Razzisti a ruota libera
 







Daniele Zaccaria




Razzismo strisciante, sfratti forzati, respingimenti inumani, mancata assistenza alle persone bisognose, ripetute violazioni del diritto d’asilo, abusi di polizia, pulsioni xenofobe tra la popolazione. Cari migranti, benvenuti in Italia.
Dal rapporto 2010 dell’organizzazione non governativa Usa "Human right watch" emerge in effetti una fotografia tanto inquietante quanto impietosa del nostro paese, il quale si è conquistato un posto al sole nelle oltre seicento pagine consacrate allo stato dei diritti umani nel pianeta.
Fa una certa impressione vedere il Belpaese affiancato a nazioni tradizionalmente ostili alle libertà politiche e civili come la Cina, l’Iran, l’Egitto, l’Uzbekistan, l’Arabia Saudita o la stessa Tunisia del deposto Ben Alì. Decenni di leghismo e di spregiudicata propaganda politica consumata sulla pelle degli stranieri hanno evidentemente sortito i propri effetti.
Secondo Hrw, la xenofobia che dilaga lungo lo stivale stavarcando la soglia della normalità, diventando un «problema pressante», evidenziato dai numerosi episodi che solo negli ultimi 12 mesi hanno macchiato di vergogna le nostre cronache. A partire dalla rivolta dei migranti di Rosarno del gennaio 2010 che di fatto ha provocato una specie di pulizia etnica autoindotta, spingendo un migliaio di stranieri ad abbandonare la cittadina. Un caso emblematico quello di Rosarno, poiché il volto feroce delle istituzioni si intreccia con il senso comune razzistoide della popolazione, trasformando una tranquilla località della provincia calabrese in un milieu fisicamente pericoloso per i lavoratori immigrati: «Molti paesi hanno espresso preoccupazione sull’elevato tasso di razzismo presente nella società italiana», si legge nel rapporto. Non siamo ancora alle leggi razziali e alle croci infuocate del Ku Kuks Klan, ma la strada è quella.
Bordate a Roma anche sul trattamento riservato alle comunità di Rom e Sinti che «continuano a sopportare un altolivello di discriminazione e povertà nonchè deplorevoli condizioni di vita sia nei campi autorizzati sia in quelli abusivi». Una condizione peraltro denunciata lo scorso ottobre dal Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa, che ha ufficialmente condannato l’Italia, rea di negare ai Rom servizi essenziali come «gli alloggi, l’accesso alla giustizia, all’economia e all’assistenza sociale e legale».
C’è poi il dossier respingimenti, altra nota dolente del rapporto. In sostanza Hrw sottolinea come le politiche contro l’immigrazione clandestina del nostro governo calpestino allegramente le convenzioni internazionali. In primo luogo il diritto d’asilo, negato senza ragione ai migranti in fuga dalla dittatura o destinati ed essere rinchiusi in strutture che assomigliano più a dei campi di concentramento che a dei centri accoglienza: «Frequentemente vengono respinte persone senza verificare se siano bisognose di protezione internazionale». E’ il caso, tanto per fare un esempio,delle «dozzine di cittadini eritrei respinti verso la Libia» ai quali non è stato concesso nessun asilo politico. Oppure del tunisino Mohammed Mannai, accusato di appartenere a un gruppo jihadista e spedito come un pacchetto postale verso le lugubri carceri tunisine.
Dulcis in fundo, le ultime righe del rapporto vengono dedicate anche al G8 di Genova, menzionato a causa del processo ai poliziotti colpevoli di violenze e abusi, condannati sì dai magistrati «ma non sanzionati dal ministero dell’interno che ha comunicato di non volerli sospendere dal servizio».D’altra parte l’impunità di cui godono le nostre forze dell’ordine, tra le poche al mondo che non mostrano sull’uniforme un numero di identificazione, è nota al mondo proprio dalle giornate di luglio 2001 e della «macelleria messicana» di Genova.
Naturalmente l’Italia non è il solo paese occidentale finito nel mirino di Hrw. Pesanti (e rituali) accuse sono cadute sugli Stati Uniti e sul loro sistema carcerario (Guantanamo epena di morte), alla Francia di Sarkozy e alle sue deportazioni oltre confine di decine di migliaia di Rom. O all’Unione europea e alle stesse Nazioni Unite, timide ed esitanti nel condannare le nazioni in cui la libertà è messa sotto attacco.
Complessivamente è la natura molle e cinica della diplomazia occidentale ad essere stigmatizzata da Human Right Watch: «Anziché opporsi con fermezza ai leader violenti, molti governi, tra cui alcuni Paesi membri dell’Unione europea adottano politiche che non generano pressioni volte a un cambiamento. La Ue, anche nei confronti di chi viola i diritti umani, sembra essere orientata a sposare l’ideologia del dialogo e della cooperazione». Laddove per dialogo e cooperazione si intendono lucrosi affari, ossia il cuore pulsante della realpolitik contemporanea e dei suoi ipocriti interpreti che non esitano a sacrificare i principi se all’orizzonte si profila un proficuo scambio commerciale. Nell’ultimo anno, oltre alla solita Cina, è accaduto conUzbekistan e Turkmenistan con cui l’Unione europea ha firmato contratti di cooperazione per miliardi di euro nonostante la feroce repressione che questi paesi esercitano contro gli oppositori interni. Insomma, Ue e Onu adottano il classico doppio discorso: da una parte parole indignate verso chi calpesta i diritti umani, dall’altra accordi economici con chiunque sia disposto ad aprire il portafoglio.









   
 



 
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