Cnr in rivolta, rischiano in 4mila "La ricerca non è un costo, è una risorsa": è questo lo striscione che campeggia sulla facciata del palazzo del Cnr, dove, in una Roma deserta, centinaia di ricercatori si sono riuniti in una manifestazione contraria al nuovo statuto del centro nazionale di ricerca, in discussione proprio ieri. Secondo i ricercatori e i sindacati Cgil, Cisl e Uil che hanno indetto la manifestazione, -il presidente Maiani predispone strumenti che consentono tagli orizzontali di risorse diversamente ottenibili con un’oculata gestione e programmazione» e che così facendo mette dunque a rischio il futuro di circa 4mila ricercatori. -La norma più subdola contenuta in questo statuto - spiega Rosa Ruscitti, responsabile della Flc Cgil per il Cnr - è quella che limita al 70% entro dieci anni le spese per il personale a tempo indeterminato. Bisogna calcolare che oggi tale spesa è all’82%, abbassarla così tantoequivale, di fatto, a bloccare il turn over. In pratica, circa mille posti di lavoro in meno. Se aggiungiamo anche i tagli alle ricerca imposti dalla manovra, vedete bene che il futuro non è dei migliori-. Ci sono poi i circa 4mila precari che, secondo il nuovo statuto in discussione, avrebbero al massimo 6 anni di tempo per cumulare i crediti al termine dei quali l’incarico potrà non essere riconfermato. Secondo le ultime indiscrezioni sembrerebbe che tale norma rimanga, ma senza conteggiare gli anni già trascorsi nei 6 utili al conteggio. Oltre che per il presente, il nuovo regolamento del Cnr pone seri dubbi anche per quanto riguarda la programmazione per il futuro: -Si rende impossibile la programmazione del personale nell’ente decretandone la progressiva decadenza e vanificando nei fatti le legittime aspettative di carriera del personale di ruolo e la possibilità di assunzione a tempo indeterminato per i precari di oggi e del futuro- scrivono ancora i sindacati. Da qui, ilproseguimento dello stato di agitazione del personale e dei sindacati che chiedono -al Presidente, al CdA e al Ministro di apportare sostanziali modifiche alla bozza di Statuto nella direzione della valorizzazione della missione e dell’autonomia dell’ente, del potenziamento delle risorse umane, della salvaguardia delle prospettive di sviluppo e per l’apertura di reali spazi di partecipazione e di proposta per la comunità scientifica interna-. Il Cnr ha 7.400 dipendenti sparsi in 108 istituti in tutta Italia. È proprio sulla questione delle spese per il personale che le organizzazioni dei lavoratori insistono maggiormente: «Altra cosa che non ci piace - conclude Marcello Leoni, segretario nazionale della Uil ricerca - è la limitazione dell’attività interdisciplinare che caratterizza il Cnr, in pratica una vera e propria limitazione del campo d’attività scientifica. E pensare che in Germania, dove la manovra economica è stata assai più pesante rispetto alla nostra, la Merkel hastanziato 12 miliardi proprio per la ricerca». Fatto sta che da ieri la battaglia ha i giorni sempre più contati. Il nuovo statuto deve rientrare nell’ottica di un regolamento universitario, ancora in realtà non approvato dal Ministero, che ha tappe serrate: la legge delega sul riordino degli enti gestiti dal ministero dell’Università dà tempo solo fino al 16 di questo mese per mettere i conti a posto. Altrimenti arriverà il commissariamento. "Se esci dall’ente, anche se sei un ricercatore valido, e non di rado eccellente, non c’è nessun futuro-, spiega Mariangela Spera, ricercatrice precaria all’IStc (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione). I sindacati hanno scritto una lettera al ministro Gelmini (che ha 60 giorni per promulgare il documento) nella quale si invita a stralciare o correggere alcune norme dello statuto. Oltre che sul piazzale Aldo Moro di Roma, da dove sono partiti palloncini per -liberare il Cnr- ieri i ricercatori si sono radunati per protesta anche inmolte altre città d’Italia. Il governo all’attacco degli insegnanti In molte feste di Liberazione si discute di scuola, del diritto allo studio nell’intero sistema d’istruzione fino all’università. Questi dibattiti sono più diffusi di un tempo. Forse l’estrema durezza delle politiche di questo governo sta allarmando un’opinione pubblica più vasta, che va oltre gli addetti ai lavori. Forse la regressione sociale, politica e culturale è finalmente messa in connessione con quella dell’accesso alla conoscenza, anche dal popolo della sinistra, in passato un po’ "distratto" su questi temi. Del resto le conquiste di diritti sul lavoro coincisero a suo tempo con quelle sullo studio e, non a caso, lo smantellamento degli uni e degli altri va di pari passo, per ridisegnare un sistema di relazioni sociali di tipo ottocentesco, in cui l’intelligenza diffusa costituisce una seria minaccia. L’accoppiata Tremonti/Gelmini ce la sta mettendo tutta e conuna tale violenza da lasciare interdetti. Il capitalismo si è sempre fregiato del progresso come sua fisionomia principale e quello dei saperi è stato considerato supporto al suo dispiegamento, dall’Illuminismo in poi. Questa contraddizione delle "magnifiche sorti e progressive" sembra ben presente tra i membri dell’attuale maggioranza, "finiani" compresi. Dati inventati o truccati, stravolgimento dei fatti, capovolgimento della realtà, costituiscono l’asse della comunicazione del governo Berlusconi, in osservanza al proverbio che la miglior difesa è l’attacco. Maria Stella Gelmini lascia intendere che il problema della scuola è la qualità degli insegnanti, che sono anche troppi, come troppe sono le ore di scuola; secondo lei saremmo il paese che ne ha di più, ma non specifica rispetto a quale continente. Non sono troppi gli alunni per classe invece, che possono essere anche molti più di trenta, tanto avranno meno ore di lezione settimanali, per cui non staranno in aule affollateper molto tempo! Maria Stella si occupa invece di sistemi che dovrebbero valutare studenti ed insegnanti, si guarda bene dall’aprire un confronto con coloro che ne hanno competenza, trincerandosi dietro una parola magica: meritocrazia. Anche questa dovrebbe coinvolgere insegnanti e studenti, per i quali bisogna assumere, nell’erogazione delle borse di studio, solo il «merito» e abbandonare, a detta della misericordiosa ministra «l’antico parametro del reddito». Alla faccia della Costituzione sulla quale ha giurato! Con il supporto dell’autore del saggio intitolato Meritocrazia, Roger Abravanel, Maria Stella mette in campo il Pqm, inquietante sigla che sta per Piano qualità e merito. Lungi dall’occuparsi seriamente della formazione e dell’aggiornamento dei docenti, per cui dovrebbe spiegare ad esempio la qualità dei costosissimi corsi di formazione a distanza, la ministra pensa che bisogna misurare i risultati degli studenti per valutare ed eventualmente premiare docenti e scuole.Le è mai passato per la mente in quali condizioni si fa scuola in alcuni quartieri di Napoli, di Palermo o in alcuni Istituti professionali delle periferie cittadine? Condizioni destinate a peggiorare con i tagli che aumentano gli alunni per classe ed eliminano qualsiasi supporto fuori dell’ordinario. Siamo ben consapevoli dell’importanza di affrontare la qualità di un sistema d’istruzione che da più di un decennio subisce un vero e proprio processo di degrado. Sosteniamo da anni che è necessario mettere seriamente mano alla formazione e all’aggiornamento dei docenti, cose che richiedono risorse e non tagli, così come l’arricchimento e non l’impoverimento degli organici nelle scuole è indispensabile per la massima realizzazione dell’apprendimento di tutti/e. Continuiamo a pensare, per fortuna non da soli, che il lavoro cooperativo tra docenti e tra docenti ed alunni sia la chiave di volta di "un’organizzazione del lavoro" veramente efficace, interattiva, inclusiva e propedeutica ad unaformazione critica. Ciò è ampiamente dimostrato dall’esperienza, in parte limitata alla scuola elementare, in qualche caso esercitata anche negli altri ordini di scuola, ma in modo del tutto volontario e casuale. Dove si è trovato spazio per il confronto, per l’elaborazione didattica, la verifica comune e quindi la sperimentazione, i risultati non si sono fatti attendere. Alunni/e coinvolti/e nel lavoro cooperativo, compresi i portatori di disabilità, hanno raggiunto risultati insperati, riuscendo persino a vivere la scuola con piacere. Si capisce come questa concezione del lavoro scolastico si opponga alla meritocrazia della Gelmini, che in realtà comporta il rovesciamento dell’articolo tre della Costituzione, producendo ostacoli per gli svantaggiati. Quel progetto deve passare però anche per una differenziazione di carriera tra i docenti, cosa che fece naufragare il ministro Berlinguer a suo tempo. La condizione paritaria tra i docenti è una precondizione per il lavorocooperativo, difenderla vuol dire mantenere una sua possibilità. Alla ripresa, speriamo, conflittuale del prossimo anno scolastico, insieme a tutte le forme di mobilitazione e di lotta che saremo capaci d’inventarci, dovremmo lanciare una grande offensiva culturale proprio sul terreno cooperativo. Mettere in atto pratiche di questo tipo potrebbe persino creare nuove ed efficaci forme di lotta.Loredana Fraleone
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