In Veneto il buco della sanità fa saltare l’asse Lega-Pdl
E il governo rintroduce l’Irpef
 











Se a Roma la tregua armata resiste in attesa che Umberto Bossi, dopo 17 anni di slogan, porti a casa un abbozzato federalismo fiscale, in Veneto, lontano dai riflettori, la guerra fratricida è già in stato avanzato e nessun accordo è più componibile. L’anello debole è il tema della sanità, centinaia di milioni...di disavanzo presunto e un 2011 che sarà l’annus horribilis, dove Lega e Pdl, di fronte al profilarsi del secondo commissariamento consecutivo della sanità veneta e la reintroduzione d’imperio da parte di Roma dell’Irpef a tutti i redditi, giocano a scaricabarile.
In Veneto d’altronde mancano comunisti da incolpare per l’aumento delle tasse, così se la vedono il senatur e l’ex governatore berlusconiano Giancarlo Galan che si è avvicendato con Luca Zaia (il leghista con la brillantina) sulla poltrona della Regione in cambio del posto al ministero dell’Agricoltura.
L’ultima uscita è firmata Bossi, di ritorno dalla cena degli ossi dove èstato decretato che Berlusconi è un amico, e non solo un alleato. Ma, appunto, essendo semplicemente un amico, non gli risparmia nulla sul piano politico. Così, quando Bossi ha parlato di Galan, ergo Silvio, ha tirato fuori gli artigli: “Galan? E’ meglio che stia zitto. Il buco sulla sanità è colpa sua”. Ora, a parte il fatto che in Veneto Lega e Pdl governano insieme da 15 anni e che Zaia, attuale presidente della Regione altri non era che il vice di Galan, il disavanzo è dell’anno 2010 dunque epoca dell’uomo con la brillantina tra i capelli.
Ma anche Galan ci mette del suo. Sono mesi che punzecchia il suo successore Zaia più che pensare all’agricoltura. E’ stato così che ai giornali locali ha detto prima della cena di Calalzo: “E’ una follia aumentare le tasse a servizi invariati, da quindici anni il deficit è lo stesso: 130 milioni. Noi l’abbiamo sempre ripianato, ora la nuova giunta trovi questi soldi risparmiandoli altrove. Il capo della Lega ha fatto la campagna elettoraledenunciando sprechi nel Veneto: ebbene, se ci sono li eliminino e impieghino le risorse per la sanità”.
Immaginate Bossi che già è costretto a digerire un’alleanza di governo nella quale non crede più, causa mancanza di voti, e con i sondaggi che gli stuzzicano le arterie elettorali: ”E’ stato Galan ad aver causato il buco della sanità, ci dica cosa dobbiamo fare o non dica più niente. E poi cosa c’entra la Lega? C’entra semmai Tremonti”. E’ infatti la manovra predisposta dal titolare dell’Economia a stabilire il commissariamento, e relative conseguenze in termini di tasse, per le regioni in rosso. “Galan tutte le volte che fa qualcosa fa danni, vedi le quote latte. Lasciamo perdere”, insiste Bossi che, riferendosi all’arrivo di Zaia alla guida del Veneto, tira la stoccata finale: “A Galan gli scotta ancora il culo”. Insomma, un tutti contro tutti, che porta la regione superba e saccente, quella che vorrebbe essere d’esempio per il resto d’Italia, sull’orlo di un quasi tracollo conla giunta che, in più di una seduta è finita in minoranza e un’alleanza che non è più tanto santa.
Dall’alto è stato imposto il silenzio, niente controrepliche, solo una difesa d’ufficio dell’ex governatore affidata a Antonio De Poli, segretario regionale di quell’Udc che nell’ultima legislatura a livello nazionale aveva voltato le spalle al Pdl. “Noto un certo nervosismo in casa leghista — punge De Poli — capisco il clima da campagna elettorale, ma c’è un solo responsabile del disastro della sanità veneta ed è il Carroccio. Partito degli ultimi quattro assessori di settore. La Lega lo ammetta: l’unico motivo per cui aumenterà le tasse, colpendo anche la povera gente, è di mettere una pezza ai guai che ha combinato”.
Insomma, dalle parti della Laguna l’asse Berlusconi-Bossi è già saltato, il rincorrersi di accuse e scuse, è un segno di un mal di pancia insopportabile. Anche perché Zaia è accusato dagli alleati del Pdl di aver tradito i veneti sul tema della sicurezza sulla quale,in campagna elettorale, aveva fatto grandi promesse e oggi ha lasciato l’assessorato a zero euro. “La sicurezza non è più un problema, la questione è risolta”. In attesa del 23, giorno in cui dovrebbero passare gli emendamenti sul federalismo fiscale, i veneti vanno a dormire con una certezza: la reintroduzione dell’addizionale Irpef, dunque l’aumento delle tasse. di Emiliano Liuzzi
Dal Veneto virtuoso, dalla ricca Padova, arriva questa storia che molti hanno visto, ma nessuno ha ancora raccontato. Nella città del Santo ci sono due ospedali: l’Azienda ospedaliera di Padova, polo di grandi dimensioni con al suo interno anche le cliniche universitarie; e l’ospedale Sant’Antonio, piccola struttura che si è sviluppata dal vecchio istituto ortopedico della città. Tra i due ospedali ci sono più o meno 800 metri. Esistono, in altri grandi poli sanitari, padiglioni dello stesso ospedale che sono anche più distanti. Il buon senso e la buona gestione avrebbero consigliato la lorounificazione. E infatti erano già da tempo comuni alcuni servizi, come l’emergenza, la radiologia, i laboratori, la farmacia. Poi è arrivata un’inversione di marcia. Nel luglio scorso, le due strutture sanitarie sono state nettamente separate: l’Azienda ospedaliera da una parte, il Sant’Antonio dall’altra. Poiché quest’ultimo è troppo piccolo, è stato accorpato a due strutture ancor più piccole: l’ospedale di Piove di Sacco (che sta a 25 chilometri di distanza e che dovrebbe servire non il bacino di Padova, ma quello di Chioggia, a cui era infatti collegato); e un ospedaletto di Abano Terme. Risultato della divisione: i due ospedali di Padova offrono ai cittadini un servizio peggiore, perché la separazione impedisce le sinergie, i risparmi, la condivisione di alcuni servizi. Adesso entrambi devono fare tutto, ma con lo stesso personale di prima. La carenza di medici e infermieri ora si sente. In compenso è raddoppiato il “personale apicale”, cioè i primari. Che pacchia! Che clientele!Attenzione. Ripetiamo per chi si fosse distratto: non stiamo parlando della sanità siciliana, o calabrese, ma della ricca Padova, nel virtuoso Veneto. Ora un padovano che abbia bisogno di un ricovero può scegliere tra le due strutture. Magari sceglie il Sant’Antonio, puntando sulle dimensioni più piccole e sperando in tempi più rapidi. Salvo poi accorgersi che se deve fare una coronarografia, non dovrà andare 800 metri più in là, ma a 25 chilometri, all’ospedaletto di Piove di Sacco che, in un sistema funzionante e non demagogico (o clientelare?), sarebbe stato tranquillamente chiuso per razionalizzare il servizio ai cittadini ed evitare gli sprechi. Le malelingue, poi, dicono che molte ragioni della stramba ristrutturazione stanno ad Abano Terme, nella piccola casa di cura diventata magicamente “policlinico” che, dopo l’accorpamento padovano, ha permesso di accontentare economicamente qualche primario e di sistemare qualche “figlio di”. Se questo è ciò che succede a Padova, comestupirsi, allora, del contesto generale della sanità veneta? Il sistema intero è al collasso, tanto che sta per essere commissariato: da Roma ladrona e centralista (il ministero dell’Economia), visto ciò che hanno combinato i federalisti amministratori locali berlusconian-padani. Perdite dell’ultimo anno: attorno ai 500 milioni. Su una spesa totale di 10 miliardi (oltre l’80 per cento del bilancio regionale del governatore Luca Zaia).de Il Fatto-G. Barbacetto









   
 



 
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