E’ un “pianeta in guerra” quello in cui viviamo. Guerra tra popoli, guerra per le risorse, guerra per il dominio e la ricchezza. In questo gioco al massacro il conto, salato, è pagato dall’ecosistema. Lo dice senza mezzi termini Sergio Segio, coordinatore del “Rapporto sui diritti globali” (presentato oggi a Roma), in una lunga riflessione che più che altro è un’accusa alla “insostenibile pesantezza del modello dominante”. L’analisi è spietata: parla di guerre fatte per smaltire arsenali obsoleti e per testarne di nuovi, riferisce di conflitti “esternalizzati” e affidati a mercenari, come se si trattasse di un lavoro in subappalto. In questi war games però la gente continua a morire e spesso le vittime sono civili: nel solo 2010 in Afghanistan se ne contano 2.777, mentre in Iraq dal 2003 sono caduti in 100 mila. Davanti a queste cifre suonano ancor più crudeli gli ossimori “guerre umanitarie” e “missioni militari di pace”. In realtà, dice Segio,“la guerra è solo una forma di colonialismo: non si combatte per gli ideali o la democrazia, si combatte per le risorse. E così facendo ci si dimentica delle altre emergenze e priorità”. “Se si bruciano enormi risorse per finanziare guerre, non ce ne sono per combattere la povertà”, spiega il coordinatore del rapporto, secondo cui, allo stesso modo, distruggendo le agricolture locali si rafforzano le multinazionali e restando ostaggio della finanza si impedisce quella riconversione ecologica necessaria quanto improrogabile. E ancora: “Se si bombarda la Libia e non si sostiene la democratizzazione è inevitabile che si incentivino le ondate di profughi”. In tutto questo l’Italia non fa una bella figura: ai conflitti contribuisce producendo, ad esempio, quelle armi impiegate in Libia, targate Finmeccanica. E poi si lamenta dell’arrivo dei profughi, dando corda a quelli che Segio bolla come “professionisti dell’egoismo e del rancore” e credendo alla “eterna bugia dell’aiutiamoli a casaloro”. Non si fa neanche più lo sforzo di indignarsi davanti alle migliaia di vittime del mare. Anche se, fortunatamente, ci sono “proliferazioni spontanee” di altruismo e solidarietà. Intanto, il paese è ostaggio della “bulimia penitenziaria” e messo alla prova dalla “macelleria sociale” che ha portato tagli del 78% agli investimenti sociali. Di strade percorribili, eppure, ce ne sarebbero, come la lotta seria all’evasione fiscale, la tassa sulle transazioni finanziarie e quella sulle ricchezze. Non resta quindi che lanciare un avvertimento e una richiesta. Il primo: “Ciò che avviene oltre il Mediterraneo dovrebbe porre qualche riflessione sull’intollerabilità dell’ingiustizia sociale e della povertà di prospettive per le nuove generazioni”. La richiesta: “Restiamo umani” come voleva Vittorio Arrigoni. Il Rapporto è realizzato da Associazione SocietàINformazione e promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Fondazione Basso–sezione Internazionale, Forum Ambientalista,Gruppo Abele, Legambiente, Vita. Redattore Sociale
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