Cosa vuole il terrorismo ?
 







Rosario Amico Roxas




Aleggia costantemente sulle nostre teste lo spauracchio terroristico, riesumato costantemente, in particolar modo quando talune situazioni sembrano avviate a chiarimenti, allontanandosi dalla soluzione armata.  Ritrovarsi da invasori in una nazione alla quale si vorrebbe imporre il proprio metro socio-politico, ritenendolo il migliore, al di fuori di ogni valutazione culturale, antropologico, sociale e anche religioso, diventa prassi molto facile scatenare le reazioni e identificarle come terrorismo
Cercare di chiarire il concetto di terrorismo, in questa sede, ci porterebbe lontano e sarebbe un discorso lungo e articolato. Assumiamo per buona l’identificazione che la cultura occidentale si spreca a propagandare. Dovremmo esaminare alcuni quesiti che, con molta accuratezza, ci viene vietato di valutare e fornire ipotesi di risposte
Dobbiamo però chiederci " Qual è lo scopo dei terroristi ?"
"Quale strategia li ispira?".
Innanzitutto si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico; le definizioni siamo noi stessi a fornirle legittimando il terrorismo con l’ attribuzione di una compattezza ideale, programmatica e operativa che non ha.
Questa compattezza viene riconosciuta identificando nel terrorismo un nemico da abbattere con una dichiarazione di guerra totale. Ma le guerre si fanno in due e il terrorismo è, per definizione, unilaterale, non porta divise, non innalza bandiere, opera e agisce all’improvviso, vilmente, e colpisce nel mucchio con il solo scopo di seminare terrore. Il suo obiettivo non è "il nemico" da abbattere e combattere, ma il popolo-spettatore, vittima passiva, primo attore di una tragedia che non vuole recitare. La guerra globale al terrorismo dichiarata dall’America serve solo all’America stessa che può, così, incrementare il lucrosissimo circuito del commercio delle armi.
Dall’11 settembre le azioni terroristiche sisono incrementate, diventando quello che aspiravano ad essere: una minaccia diretta non alle nazioni, ma ai popoli. Per questo non può essere combattuto come si combattono le guerre vere, perché non si tratta di una guerra, mancando l’elemento primario che contraddistingue tutte le guerre e cioè lo scontro frontale. La predicazione impotente dichiara che "occorre alzare la guardia, inasprire i controlli", trascurando che basta un coltellino per improvvisare una tragedia come quella dell’11 settembre.
Blindare l’intero Occidente significherebbe accettare e riconoscere la vittoria del terrorismo.
La sola via praticabile è quella della politica, della diplomazia e del dialogo.
Il terrorismo non ha una strategia perché non ha un modello di società da proporre, una eventuale destabilizzazione dell’Occidente non gli servirebbe ; nello stesso tempo è sbagliata la strategia occidentale con la convinzione che il suo modello di vita possa e debba essere imposto a livello planetario. Ilterrorismo si ribella a questa pretesa, mirando a terrorizzare, non a conquistare: il terrore è un mezzo, mentre il programma di conquista è un fine. L’idea di convertire il mondo intero all’Islam non è praticabile, a tale ipotesi nessuno potrebbe credere (tranne la propaganda dell’apostata  Magdi Allam)
La guerra totale al terrorismo veste, però, gli stessi panni del terrorismo, colpendo nel mucchio, evitando lo scontro, stimolando, così, quella reazione rappresentata dagli atti terroristici.
Dalla guerra totale bisogna trasferirsi sul terreno della politica, della diplomazia e del dialogo accettando, riconoscendo e rispettando le differenze sociali, culturali e antropologiche.
Gli interessi delle lobby delle armi conducono verso un mare in tempesta, che finirebbe con l’annientare tutte le parti contendenti.
Circondare, assediare, condurre alla resa il terrorismo si può e di deve, ma non con il fragore dei missili intelligenti, o con le bombe negli aerei come vorrebbeLa Russa; l’unica alternativa possibile è l’assedio da parte della diplomazia, per ricondurre queste drammatiche controversie nell’alveo della politica e del dialogo, nell’umiltà di riconosce il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, anche quando possiedono quel petrolio che ispira tutte le azioni dell’Occidente.









   
 



 
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