Tra Stati Uniti e Cina trionfa la realpolitik
 







Simonetta Cossu




La storica visita di quattro giorni del presidente cinese Hu Jintao negli Stati Uniti si è conclusa ieri a Chicago. I media cinesi hanno lodato la visita di Hu, definendola uno "colpo da maestro storico" per allentare le tensioni. E i canali della televisione di stato hanno trasmesso integralmente la cerimonia della cena di Stato a cui ha partecipato Hu e il suo benvenuto alla Casa Bianca, un evidente segno di come la Cina voglia che il suo leader sia rappresentato come un importante protagonista del panorama mondiale.
Diverso il punto di vista dei media americani. Paul Krugman, commentatore del New York Times ha lanciato un nuovo attacco alla politica del renminbi debole. Il Washington Post racconta la censura sfacciata che ha tagliato in Cina tutti i passaggi del discorso di Hu Jintao in risposta alle critiche sui diritti umani. Lo specialista della Cina Nicolas Kristof sul New York Times boccia le pseudo-aperture di Hu sui diritti umani: "laCina sta attraversando la sua epoca-Bush, al potere a Pechino ci sono gli equivalenti di Dick Cheney".
Ma proprio mentre Hu era in America è uscito il dato sulla crescita cinese che si è ancora rafforzata: 9,8% nell’ultimo trimestre. Un dato che spiega meglio di qualsiasi commento le ragioni per cui Obama ha accolto Hu con il tappetto rosso. L’economia cinese è cresciuta nel 2010 del 10,3 percento, con un Prodotto Interno Lordo che supera quello del Giappone, mettendo Pechino al secondo posto tra le economie del mondo, dopo quella degli Usa.
Quindi a parte la retorica la visita del presidente cinese ha concretizzato accordi commerciali per 45 miliardi di dollari, alla faccia dei diritti umani. Il più importante, l’acquisto cinese di 200 aerei dalla Boeing per un valore di 19 miliardi dollari.
Se la visita sembra non aver risolto gli spinosi problemi legati alla valuta, ha fatto registrate qualche passo in avanti sulla crisi coreana. Obama sarebbe riuscito a
convincerePechino a premere su Pyongyang perchè si sieda a una tavolo di negoziato con Seul (il New York Times, ha riferito una fonte ufficiale anonima secondo cui Obama ha minacciato che, in caso contrario, Washington ridistribuirà le sue forze in Asia per proteggersi da un potenziale attacco nordcoreano). E in effetti Seul e Pyongyang hanno accettato,
nella notte di giovedì, di tenere colloqui militari ad alto livello, i primi dopo l’attacco di artiglieria contro un’isola sudcoreana.
Una vista quella di Hu assai diversa di quella che compì nel 2006 quando alla Casa bianca c’era George W. Bush. Una visita che fu costellata di incidenti diplomatici, come la presenza di un rappresentante del gruppo Falungong alla conferenza stampa congiunta che mise in imbarazzo per ben tre minuti Hu. Una svista o atto provocatorio da parte del protocollo, fu in ogni caso una delle tantissime ragioni che resero quella visita sgradita a Pechino.
Ben altra aria in questi giorni. A Washington il presidentecinese è stato accolto con tutti i crismi. All’aeroporto a riceverlo il vice presidente Biden, ben due cene di gala alla Casa Bianca con Obama. E se i media occidentali hanno dato risalto alla contestazione del Congresso nei confronti del presidente cinese (in Cina la notizia è stata oscurata), la cosa non ha disturbato più di tanto la delegazione di Pechino. Una visita di Stato che si è chiusa trionfalmente a Chicago. La scelta della "windy city" non è stato solo perchè è il cuore del business e sede della Boeing, ma perchè Chicago è anche la sede principale negli Stati Uniti di Wanxiang International, una società che produce componenti auto, e che da lavoro a più americani di qualsiasi altra azienda cinese. Inoltre Chicago sta diventando il maggior centro americano di studio della lingua cinese. Infatti è lì che si trova il Confucius Institute (la risposta della Cina al Goethe Institut della Germania e all’Alliance Francaise della Francia). Quello di Chicago, che Hu ha visitato ieri,è diventato il più grande "Istituto di Confucio" al mondo. Dal 2006, il governo cinese ha inviato circa 1.6 milioni di dollari in fondi e attrezzature alle scuole di Chicago. In città lavorano 58 insegnanti di lingua cinese; supervisionano 12mila studenti di scuole pubbliche che stanno imparando il cinese. Il sindaco Richard Daley ha detto di voler fare di Chicago la città più
"China-friendly" negli Stati Uniti.
Ma soprattutto Hu Jintao torna a casa avendo incassato una cosa importante: il riconoscimento della Cina come partner paritario degli Usa, una nazione con cui Washginton dovrà confrontarsi e non più considerare una nazione a cui si limitava a comunicare le proprie scelte.

 


 









   
 



 
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