Arsenali nucleari, in vigore il nuovo trattato Ma il disarmo è lontano
 







Matteo Alviti




Si chiude alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, in Germania, la parabola dello Start II. Dopo due anni di sottile lavoro diplomatico, il nuovo trattato per la riduzione degli arsenali nucleari è entrato in vigore ufficialmente ieri, con lo scambio fisico dei documenti sottoscritti dai presidente russo e statunitense lo scorso aprile, e approvate dai rispettivi parlamenti tra dicembre e gennaio.
Proprio a Monaco, due anni fa, il vicepresidente Usa Joe Biden aveva lanciato la proposta del «reset» nelle relazioni con la Russia. I rapporti tra i due paesi erano allora ridotti ai minimi termini, dopo il duro confronto sull’allargamento della Nato e la guerra in Georgia. Lo Start II - sostitutivo del vecchio trattato scaduto già nel 2009 - prevede che le due nazioni che possiedono il 95 per cento dell’arsenale nucleare mondiale riducano a 1550 le testate strategiche entro i prossimi sette anni. Una riduzione del 30 per cento rispetto al trattatodi Mosca del 2002. I due paesi avranno un tetto di 700 armi intercontinentali - tra missili e bombardieri. Sempre abbastanza per cancellare la civiltà dalla faccia della terra. Ma da domani le due potenze inizieranno un importante confronto fatto di verifiche e di comunicazioni periodiche sullo stato dei rispettivi arsenali.
La strada verso il disarmo nucleare totale, uno degli obiettivi strategici annunciati dal presidente statunitense Obama, rimane al di là da venire. E gli ostacoli all’orizzonte sono già molti. Incluse le forti differenze tra Washington e Mosca sul taglio delle armi nucleari tattiche. Gli Usa vorrebbero discuterne entro un anno. Ma la Russia, che possiede in questo settore un arsenale molto più importante, intende iniziare solo quando ogni paese avrà confinato le proprie armi nucleari tattiche all’interno dei propri confini. Rimane dunque aperto e vivo il confronto sullo scudo missilistico che dovrebbe "proteggere" l’Europa.
Ma la conferenza sulla sicurezzadi Monaco, ieri, è stata incentrata sulla situazione mediorientale, egiziana in particolare. Diversi capi di stato hanno messo in evidenza i rischi della transizione nel paese nordafricano. La segretaria di stato statunitense Hillary Clinton ha ribadito il pericolo - la grande paura del suo paese - che la strada verso la democrazia possa deviare verso il «caos» e finire la sua corsa in un sistema autocratico. «Il passaggio alla democrazia funziona solamente quando è ben pianificato, comprende tutti ed è trasparente», ha dichiarato Clinton. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha "consigliato" al popolo egiziano di non correre. Organizzare elezioni in tempi troppo brevi sarebbe - ha affermato ieri la politica cristianodemocratica cresciuta nella Germania dell’est - «sbagliato»: «bisogna evitare un vuoto di potere».
E la Germania potrebbe presto diventare protagonista nel futuro della rivoluzione egiziana. Il New York Times ha ventilato ieri la possibilità che il presidenteMubarak si ritiri proprio nel paese di Merkel, prolungando l’abituale soggiorno per un checkup medico già previsto. In questa direzione starebbe lavorando la diplomazia statunitense.

 









   
 



 
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