Privati dell’accesso alle risorse idriche e all’elettricità, circondati da colonie e aree militarmente chiuse, utilizzate per esercitazioni militari, sotto occupazione israeliana dal 1967, i residenti della Valle del Giordano resistono.Tra demolizioni e confisca di terra agricola, che ne fanno una delle comunità più vulnerabili dell’intera area C della Cisgiordania, la zona sotto controllo israeliano (sia amministrativo che militare). Una popolazione ridotta all’osso, attraverso un processo di espulsioni, passato sotto il silenzio dei media, lontano dai riflettori: 56.000 residenti oggi, contro gli oltre 300.000 prima del 1967. Una delegazione dell’Associazione per la Pace, accompagnata da Luisa Morgantini, ex Vicepresidente del Parlamento Europeo si é recata in visita alla Valle del Giordano. Quali sono le ultime dalla Valle del Giordano, che succede dopo le ultime espulsioni di beduini? Se l’area C, il 60% dellaCisgiordania occupata, é sinonimo di espulsione e di annessione coloniale, la Valle del Giordano lo é al quadrato. Una deportazione silenziosa attuata a colpi di demolizioni, sfratti forzati, furto della terra e delle risorse idriche, per far posto a oltre 30 colonie illegali: anche prima degli Accordi di Oslo, già con il Piano Allon, il governo isrealiano voleva creare una zona cuscinetto di sicurezza, tra la Cisgiordania e la Giordania: annettere questa striscia di terra fertile che per 2.400 chilometri quadrati si snoda dalla Linea Verde al Mar Morto. Perche’un’area epurata dai suoi residenti oggi, sarà di più facile annessione domani: del resto il Primo Ministro Netanyahu ripete da sempre, che non cederà mai la Valle del Giordano, ma era anche lo stesso ritornello usato dalla campagna elettorale di Olmert nel 2006. E ritengo che questo preciso intento, per mantenere il controllo dell’area, oltre che teorizzato nel piano Allon, fosse già messo in pratica nella prima Intifada, quandoai residenti palestinesi di Nablus, imprigionati dal coprifuoco, veniva impedito di andare a mietere i loro raccolti, nelle loro terre, nella Valle del Giordano. Adesso è zona chiusa. Dal 1967 ad oggi, il governo isrealiano ha costruito le colonie, che attualmente occupano il 50% dell’area, mentre il 44% del territorio é stato dichiarato zona militare "Firing Zone". Ai palestinesi resta un misero 6%. L’amministrazione civile (israeliana) pensa al resto, é il braccio esecutivo: emette gli ordini di demolizione, requisisce le risorse idriche, confisca anche i tank per l’accumulo dell’acqua, come é avvenuto a Bardala o taglia le condutture, avvia i procedimenti legali per depredare le comunità beduine del poco che é loro rimasto. Un terzo delle risorse idriche di tutta la Cisgiordania sono nella Valle del Giordano: è atroce pensare che la gente che vive su questa terra senta l’acqua, un bene comune, un diritto per tutti, scorrere sotto i propri piedi, e non possa berla; crudele chedebba lasciare assetate le proprie vacche, le proprie pecore, unico mezzo per la sussistenza di comunità che vogliono continuare a condurre al pascolo i propri animali. La compagnia israeliana Mekorot, scava e scava ancora, per costruire i pozzi che dissetano i coloni e irrigano le terre confiscate illegalmente. Non i palestinesi o le terre loro rimaste. Il consumo di acqua per i palestinesi che vivono nella zona di Tubas è limitato a 30 litri al giorno, contro i 400 litri a disposizione del vicino insediamento di Beka’ot. I coloni della Valle del Giordano hanno a disposizione una quantità di acqua superiore di 6 volte a quella dei palestinesi. Nei casi in cui, come nei villaggi di Humsa e al-Hadidiya, le comunità locali hanno tentato di creare riserve d’acqua e sistemi di approvvigionamento locale, hanno subito una dura repressione da parte dell’esercito israeliano, che ha confiscato tutti i materiali e tagliato l’acqua. Così Israele mantiene il monopolio delle risorse idriche eobbliga i palestinesi a comprare l’acqua a 33 Nis al metro cubo, mentre 9.400 coloni ricevono sussidi e sconti (anche del 75%) per l’acquisto dell’acqua, e nello loro colonie nuotano nelle piscine. Lo stesso vale per la luce elettrica, i palestinesi vedono i fili della luce passare sulle loro teste e non possono utilizzarla, ogniqualvolta riescono ad agganciarsi, arrivano i coloni o i soldati ad arrestarli e a privarli dell’elettricità. Il 19 luglio ad Al- Farisyia, a est di Tubas, l’esercito isrealiano ha demolito oltre 76 strutture, lasciando senza casa intere famiglie, piu’ della metà bambini. So che sei stata nella zona con una delegazione di giornalisti e diplomatici, organizzata dal Ministero dell’Informazione dell’ANP e dal governatorato di Tubas. Abbiamo visto i bambini e gli uomini con i volti bruciati che ci hanno spiegato con un dolore senza lacrime la loro odissea, abbiamo visto i materassi, i mobili gettati all’aria, i forni taboun distrutti, letende divelte: resti di quotidianità umana, famiglie oggi senza tetto costrette a spostarsi altrove per l’ennesima volta. Oltre il 30% delle comunità beduine é stata forzatamente sfollata almeno una volta dal 2000 a oggi. Ci sono famiglie che hanno spostato la loro tenda almeno 4 volte. Dove devono andare? Nonostante da oltre 25 anni venga in Palestina, il viaggio da Tubas ad Al- Farisiya mi ha sconvolta: un paesaggio arido, brullo, pecore ammassate sotto l’ombra striminzita di un consunto telone, vacche smagrite che si fanno scudo dal sole dietro l’ennesimo blocco di cemento che avverte del pericolo "Firing Zone", "zona dove si spara". I blocchi di cemento messi dalle autorità israeliane sono ovunque, davanti alle tende beduine, lungo tutta la strada. E nelle esercitazioni militari isrealiane, capita che i palestinesi rimangano feriti, come é avvenuto al sindaco di Al-Aqaba quando aveva 17 anni, rimasto paralizzato, sulla sedia a rotelle. E il check- point di Taysir, ignobile, perpassare bisogna avere il coordinamento o i permessi, diplomatici e ministri, oltre agli abitanti, devono aspettare sotto il sole cocente (il diplomatico svizzero che era con noi non ha proprio usato parole diplomatiche per definire il comportamento dei soldati). Un’espulsione silenziosa, ma anche una resistenza tenace. Il comitato popolare di resistenza nonviolenta della Valle del Giordano, guidato da Fathi Khdirat, é un’altra esperienza straordinaria della Palestina: un movimento di pratiche nonviolente che il comitato promuove per accrescere le capacità e le competenze delle comunità locali. Una risposta all’occupazione israeliana, attraverso la mobilitazione e la solidarietà, ma anche attraverso l’impiego di tecniche di costruzione tradizionali, come la scuola che stanno realizzando nel villaggio di Jiftlik e dove andranno i bambini delle comunità beduine. L’esercito e l’amministrazione isrealiana hanno già dato l’ordine di demolizione, loro distruggono e lecomunità ricostruiscono: una risposta di resistenza nonviolenta all’occupazione che va valorizzata e sostenuta dai movimenti di solidarietà internazionale.
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