IL -GIORNALISMO DA TOPI-
 







di Matthew Lewin




Si arriva sulla scena di un evento, si fa una foto e si scappa via: secondo Robert Fisk – il corrispondente di The Independent dal Medioriente – è l'unico giornalismo possibile oggi in Iraq 
Robert Fisk, il notoriamente intrepido corrispondente dal Medio Oriente per l'Independent, ha rivelato che ora la situazione in Iraq è così pericolosa che non sa più se potrà tornarvi a lavorare ancora o meno. Fisk, che qualche tempo fa aveva accusato i colleghi di praticare il "giornalismo da hotel" in Iraq, ora ha detto che oggigiorno il "giornalismo da topi" è il massimo che si possa fare nel paese.
Fisk, il cui nuovo lavoro sul Medio Oriente, 'The Great War for Civilisation', è appena stato pubblicato, ha descritto il giornalismo da topi come la pratica di spuntare sulla scena di un evento e rimanervi giusto in tempo per registrare l'accaduto, prima che arrivino gli uomini armati. Parlando in una libreria a Golders Green [nord-ovest di Londra,NdT], ha detto: "Non potete immaginare quanto le cose sianno messe male in Iraq".
"Poche settimane fa, sono andato ad incontrare un uomo il cui figlio era stato ucciso dai soldati americani e sono rimasto nella sua casa per cinque minuti, prima che alcuni uomini armati comparissero fuori in strada. È dovuto uscire per convincerli a non portarmi via. E questo era un sobborgo qualunque di Baghdad, non ci trovavamo nel Triangolo Sunnita o a Fallujah. Siamo arrivati al punto in cui, per esempio, quando andavo a dare un'occhiata alla scena di una grande esplosione in una stazione degli autobus, dovevo uscire dall'auto e scattare due foto prima di essere regolarmente circondato da una folla di iracheni in collera. Saltavo di nuovo nell'auto e me la davo a gambe".
"Io lo chiamo 'giornalismo da topi' - ed è tutto quello che al giorno d'oggi si riesce a fare. Se vado ad incontrare qualcuno in una località particolare, mi do 12 minuti, perchè questo è il tempo che ritengo impieghi un uomocon un telefono cellulare a chiamre a radunare degli uomini armati automuniti. Così, dopo 10 minuti, sono fuori. Non essere avido. Questo è ciò che significa fare il reporter oggi in Iraq".
Fisk ha continuato: "Ora questo paese è un inferno, un disastro. Non potete immaginare quanto le cose siano messe male. Il ministro della salute iracheno, controllato dagli americani, non fornisce alcuna cifra per le vittime civili; al 'personale governativo' non è permessso fornire quelle cifre. Un giorno, circa due settimane fa, sono andato all'obitorio di Baghdad: alle 9 di mattina c'erano nove corpi senza vita, nove cadaveri da morte violenta. Prima di mezzogiorno, i corpi erano diventati 26. Quando sono riuscito ad accedere al sistema informatico dell'obitorio, ho scoperto che in luglio solo a Baghdad gli iracheni uccisi erano stati 1.100. Basta rapportare questa numero a tutto l'Iraq e si può parlare di circa 3.000 morti al mese o più: significa 36.000 all'anno. Quindi, le cifre secondo lequali ci sarebbero state 100.000 vittime civili irachene dall'inizio della guerra non sono necessariamente caute. Ma nessuno vuole parlarne".
"Una delle gioie dei poteri occupanti è il fatto che i giornalisti non possano muoversi. Quando viaggio per strada fuori Baghdad mi ci vogliono anche due settimane per arrivare a destinazione: le strade sono infestate da insorti, checkpoint, uomini incappucciati e taglia-gola. Così vanno le cose".
"È quasi impossibile avere accesso all'informazione libera fuori da Baghdad o da Bassora. La maggior parte dei repoter che possono viaggiare lo fanno in veste di membri dei convogli militari, e hanno protezioni garantite. L'ultima volta che ho viaggiato a Najaf, la strada era ricoperta di veicoli americani in fiamme, veicoli della polizia fracassati, checpoint abbandonati e uomini in armi. Questo è l'Iraq di oggi: è un paese in uno stato di anarchia assoluta. Ricordiamo che molte aree di Baghdad sono infatti ancora nelle mani degliinsorti".
Fisk ha sottolineato: "Questo è un tipo di guerra di cui non ho mai fatto reportage prima. Se siamo ancora vivi è solo per puro caso".
E la situazione, anzichè migliorare, sta peggiorando molto. Non credete a quello che Blair e gli altri vi stanno raccontando. È molto triste dover ammettere che non si sa se si riuscirà ancora a fare i reporter in Iraq. Personalmente, non so se ci potrò ancora andare".
"Quest'ultimo viaggio è stato così pericoloso e spaventoso che ho detto a tanti altri colleghi di valutare bene se valeva la pena rischiare ancora così tanto".da Nuovi Mondi Media. Tradotto da Carlo Martini per ZNet

 


 









   
 



 
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