Lettera di una migrante a Giorgio Napolitano
 











Presidente Napolitano

Sig. Presidente della Repubblica,
sentendo le sue dichiarazioni a Villa Vigoni durante il seminario sul futuro dell’Europa, non ho potuto che provare un attimo di schizofrenia nel cercare di collocare la mia persona in quella distinzione che lei ha fatto tra «immigrazione legale e illegale». Con la prima lei si riferisce agli immigrati regolari, comodi per l’economia italiana, «anche se di non alta qualifica professionale», mentre nella seconda ci sarebbe l’immigrazione illegale «scomoda» e «riluttante a integrarsi».
Ho pensato alla mia vita. In quale categoria mi collocherebbe Lei, Sig. Presidente? Vale di più il mio essere stata per diversi anni una immigrata «clandestina» o il mio essere ora una lavoratrice «comoda» per l’economia italiana, «anche se di non alta qualifica professionale» (visto che di lauree non ne ho)?
Dopo questo dubbio amletico, a cui spero Lei potrà rispondermi, non ho potuto che sentirmi fortunata per esserescampata, durante i miei anni di "clandestinità", ai respingimenti e alle espulsioni che lei si auspica si realizzino con maggiore «decisione e rapidità» nei confronti dei cosiddetti immigrati irregolari.
Irregolari o regolari? Se dipendesse da noi, sig. Presidente, nessuno tra i migranti vivrebbe in clandestinità. Ma purtroppo la nostra non è una situazione scelta, ma imposta dall’illogicità di una legge sull’immigrazione che non riesce neanche a "gestire" le migrazioni come vorrebbero i politici.
Come è possibile "gestire" l‘immigrazione se il meccanismo cardine per l’ingresso dei migranti in Italia è quello del decreto flussi? Un meccanismo che prevede che un datore di lavoro che non mi hai mai vista in faccia decida di chiamarmi dal mio paese a lavorare in Italia.
Lei, Sig. Presidente, il meccanismo del decreto flussi dovrebbe conoscerlo bene, visto che la legge che lo ha introdotto porta il suo nome e quello dell’onorevole Turco. Dovrebbe però anche avere l’onestà diammettere che quel meccanismo non ha mai funzionato.
Sono anni che le associazioni di immigrati e antirazziste fanno proposte sui meccanismi di regolarizzazione. Sono anni che denunciano che il maggior "produttore" di clandestinità è proprio quel meccanismo folle e irrealistico.
Eppure le soluzioni ci sarebbero. Per esempio, permettere agli immigrati di entrare regolarmente in Italia, per un periodo che può essere di 6 mesi o un anno, per ricercare lavoro, avendo le risorse per mantenersi come quando si arriva per turismo.
E quando il migrante trova un lavoro potrà convertire il proprio permesso in lavoro subordinato. Lei pensa, sig. Presidente, che se esistesse questa possibilità il migrante pagherebbe le mafie per entrare in Italia? Nessuno di noi rischierebbe la vita (o i soldi) inutilmente, quindi le mafie scomparirebbero.
Oppure, perché non permettere che si regolarizzi chi si trova già in Italia e ha un datore di lavoro disposto ad assumerlo? Vogliamo continuare conla farsa del decreto flussi che costringe i datori di lavoro a inoltrare pratiche per lavoratori che sono già alle loro dipendenze? In questo modo si favorisce il lavoro nero e si alimenta la malavita (italiana e straniera) che giocando sulla disperazione dei migranti vende contratti di lavoro a sei, sette, otto mila euro (come è successo durante la sanatoria truffa del 2009). Lei potrebbe dire: i migranti sbagliano perché pagano. Ma lei cosa farebbe se fosse questa l’unica possibilità per uscire dalla condizione di clandestinità e poter tornare ad abbracciare i suoi? Glielo dice una che ha dovuto utilizzare questi "escamotage" per poter diventare una lavoratrice "comoda" per l’economia italiana.
O ancora. La lotta contro il lavoro nero. Noi migranti siamo i primi interessati a condurre questa lotta. E siamo disposti a denunciare chi ci tiene a lavorare in nero. Ma se ora lo facciamo l’unico "vantaggio" che abbiamo è l’espulsione dal paese. Perché non instaurare un meccanismo chepermetta il rilascio di un permesso a chi denuncia il datore di lavoro che lo tiene a lavorare in nero?
Io sogno un mondo un cui sia bandita la parola straniero e non esistano più le frontiere ma sono ben consapevole che per raggiungere questo traguardo è necessario preparare il terreno. In altre parole, ciò vuol dire formulare proposte, indicare obiettivi concreti, avanzare rivendicazioni e lottare per realizzare tutti i cambiamenti che ci possano avvicinare alla realizzazione del sogno.
Mi sembra che di proposte in questi anni il movimento dei migranti e degli antirazzisti ne abbia avanzate. Ma per realizzarle ci vorrebbe un governo che decida di smettere di utilizzare la "questione delle migrazioni" in termini ideologici.
Arriverebbero tutti? Recentemente abbiamo avuto una prova che non sarebbe cosi. Dei 500 mila profughi che erano sull’altra sponda del mediterraneo nei campi come Ras Jehdir in Tunisia soltanto 30 o 40 mila hanno deciso di attraversare il mare. Il restosono tornati, per volontà propria, ai loro paesi e l’"invasione", tanto sbandierata dalla Lega, non c’è stata.
Sig. Presidente, io potevo certamente scegliere di rimanere nel mio paese, e di non vivere l’esperienza della clandestinità. Ma la invito a chiedere ai suoi connazionali emigrati in Germania se avrebbero rinunciato al sogno di un futuro migliore? L’essere nato in una o nell’altra parte del mondo è solo una casualità, se lo ricordi sig. Presidente.
Edda Pando









   
 



 
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