Alleati in disaccordo tranne che sulla guerra
 











I bookmaker danno al ribasso le scommesse su una rapida soluzione della crisi libica. A Londra, dove ieri si è tenuta la conferenza internazionale sulla Libia a cui hanno partecipato i ministri degli Esteri di 37 paesi, oltre a Ue, Lega Araba, Onu e Nato, si è parlato, tra le alte cose, di ipotesi sull’esilio di Muammar Gheddafi. Ma mentre nella capitale britannica si preparavano gli incontri, le truppe del Rais di Tripoli riprendevano il controllo di Nawfaliyah, 120 chilometri a est di Sirte, costringendo i ribelli a ripiegare verso est di altri trenta chilometri, fino a Ben Jawad in un primo momento, poi a Ras Lanuf, a 200 chilometri. Le forze fedeli a Gheddafi hanno ripreso ieri anche gli attacchi su Misurata e Zintan, in Tripolitania. Secondo fonti mediche l’offensiva a Misurata ha provocato dal 18 marzo la morte di 142 persone. I feriti sono 1.400, di cui una novantina gravi. Questa la situazione sul terreno nonostante il massiccio interventomilitare aereo e navale della coalizione internazionale, autorizzato dalla risoluzione Onu 1973, il cui comando passerà giovedì in forma ufficiale alla Nato. Il trasferimento di consegne è stato al centro di un discorso alla Nazione del Presidente Usa Barack Obama, messo sotto torchio al Congresso sia sull’opportunità di intervenire nel conflitto in Libia, che per la mancata consultazione sull’intervento. Nel suo discorso, trasmesso martedì sera in tv, Obama non ha mai usato la parola guerra. Si è appellato ai valori americani, evocando la necessità di assumersi responsabilità verso la salvaguardia dei civili libici e della loro libertà, prima che fosse troppo tardi. Il Presidente americano ha parlato di «violenze orribili» in Libia, che la sua coscienza gli imponeva di fermare. In sostanza Obama ha giustificato la necessità dell’azione in nordafrica per evitare una riedizione del Ruanda o di Sebrenica, in Bosnia. Allo stesso tempo però il messaggio di Obama agli elettori americani èstato incentrato sul fatto che Tripoli non è e non sarà una nuova Baghdad. I popoli che aspirano ad essere liberi, ha concluso Obama, troveranno un amico negli Stati Uniti. Dello stesso avviso sono la maggior parte dei quaranta partecipanti alla Conferenza di Londra. All’ultimo minuto l’Unione africana si è tenuta fuori dal meeting. Si tratta di una defezione di rilievo, se si considera che il conflitto oggetto del summit si svolge nel continente africano. Per quanto abbiano a cuore la libertà dei popoli, gli Usa, la Francia o la Gran Bretagna, come pure i paesi arabi che appoggiano attivamente l’intervento in Libia, non hanno in programma azioni militari in Yemen, Siria, o Bahrein, tanto per citare paesi in cui civili sono stati uccisi in piazza dai rispettivi regimi.
Sulla necessità di intervenire in Libia mostrano dubbi sempre più forti la Cina, che chiede un cessate il fuoco immediato e la Russia, che si è tenuta fuori dal vertice di Londra, pur definendo utile la formazione diun gruppo di contatto. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha detto ieri a Londra che l’intervento internazionale ha «evitato una catastrofe umanitaria», aggiungendo che la transizione ad un sistema democratico in Libia «richiederà tempo».
Anche se Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) di Bengasi non figurava tra i partecipanti ufficiali alla Conferenza di Londra, in occasione della riunione di ieri l’opposizione libica ha presentato un piano per il dopo-Gheddafi. Il progetto, detto "Visione per una Libia democratica" è incentrato sul modellare lo Stato libico che verrà al principio della separazione dei poteri. Il piano prevede la stesura di una Costituzione e l’introduzione del multipartitismo al fine di arrivare ad elezioni libere. Il Cnt, si legge nel documento presentato alla Conferenza, si propone di dar vita a una Libia che prenda parte alle attività della comunità internazionale in modo «attivo, costruttivo» su base «egalitaria».
A margine dellaConferenza, il Premier britannico David Cameron ha avuto un colloquio con l’inviato del Cnt Mahmoud Jabril che gli ha detto che per il leader libico non ci deve essere un esilio ma un processo da farsi a Tripoli.
Lo stesso ha fatto il ministro italiano Frattini. L’Italia è stata un po’ la Cenerentola della riunione, come ha chiaramente mostrato l’esclusione di Berlusconi alla videoconferenza tenuta il giorno prima tra Angela Merkel, Barack Obama, Nicolas Sarcozy e David Cameron. Per Frattini l’assenza dell’Italia sarebbe un dettaglio, dato che il ruolo centrale del nostro paese tra gli alleati occidentali è confermato dall’assunzione del comando navale delle operazioni Nato. La videoconferenza a quattro, ha spiegato il ministro in un’intervista a Radio 24 «è stata un tentativo da parte di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di riagganciare una Germania problematica». Sarà, ma gli altri c’erano e Berlusconi no. Non perchè avesse altri impegni.
Il convitato di pietra dellaConferenza di Londra, Muammar Gheddafi, ha fatto sentire a distanza la sua voce. Ha inviato ai partecipanti alla Conferenza un messaggio in cui definisce l’offensiva militare internazionale nel suo paese «una barbarie». «Siete come Hitler», ha concluso il Colonnello. Fidel Castro lo appoggia definendo « fascista» la guerra «scatenata dalla Nato» contro la Libia.
L’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice ha confermato in un’intervista alla televisione Abc che Washington non esclude la fornitura di armi agli insorti.
Il comunicato finale della Conferenza di Londra parla della necessità di continuare lo sforzo militare fino all’attuazione dell risoluzione 1973.
Sul fronte mediorientale i bahatisti iracheni offrono invece aiuto militare a Gheddafi. L’indicazione dei bookmaker sul protrarsi del conflitto in Libia potrebbero rivelarsi azzeccate. Francesca Marretta









   
 



 
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