Amministrative Milano, Pisapia costretto a querelare Moratti
 











Moratti -Pisapia

Dopo una campagna elettorale che fino a una decina di giorni fa era stata contrassegnata da encomiabile fair play, Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, candidati per il centrodestra e il centrosinistra per la poltrona di sindaco di Milano, hanno abbandonato la linea morbida tanto che il duello in tv davanti alle telecamere di Sky si è concluso senza una stretta di mano e una querela di Pisapia alla Moratti. Giuliano Pisapia ha deciso di querelare Letizia Moratti per le sua affermazioni. La querela è per diffamazione aggravata dopo che Moratti, al termine della trasmissione e senza aver potuto dare diritto di replica all’altro candidato, lo ha accusato di aver compiuto "un furto d’auto". Giuliano Pisapia ha subito deciso di ricorrere alle vie legali per tutelare la propria immagine dalle accuse rivoltegli dall’avversario. «E’ evidente che Letizia Moratti è disperata - si legge nella nota -. Fidandosi di qualche manina sporca che fabbrica dossier adarte è incappata in un clamoroso errore. Ha diffamato Giuliano Pisapia alla fine della registrazione del confronto su Sky TG24, pensando di approfittare come in un agguato del diritto di parlare per ultima». Carte alla mano Pisapia contesta l’accusa rivoltagli dall’avversaria: «Letizia Moratti ha accusato Giuliano Pisapia di essere responsabile di un furto, citando una sentenza della Corte d’Assise, che dichiarava il reato estinto per amnistia. Nonostante l’amnistia, Giuliano Pisapia presentò appello, accolto. La III Corte d’Assise d’Appello di Milano presieduta dal dott. Luigi Maria Guicciardi nel procedimento n.76 del 1985 ha assolto Giuliano Pisapia per non aver commesso il fatto». Pisapia ha citato direttamente la sentenza nel passaggio: «In conclusione non vi è prova - nè vi sono apprezzabili indizi - di una partecipazione del Pisapia, sia pure solo sotto il profilo di un concorso morale, al fatto per il quale è stata elevata a suo carico l’imputazione di furto, dalla qualel’appellante va pertanto assolto per non aver commesso il fatto». «Tale sentenza di assoluzione con formula piena - ha concluso - è passata in giudicato ed è quindi definitiva».









   
 



 
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