rispetto ad un popolo che lo condannerebbe alla morte politica ed elettorale-.
Sul fronte d’opposizione, oltre a Di Pietro nel campo parlamentare, ad insistere a raccogliere la sfida elettorale è Nichi Vendola. Per il quale è -positivo-l’appello di Bersani a convergere per superare il berlusconismo, ma quanto a -ci vorrebbe un governo capace di fare solo riforma elettorale e legge sul conflitto d’interessi-. E qui la domanda, retorica: -Ma dov’è una maggioranza disponibile a mutare la legge elettorale, quando già dentro il Pd ci sono idee diverse?-. E quanto al no di D’Alema sulla sua candidatura alle primarie, una staffilata: -Sono contento che abbia già fatto una dichiarazioni di voto. Vuol dire che per le primarie si voterà-.
redazione politica









   
 



 
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