Si è conclusa ieri a Napoli la tre giorni "I diritti alla prova della crisi. Riscattare il futuro e la felicità" con gli operatori sociali che in gran parte del Paese cercano di difendere un welfare sempre più rimosso dalle scelte della politica locale e nazionale. Tre giorni intensi di dibattiti, di workshop (5) a cui hanno partecipato oltre 700 persone in rappresentanza di cooperative ed imprese, con esperti del settore, sociologi e rappresentanti sindacali. Ne è emersa una volontà di mobilitazione di cui racconta Sergio D’Angelo, portavoce del comitato "Il welfare non è un lusso" che ha promosso l’iniziativa. A lui chiediamo il senso di questa sigla. «Significa una cosa che non capisce più nessuno. Il welfare è diventato un lusso perché non è più considerato compatibile con la spesa pubblica. Non parlo solo dell’insieme specialistico di risposte offerto dagli operatori ma del modo stesso dello stare insieme delle persone, di qualità e quantitàche si definiscono per la visione stessa della società. Si ragiona di tagli considerando questo uno spreco. Noi non pensiamo solo alla difesa dei posti di lavoro e delle competenze costruite negli anni. Ci preoccupa l’idea che si ha del welfare, eppure non c’è famiglia che non ne sia o che non potrà essere coinvolta. La fragilità è una condizione umana generale, presente o futura. Noi vogliamo condurre una battaglia originale per rovesciare il paradigma novecentesco secondo cui il welfare è una mediazione risarcitoria fra capitale e movimento dei lavoratori. Oggi non dobbiamo più ragionare sulle condizioni di partenza ma sui traguardi che ogni persona deve poter raggiungere». State dando vita ad un vero movimento? Sì, originale perché suscitato dagli operatori sociali e per le forme scelte. Partiamo da Napoli che per me è una profezia, dove le contraddizioni sono esplose in maniera più evidente, dove da 5 mesi ci sono mobilitazioni che coinvolgono anche iparenti degli utenti e le persone comuni. Si tratta di un movimento che vuole ragionare di coesione, quella che è possibile solo grazie a chi si occupa degli ultimi. Il taglio alle spese sociali è doppiamente scriteriato: fa venire meno diritti fondamentali e porta a destinare più risorse per risposte istituzionalizzanti. Basti pensare alle carceri che scoppiano, alle strutture private per chi soffre di disagio psichico e che sono manicomi camuffati. Si spende per medici e psicofarmaci senza prospettare percorsi di liberazione e di autonomia. Un movimento che pur partendo e volendo mantenere la propria dimensione localista vuole uscire da una logica settoriale e coordinarsi a livello nazionale. La nostra iniziativa è riuscita a chiamare a raccolta esperienze di mezza Italia, abbiamo capito che quello che capita a noi si lega ai tagli che vengono fatti alla scuola, alla cultura, alla sanità, alla perdita dei diritti in tutto il mondo del lavoro. C’è un filo rosso da esplicitare e da cuitrarre un terreno comune unificante delle tante vertenze. I lavoratori Fiat sono sovrapponibili agli operatori sociali e a quelli falciati dal ddl Gelmini. L’8 marzo faremo una riunione di coordinamento nazionale e ad aprile stiamo programmando una grande manifestazione nazionale. Oltre ai tagli operati dal governo Berlusconi sembra mancare una vera e propria cultura del welfare Pensiamo che le difficoltà nascano dalla scelta di non considerare il welfare come un paradigma. Tanto a livello nazionale come a quello locale sono mancate scelte di governo anche da parte del centro sinistra. Se abbiamo città violente e povere è perché non ci sono misure di contrasto alla povertà. Siamo il solo Paese Ue insieme alla Grecia a non avere un reddito minimo di inserimento. Eppure ci sono città o quartieri del meridione in cui il Pil pro capite è inferiore a quello dei paesi del Maghreb. Quanto accade al sud non ha precedenti dal dopoguerra. Il sud è considerato "palla alpiede", c’è un livore secondo cui veniamo descritti come fannulloni e ultrafinanziati. Un mito sfatato dai fatti. Gli economisti dicono il contrario, si toglie al sud per dare al nord. Basta guardare i criteri di riparto del fondo sanitario nazionale, la gestione fondi aree sottosviluppate. In realtà la politica trascura il tema della giustizia sociale e dell’eguaglianza. Sono contraddizioni in maniera più palese oggi ma che vengono da lontano e il solco lo ha scavato il centro sinistra. Noi stiamo dalla parte dei bambini, delle donne, degli immigrati e degli ultimi, la sinistra deve scegliere. Il Paese sembra avviato verso una idea di welfare caritatevole E’ una delle retoriche più care alla destra, come quella della famiglia. La sinistra ha utilizzato quella della "solidarietà" o quella ancora più incomprensibile dell’"universalità selettiva". Invece dovremmo parlare della ricostruzione di regole dello stare insieme necessarie anche alle persone che non stannomale. Il Sud ad esempio è diviso fra una percentuale altissima di persone che vive in condizioni pessime e una fascia più ridotta che sta bene ma che vive in città incarognite. Si risponde che non ci sono i soldi ma è una risposta poco credibile. Bisogna rivedere le priorità. Se ci sono le risorse per il ponte sullo stretto, se c’è una evasione fiscale di 30 mliardi di euro, se si paga una cifra indegna di interessi sul debito pubblico, se non si tassano adeguatamente, come si fa nel resto d’Europa, le rendite parassitarie e le transazioni finanziarie, se si danno fondi alla scuola privata e si incrementano le spese militari significa che i soldi ci sono ma non li si vuole spendere nel modo migliore. E poi c’è la situazione lavorativa degli operatori sociali Da quanto detto è un errore considerare questo aspetto centrale. Ma dobbiamo parlare del profilo normativo che mantiene in condizioni drammatiche i lavoratori e le lavoratrici sociali. Nel Sud i tempi medidi pagamento alle cooperative per i servizi svolti sono di 24-30 mesi, col risultato che le cooperative, le imprese sociali, il terzo settore, spesso non ce la fanno a pagare gli operatori, che restano anche 8 mesi senza stipendio. Purtroppo si è portati a pensare che questi garantiscano un lavoro di serie B, ci si accorge di chi protesta in una fabbrica ma non di chi non può lasciare allo sbando gli utenti. Non si vede che raramente una reazione della società, dei sindacati, della politica e anche della sinistra. Stefano Galieni
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