Rischio inflazione per i giganti asiatici
 







Martino Mazzonis




Crisi da crescita. Comunque la si metta, il problema è quello: India e Cina sono alle prese con il problema inflazione. Non uno scherzo, per Paesi che crescono a ritmi forsennati ma restano patria di milioni di poveri e diseredati. L’elefante corre: la crescita del Pil è stata pari all’8,5% nel 2010 e si prevede sarà intorno al 9-10% per il prossimo biennio. La crescita è sostenuta, per fare l’esempio del settore auto, da un mercato interno la cui saturazione è molto lontana da venire. Nell’ultimo anno la vendita di veicoli commerciali è salita di oltre il 45% e quella dei mototocicli del 30%.
La crescita dei redditi disponibili e la volontà di consumo da parte di una classe media che cresce per redditi e per numero genera inflazione. Se poi ci si mette la mancanza di pioggia, a crescere è il prezzo dei beni di consumo primari, quelli con cui si nutrono le decine di milioni di poveri che ancora albergano nelle metropoli e nelle campagne indiane.La crisi del momento è quella della cipolla. Un cibo base per qualsiasi indiano che, nel giro di una settimana il prezzo delle pyaz è raddoppiato, da 35 a 70 rupie. E più in generale, l’inflazione, se calcolata solo sulle derrate alimentari, non è lontana dal 20% (il tasso di aumento dei prezzi a novembre era invece al 7,5%) .
Un bel guaio per il governo Singh, che ieri ha tenuto una riunione per cercare di porre un freno alla crisi delle cipolle (e dell’aglio, delle patate, riso). Ma senza grandi risultati: il ministro dell’agricoltura ha spiegato che la crisi è destinata a continuare per qualche tempo, lasciando il governo Singh, già indebolito da una serie di casi di corruzione - non una novità nella più grande democrazia del pianeta. Singh e Sonia Gandhi, la regia del Partito del Congresso che resta relativamente in disparte, stanno lavorando ad un rimpasto.
Ma nel frattempo, la questione delle cipolle rimane sul tavolo. Le mancanza di infrastrutture moderne che rendedifficile il trasporto e la conservazione dei prodotti, la domanda di derrate alimentari che cresce al crescere del reddito - le persone in grado di comprare carne e pesce sono aumentate di 220 milioni in 5 anni - rendono difficile risolvere il problema. Non basta eliinare le tasse sul prodotto o bloccare il prezzo nei negozi di Stato: c’è la speculazione sui prezzi fatta nei mercati all’ingrosso del Paese. La cipolla, insomma, continua a costare troppo. E allora il governo blocca le esportazioni del prodotto e prova a riaprire all’import dal vicini-nemico Pakistan.
Se il prezzo della cipolla è un fattore determinante per la vita di milioni di persone che combattono per riempire la ciotola, la questione inflazione riguarda invece la classe media, la capacità produttiva e la stabilità del sistema indiano nel suo complesso. Sempre per fare un esempio, il colosso dell’industria automobilistica, la Tata Motors, ha annunciato il primo gennaio l’aumento dei prezzi di listino di tutta lagamma a causa degli aumentati costi di produzione. Il rischio, alla lunga, è la relativa perdita di competitività dei prodotti indiani (o cinesi e di altre economie in ascesa).
Per tenere bassa l’inflazione è probabile che la banca centrale di Delhi si prepari ad aumentare il tasso di interesse, già piuttosto alto. L’effetto di attirare capitali e dover spendere miliardi aggiuntivi in interessi da pagare. A questi ritmi di crescita non è un problema. Ma sono problemi di lungo periodo che l’India, così come la Cina, si devono preparare ad affrontare Pechino ha problemi di eccesso di capitale ed ha promesso che il 2011 sarà l’anno della lotta all’inflazione. Ma questo è un altro problema e non riguarda le cipolle.









   
 



 
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