Gli Stati Uniti perdono pezzi: fallisce lo Stato del Minnesota
 











Verrebbe da dire fuori uno, ma la notizia è di quelle che preannunciano un futuro nero e burrascoso. Il Minnesota, nel nord degli Stati Uniti, dichiara fallimento e chiude gli uffici pubblici, i parchi e manda a casa 24mila dipendenti. Ufficialmente sono tutti in "furlough", vale a dire sospesi dall’impiego senza retribuzione fino a nuovo ordine. Operativi solo i servizi sanitari e di sicurezza di base e le università. Come si sia arrivati a tutto questo è dovuto a venti anni di governo repubblicano, incentrato sulla diminuzione delle tasse per i ricchi e tagli al welfare, hanno messo in difficoltà le finanze statali. Il governatore attuale, il democratico Mark Dayton, non è riuscito a risollevare le finanze pubbliche anche a causa del sabotaggio repubblicano. Nel parlamento di Minneapolis i democratici non hanno una maggioranza sufficiente a emanare leggi senza l’appoggio dell’opposizione e sono rimasti ostaggio dell’ostruzionismo dei repubblicani.Il Minnesota ha un deficit di bilancio da 3,6 miliardi di dollari. Dayton ha a lungo cercato un’intesa, ma i repubblicani sono stati irremovibili. Tra le due proposte c’era un divario di 1,4 miliardi. Il governatore premeva per aumentare il carico fiscale per i più ricchi, i repubblciani insistevano sulla necessità di tagliare le spese. Il muro contro muro ha prodotto il fallimento. Come ne usciranno è tutto da vedere se si considera che il default non ferma l’emorragia di spesa e il Minnesota spende oltre 60 milioni di dollari a settimana per le cosiddette "spese non comprimibili", cioè quelle uscite che nonostante le misure, non sono suscettibili di modifiche nell’immediato. A rendere il tutto ancora più surreale l’annuncio dell’ex governatore Pawlenty, tra i maggiori responsabili del fallimento, di ricandidarsi per le elezioni politiche del 2012.
Il caso del Minnesota rispecchia in modo molto preoccupante quanto sta avvenendo a livello federale. Tra Obama e i repubblciani è ormaiscontro aperto. Sono andati a vuoto tutti gli incontri tanto da spingere il presidente a minacciare di porre il suo veto a una soluzione a breve termine che aveva gia rifiutato più volte in passato con chiarezza. Lo scontro, o sarebbe meglio dire gli scontri in corso sono su diversi piani. Il primo tra democratici e repubblicani, un secondo interno al partito conservatore.
A inasprire una tensione già alta è arrivata la mossa a sorpresa del senatore repubblicano Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato, che ha attaccato l’inquilino della Casa Bianca annunciando che «un accordo sul bilancio non sarà possibile finché Barack Obama sarà presidente degli Stati Uniti». McConnell ha poi suggerito una via d’uscita: togliere la pregiudiziale di un accordo sul bilancio e dare al presidente il potere di innalzare il tetto sul debito per 2.500 miliardi di dollari in tre trance successive, a patto però che ad ogni aumento corrispondano tagli alla spesa per lo stessoammontare. Ma tra i rappresentanti dello stesso partito incomincia a serpreggiare il timore che se non si scenderà a compromessi con Obama il rischio boomerang potrebbe toccare proprio a loro.
A rendere la situazione ancora più complessa l’annuncio dell’agenzia di valutazione finanziaria Moody’che potrebbe abbassare il rating degli Stati Uniti. "Moody’s - ha precisato l’agenzia in un comunicato - ha messo sotto sorveglianza il rating AAA attribuito alle obbligazioni degli Usa, in vista di un eventuale abbassamento, data la probabilità crescente che il tetto del debito non sia alzato per tempo".
A Washington per ora nessun panico, ma la preoccupazione e la tensione è evidente. Obama prova ora a giocarsi una mossa simbolica: trasferire i colloqui da Washington alla residenza di Camp David, e cioè in un luogo che evoca i grandi accordi di pace per il Medio Oriente.Ma il vero problema non è il luogo ma come uscire dal possibile crac. Le distanze tra le due parti sono grandi: Obamapropone una riduzione del deficit di 4mila miliardi di dollari in dieci anni. I repubblicani si oppongono ad un innalzamento delle tasse e vogliono solo una massiccia riduzione delle spese. Per il presidente americano questo implicherebbe "una riduzione del 70% degli investimenti nell’energia pulita, del 25% nell’istruzione, del 30% nei trasporti" e minori benefit sociali per le fasce più deboli.  Simonetta Cossu









   
 



 
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