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Quindici anni e mezzo di carcere. E’ questa la condanna inflitta in primo grado a Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario della chirurgia toracica della Clinica Santa Rita di Milano, principale imputato al processo per gli interventi ritenuti inutili e dannosi effettuati su un’ ottantina di pazienti con lo scopo di ’gonfiare’ i rimborsi da parte del Servizio sanitario nazionale. La sentenza dei giudici della quarta sezione penale del Tribunale è arrivata poco prima della mezzanotte di ieri dopo una camera di consiglio durata quattro giorni. Il collegio, composto da Luisa Balzarotti, Carmen D’Elia e Orsola De Cristofaro, ha inoltre condannato i due aiuti di Brega (anche interdetto in perpetuo dai pubblici uffici), Pietro Fabio Presicci e Marco Pansera, rispettivamente a 10 anni e sei anni e nove mesi di reclusione. A cinque degli altri sei medici finiti alla sbarra, sono state inflitte pene che vanno da un anno e mezzo di carcere per Augusto Vercesiai 2 anni, 11 mesi e 27 giorni per Giorgio Raponi e Eleonora Bassanino. Unico assolto l’ex anestesista Giuseppe Sala. Le accuse contestate sono lesioni gravi e gravissime per oltre 80 casi e truffa ai danni del Ssn. I giudici nel lungo provvedimento - per leggerlo hanno impiegato almeno tre quarti d’ora - hanno anche stabilito che Brega (ritenuto non responsabile di tre casi) e i suoi due aiuti, dovranno versare come risarcimento - in molti casi in solido con il responsabile civile clinica Santa Rita - cifre che vanno da 50 mila agli 80 mila euro ad almeno una quarantina di malati che si sono costituiti parte civile. Sono invece di 40 mila, 30 mila e 20 mila euro, le cifre del risarcimento che i tre dovranno pagare alla Regione e alla Asl di Milano. Altri risarcimenti sono stati disposti per l’Ordine dei Medici e le varie associazioni di Consumatori e Medicina Democratica., da parte di tutti e otto le persone condannate. "Sono stato il capro espiatorio", ha commentato l’exprimario, presente in aula, parlando con il suo difensore, l’avvocato Luigi Fornari. Il legale ha già annunciato che impugnerà la sentenza sia in appello e se ce ne sarà bisogno anche in Cassazione. Per l’avvocato Marco Marzari, legale di alcuni pazienti, "é stata una sentenza che ci ha lasciato soddisfatti e che ha dimostrato un Tribunale attento, che ha valutato posizione per posizione". Ad assistere alla lettura del dispositivo, tra avvocati, imputati e loro familiari, e pazienti con i loro parenti, almeno un centinaio di persone, molte delle quali hanno accolto la sentenza con soddisfazione. Per Pier Paolo Brega Massone i due pm avevano chiesto 21 anni di carcere in quanto non ha esitato "a infliggere sofferenza tramite interventi chirurgici inutili" a malati terminali e a pazienti "totalmente incapaci" solo per ottenere "vantaggi professionali ed economici". Insomma si è trattato di una persona, non solo priva della coscienza "di un comune medico", ma con "un’indoleparticolarmente malvagia" e a cui è mancato "il senso di umana pietà". Stesse parole sono state usate dall’accusa per la sua equipe e in particolare per gli altri due suoi aiuti, Presicci e Pansera: per i due le richieste di condanna erano state rispettivamente di 14 e otto anni di reclusione. La vicenda della casa di cura Santa Rita, battezzata clinica degli "orrori", era venuta a galla nel giugno del 2008 con gli arresti da parte della Guardia di Finanza di 13 medici, tra cui i tre chirurghi, e il titolare della clinica privata Francesco Pipitone. Quest’ultimo insieme ad altri hanno patteggiato la pena, mentre i nove imputati per cui questa sera si è chiuso il processo, sono stati mandati a giudizio con rito immediato. Un procedimento, vista la mole (86 parti lese, un centinaio di faldoni e due udienze in media alla settimana), che si è svolto in tempi rapidi rispetto a quanto accade nelle aule di giustizia.
Pazienti operati senza motivo,ricoveri inventati, rimborsi gonfiati ai danni della Regione Lombardia, medici che pensano solo ai soldi. Ecco l’atto d’accusa integrale dei giudici sugli orrori della clinica Santa Rita: oltre 200 pagine dove abbiamo omesso solo i nomi dei pazienti, vittime di questa macchina infernale. Un documento choc che conferma i contenuti dell’inchiesta sui "Pirati della sanita’" pubblicata da L’espresso un anno fa. E apre un interrogativo sul sistema dei controlli: perché nonostante le denunce nessuno è intervenuto prima? San Raffaele, San Carlo, San Donato, Sant’Ambrogio, San Giuseppe, Santa Rita e San Pio X: la crème della sanità privata lombarda è nel mirino dell’autorità giudiziaria. E pezzi da novanta come Giuseppe Rotelli, Mario Cal, Francesco Paolo Pipitone, la famiglia Ciardo sono indagati da Guardia di finanza, Nas e Squadra mobile. Sospettati, loro che hanno trasformato la salute in Lombardia in un business da un miliardo e 200 milioni di euro l’anno, di avere corretto, senon corrotto, parte del sistema. A fare luce sulla nuova sanitopoli lombarda sono tre inchieste della Procura di Milano affidate congiuntamente ai pm Tiziana Siciliano, Grazia Pradella e Sandro Raimondi, e quindi, praticamente, unificate in un’unica maxi-indagine. Che ha rovinato le vacanze a un bel po’ di big. Perché gli avvisi di garanzia per i reati di truffa al Sistema sanitario nazionale e falso ideologico nella compilazione delle cartelle cliniche stavolta hanno colpito in alto. Fino a Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda, consulente al ministero della Salute con Gerolamo Sirchia, proprietario di 17 case di cura private, con 3.700 posti letto e un fatturato annuo di 650 milioni di euro, quattro delle quali a Milano, finite nel setaccio della Procura. Ma Rotelli possiede anche il 5 per cento di Rcs Mediagroup che lo porta a un passo dal patto di sindacato, e ha amicizie importanti in Mediobanca. Oltre che in Regione, dove, negli anni ’80 ha collaborato in manieraimportante all’estensione del Piano sanitario, firmato dal socialista Sergio Moroni. Del suo gruppo sono state perquisiste le cliniche San Donato, San Siro, Sant’Ambrogio e Galeazzi e sono state sequestrate cartelle cliniche che dimostrerebbero, secondo gli inquirenti, palesi falsificazioni finalizzate a ottenere rimborsi ingiustificati per milioni di euro dalla Regione. Dopo il magnate Rotelli, l’onda dell’inchiesta ha raggiunto persino il San Raffaele dell’intoccabile don Luigi Verzè. La Procura di Milano ha avviato un’inchiesta su ricoveri irregolari eseguiti nella casa di cura San Raffaele-Villa Turro. Risultato: il legale rappresentante della Fondazione San Raffaele, Mario Cal, il direttore sanitario e alcuni responsabili di reparto sono indagati per gli stessi reati contestati al gruppo di Rotelli. Gli stessi reati vengono contestati anche a imprenditori meno noti, come il notaio siciliano Francesco Paolo Pipitone, titolare della Casa di cura Santa Rita, uno dei poli piùdinamici della sanità privata nel capoluogo lombardo. Come pure sono sotto indagini della Squadra mobile milanese gli ex proprietari della Casa di cura San Giuseppe, mentre i Nas indagano sui frati camilliani proprietari della clinica Pio X, i cui nuovi vertici, dopo gli esami dei bilanci, hanno deciso di dimettersi. Addirittura in manette è poi finita buona parte della famiglia Ciardo, proprietaria della clinica San Carlo, i cui vertici sono stati azzerati dagli arresti. Quella che gli inquirenti disegnano come una gigantesca truffa ai danni del Ssn è tutta scritta nella sintesi di 8 milioni di cartelle cliniche emesse dal 2003 al 2006 da tutti gli ospedali pubblici e privati convenzionati della Lombardia. Che il colonnello della Guardia di Finanza Cesare Maragoni, comandante del Gruppo tutela spesa pubblica del nucleo di Polizia tributaria di Milano, porta sempre con sé. Nel suo computer ci sono milioni di dati incrociati, a giustificazione di un’indagine che scuote l’interosistema della sanità privata lombarda. Dodici finanzieri, assistiti dai periti del Tribunale, in un anno hanno esaminato poco meno della metà delle cartelle degli istituti clinici privati accreditati. Ma hanno già scoperto che nella regione che investe il 74 per cento del suo bilancio nella sanità, facendo dei centri privati il suo fiore all’occhiello, nessuno controlla dove va a finire quel miliardo e 200 milioni di euro all’anno erogato in rimborsi alle strutture accreditate. Ottantamila di quelle cartelle sarebbero state truccate, gonfiate, falsificate per ottenere rimborsi illeciti per almeno 18 milioni di euro. Finiti a rimborsare asportazioni di nei pagati fino a 14 mila euro; interventi di chirurgia estetica su transessuali affetti da Hiv spacciati per interventi legati alle patologie indotte dal virus, a carico dalla Regione per 12 mila euro; presunte operazioni chirurgiche complesse addebitate per 50 mila euro, di fatto semplici interventi in day hospital. E poi esamieseguiti su pazienti ricoverati per tre giorni (il massimo della convenienza per una struttura accreditata) che si sarebbero potuti fare ambulatorialmente. Il trucco era semplice: bastava cambiare il codice numerico e il gioco era fatto. Insomma, falsificazioni talmente grossolane che oggi molti tra gli inquirenti si chiedono come mai nessuno se ne fosse accorto. O forse qualcuno faceva solo finta di non accorgersene. Come sembrano indicare alcune intercettazioni telefoniche eseguite dal Nas Milano nel corso dell’indagine sulla clinica San Carlo. Sulla graticola c’è finita Paola Navone, responsabile del nucleo operativo di controllo della Asl Città di Milano, indagata per favoreggiamento poiché avrebbe invitato i suoi collaboratori a ostacolare il lavoro del comandante Giovanni Maria Jacobazzj del Nas che guidava le indagini alla San Carlo. "Frasi in libertà dette dalla mia cliente che sono state male interpretate dai carabinieri", sostiene l’avvocato della signora Navone, PieroMagri. Ben altro secondo gli inquirenti, che hanno disposto l’arresto della proprietaria della San Carlo, Marina Sassaroli, 79 anni, da subito ai domiciliari, e dei figli che sedevano nel consiglio di amministrazione, Grazia e Alberto Ciardo. Oltre a loro, in carcere è finito anche Alberto Palmesi, presidente del cda di Eukos, la società dei Ciardo che possiede la clinica, il consigliere d’amministrazione Carlo Schwarz, il direttore sanitario Alberto Fantini (83 anni, anche lui ai domiciliari), il responsabile di Chirurgia generale Carlo Zampori e il chirurgo Gianluca Campiglioe. Nell’ufficio di Paola Navone, rimasta alla sua scrivania fino a luglio nonostante l’avviso di garanzia, ben 12 impiegati avevano il compito di controllare le cartelle cliniche di 30 istituti di ricovero e 160 ambulatori di prestazioni diagnostiche in convenzione. Le falsificazioni, osservano oggi gli inquirenti, erano talmente banali da non poter passare inosservate: a un codice di intervento devecorrispondere un codice di rimborso prestabilito e codificato. Non solo, nemmeno serve chiamare in causa la fallacia: tutti gli errori esaminati dal Nas provocavano rimborsi maggiori, mai il contrario. Ma se alla Asl qualcuno faceva il pesce in barile, l’inchiesta milanese ha rilevato che le inadempienze stanno più in alto. Nello stesso sistema di controlli messo in piedi dalla Regione Lombardia, francamente a maglia larga. Basti pensare che la regola regionale era quella di esaminare soltanto il 5 per cento delle cartelle di ogni istituto. Non solo, era sempre l’assessorato alla Sanità a stabilire che i controlli fossero preannunciati con almeno 48 ore di anticipo e che i funzionari dovessero specificare alla struttura da controllare quali cartelle cliniche sarebbero state prelevate. Un sistema che sembra fatto apposta per coprire chi vuole nascondere cartelle cliniche truccate, e che soltanto una delibera del 30 marzo 2007 (a inchiesta ormai esplosa) ha corretto, consentendoispezioni a sorpresa e possibilità di estendere il campione di cartelle in caso di sospetti. E il clamore dell’inchiesta ha alfine svegliato anche la dormiente opposizione, che oggi chiede di rivedere il sistema di accreditamento e la sospensione delle convenzioni alle cliniche sotto indagine. "Ci sono centinaia di addetti e migliaia di pazienti in gioco", sbuffa Carlo Lucchina, il direttore generale della Sanità lombarda: "Non possiamo smettere di garantire un pubblico servizio come quello degli istituti di cura". E infatti, l’assessorato ha sospeso la convenzione solamente alla clinica San Carlo, che nel 2006 ha fatturato 10 milioni di euro, di cui un milione oggetto della presunta truffa. Per un mese. Finché gli azionisti della Eukos spa, proprietaria della clinica, dalla cella di San Vittore hanno delegato il commercialista Generoso Galluccio di presentarsi come uomo di garanzia in grado di bonificare la società: la convenzione è stata ripristinata il 12 febbraio scorso.GiorgioSturlese Tosi - de L’Espresso
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