Si è recentemente svolta, a Napoli, al teatro di San Carlo, la prima esecuzione assoluta di “14 movimenti tratti da Anima”, come si leggeva sul programma di sala, lavoro creato da Fabrizio Ferri su testi suoi, di Frank Musker e di Alfredo Rapetti Mogol, ed eseguito nell’ambito di una serata di chiara mondanità che aveva tra il pubblico la presenza di diversi personaggi del mondo della politica e dello spettacolo. Un evento quindi, consistito sostanzialmente nella proiezione sul fondale del prestigioso teatro di fotografie e corti filmati dell’autore, uniti a brevi, semplici brani musicali dello stesso Ferri, per l’esecuzione dei quali l’artista non si è peritato di richiedere l’utilizzazione dell’orchestra, del coro di voci adulte e del coro di voci bianche del teatro, nonché l’intervento di vari solisti ospiti. Tra gli strumenti usati, anche chitarra elettrica e batteria. Copiosissima profusione di mezzi quindi per esaudire l’ispirazionemusicale di questo celebrato fotografo e regista la cui formazione musicale avveniva sostanzialmente (anche questo si leggeva nel programma di sala) da ragazzo, negli anni Settanta, girando per l’Italia e per il mondo con la chitarra, suonando nelle feste ed in locali anche famosi, arricchendosi poi dell’amicizia di personaggi noti, come ad esempio il cantante Sting. Sono state molteplici le riflessioni che ha ispirato quell’ora circa, senza intervallo, di immagini ornate da suoni, come d’altronde è bene che avvenga dopo ogni spettacolo. In questo caso riflessioni di natura non solo estetica ma anche in particolar modo sociologica, giacché si trattava anche di una prima esecuzione mondiale, avvenuta in uno dei teatri più belli, antichi e gloriosi del mondo, in una serata di grande spolvero, che quindi si proponeva di offrire al mondo un momento innovativo, memorabile e luminoso. La prima di queste riflessioni è stata sul concetto di forma nell’arte, un concetto che nasce conogni probabilità dal bizzarro paradosso della condizione dell’uomo di essere libero solo qualora si vincoli, ed impedito ogniqualvolta rifiuti ogni regola. Si può, infatti, essere sì liberi di camminare, nuotare o saltare sulle proprie gambe, ma a condizione di usare nella giusta maniera opportuni muscoli, così come si può essere altrettanto liberi di esprimersi in massima efficacia, ma solo sottomettendosi umilmente al sapiente uso di opportune norme espressive, grammaticali, pittoriche, musicali o di qualunque altra natura si voglia. Gli artisti da sempre hanno percepito questa verità, da qui la creazione, talvolta il rifiuto, o via via la trasformazione sempre più fine di opportune forme nelle varie arti, la nascita quindi del sonetto, del madrigale, del canone, della fuga, della sonata, della sinfonia, del melodramma, dell’oratorio, dell’opera buffa, del dipinto ad olio, dell’acquerello, della scultura a tutto tondo, del bassorilievo, e quanto più. La forma, per questo motivo,diviene già di per sé un contenuto e si può osservare che alcune, se non tutte, le maggiori rivoluzioni artistiche avvenute sono proprio intorno all’adozione di questa. Wagner creò i suoi capolavori contrapponendosi al melodramma tradizionale, Beethoven rivoluzionò la sonata per pianoforte, il concerto solistico e la sinfonia aprendo la via alle modalità espressive romantiche, Domenico Scarlatti si affrancò da stilemi precedenti per far sfociare le sue affascinanti composizioni clavicembalistiche nella musica più moderna, così nel mondo pittorico gli impressionisti e le varie correnti estetiche che seguirono, e similmente è stato nella poesia che dal verso rimato e metricamente misurato è passata al verso libero non come rifiuto del metro, ma come metro di volta in volta creato, ad ogni verso. Nella recente opera di Ferri, però, più che vedere immagini separatamente una dall’altra, ornate ognuna da un breve brano musicale, un po’ come sfogliando in casa un album fotograficoascoltando suoni più o meno congrui, o come è ancor più facile fare con un semplice calcolatore elettronico domestico, non è stato, o perlomeno non è parso essere. Il gusto d’altronde è anche certo la virtù della misura, e la parsimonia dei mezzi usati, almeno a parità di effetto ottenuto, è un pregio non trascurabile, come la sua mancanza è tutt’altro che virtù, a meno che lo scopo non voglia essere sociologico, di grandiosità, pompa esteriore, scelta, diversamente, poco giustificabile. Ma questa non è più estetica, è, appunto, sociologia, maliziosa tra l’altro, seppur perfettamente aderente ad un’epoca come la nostra attuale, sempre più legata al culto dell’immagine. Un discorso quest’ultimo ancor più poi certo da considerare in contesti come quelli musicali o cinematografici, per dirne solo due, dove il pubblico prima compra il biglietto, poi fruisce del prodotto, per cui quel prodotto deve essere vendibile prima ancora di essere visto. Da qui la nascita del divismo e di quellaparticolare strategia pubblicitaria di far promuovere prodotti commerciali a personaggi noti benché assolutamente ignoranti dell’argomento anziché ai massimi esperti del settore ma ai più sconosciuti, ed allora ecco un attore famoso pubblicizzare caffè, ecco calciatori a garantire proprietà salutari di acque minerali, e via dicendo. Insomma ogni giorno di più questo nostro mondo sembra inclini a rivelarsi come certi edifici che hanno una facciata anche assai gradevole e poi all’interno sono fatiscenti. Ma il glorioso teatro di San Carlo e soprattutto l’arte della musica e dei migliori spettacoli, sono sicuramente magnifici edifici, di architettura e di cultura, così belli che, proprio per questo, è ancor più un peccato poi quando non lo risultano essere anche dentro.
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