-Le rivoluzioni a cui stiamo assistendo oggi, a partire dalla Tunisia e dall’Egitto, rappresentano una sorta di "seconda decolonizzazione" del mondo arabo, con altri obiettivi e sfide da raggingere rispetto alla stagione delle indipendenze nazionale. Oggi questi obiettivi riguardano il diritto all’educazione, l’apertura al mondo della società. Quanto sta accadendo ora è anche il prodotto degli aspetti positivi della globalizzazione che hanno aiutato le persone a guardarsi attorno, a parlare senza paura e ad aver voglia di unirsi per difendere battaglie comuni per la libertà. E’ una seconda decolonizzazione che, questa volta, non vuole più cacciare i rappresentanti del colonialismo inglese o francese, ma i despoti e i dittatori locali-. Scrittrice, giornalista, Leila Marouane è nata nel 1960 a Djerba, in Tunisia, dove la sua famiglia viveva in esilio dall’Algeria. Dopo l’indipendenza algerina dalla Francia, ha vissuto ad Algeri fino al 1990 quandoè stata a sua volta costretta all’esilio. Da Parigi, dove vive da allora, non ha però mai smesso di partecipare alla lotta per la libertà del Maghreb. Tra i suoi romanzi tradotti nel nostro paese: Doppio ripudio (Epoché, 2004), Il castigo degli ipocriti (Epoché, 2006) e Vita sessuale di un fervente musulmano a Parigi (Edizioni E/O, 2009). Prima l’Algeria, quindi la Tunisia e, ora, l’Egitto, passando per lo Yemen e la Giordania. Pensa che questo movimento per la democrazia sarà in grado contagiare l’intero mondo arabo? Lo penso, e come attivista della causa dei diritti dell’uomo, come donna laica e democratica, me lo auguro. Sono convinta che questo movimento non possa che progredire, che non si possa che andare avanti verso una maggiore democratizzazione e che, in nessun modo, si possa tornare allo status quo precedente. Gli eventi a cui stiamo assistendo sono il prodotto di molte cose, si sono potuti sviluppare grazie alle reti sociali presenti in questi paesi,a una piattaforma sociale che chiede diritti e libertà, ai nuovi mezzi di comunicazione e alla stessa diffusione dei media. Oggi le persone hanno compreso di avere dei diritti, fin qui calpestati e occultati, e proprio per questo non saranno più disposte a rinunciare alla loro libertà. Tra gli opinionisti occidentali c’è chi liquida tutto questo dicendo: siamo sicuri che questi popoli siano pronti per la democrazia? Ma come ci si deve preparare per chiedere il diritto a una vita decente e ad esprimere le proprie opinioni? In molti avanzano la preoccupazione che a trarre vantaggio da queste rivolte potrebbero essere le organizzazioni islamiste, lei non ha questo timore? Assolutamento no. Al contrario, credo che quanto sta accadendo nel mondo arabo possa sconfiggere definitivamente l’islamismo. Perché dico questo? Perché le mobilitazioni di queste settimane sono accompagnate da una riflessione spontanea sulla natura del potere: nessuno ha voglia di passare da unregime totalitario laico a un regime, ugualmente totalitario, ma di tipo religioso. In piazza Tahrir, la "piazza della libertà" del Cairo, solo pochi giorni fa dei giovani hanno modificato un cartello, sui cui era scritto "Allah è con noi", sostituendo la parola Allah con Facebook: un vero atto "blasfemo" (ride) che in un altro momento avrebbe suscitato anche aspre reazioni e che invece in quel contesto non ha spaventato nessuno. Questo perché le persone che manifestano in questi giorni sono consapevoli che la battaglia comune è sui diritti e su niente altro. E a chi dice che l’unica opposizione organizzata in grado di offrire un’alternativa politica ai regimi oggi in carica è costituita dai partiti e movimenti di ispirazione islamista, cosa replica? Che semplicemente non è vero. Le rivolte di oggi non vengono dal nulla, sono anche il risultato del lavoro fatto fin qui, talvolta da decenni, dai gruppi dell’opposizione. Militanti democratici e della sinistra,sostenitori dei diritti dell’uomo e sindacalisti sono stati sistematicamente incarcerati, torturati o addirittura eliminati in Tunisia, Egitto, Algeria e via dicendo. Quelli che manifestano ora sanno bene come sono andate le cose fin qui, il grado di repressione che ha colpito in tutti questi anni le opposizioni. E sanno altrettanto bene che c’è un’altra possibilità rispetto alla morsa tra autoritarismo laico e islamismo politico che ha stretto negli ultimi anni le sorti dell’intero mondo arabo. Anche perché in paesi come l’Algeria la popolazione ha avuto modo di verificare sulla propria pelle, dopo quella del regime militare, anche la violenza degli islamisti: qualcuno in Europa sembra dimenticarsi troppo spesso che l’islamismo ha fatto più male alla gente del "Terzo mondo" che a quella dell’Occidente. Non solo, in paesi come l’Algeria gli islamisti sono stati di fatto "costruiti" dal regime per dividere l’opposizione e per evitare che le spinte democratiche, che facevano paura,avessero la meglio.
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