Quanto manca all’ira dei poveri?
 











C’è un dato assolutamente scandaloso e profondamente ingiusto che accompagna la relazione annuale dell’Istat sullo stato della povertà nel nostro paese. Lo scandalo è dato dalla "sufficienza" con la quale i dati sono elencati molto burocraticamente dalla quasi totalità degli organi di informazione senza che si denunci l’intollerabilità di una situazione che si trascina costantemente da alcuni anni senza che la politica si decida (o si degni?) di "battere un benché minimo colpo" per invertire la tendenza.
L’ingiustizia sta nel fatto di dover necessariamente e quasi meccanicamente connettere la relazione dell’Istat con la manovra economica proprio l’altro ieri approvata dai due rami del Parlamento e immediatamente sottoscritta dal Presidente della Repubblica.
E’ eclatante e sotto gli occhi di tutti una manovra che penalizza soprattutto i redditi più bassi togliendo alle famiglie dell’operaio/a qualsiasi possibilità di accedere ad alcuni deiservizi che, nei territori, ancora tentano di opporre una barriera all’allargarsi delle fasce di cittadini e cittadine che si trovano in una situazione di povertà assoluta o relativa: asili, assistenza domiciliare, accompagnamento ai disabili, sostegno scolastico…
Ha ragione Sofri quando, commentando i dati Istat, si chiede quando mai si penserà ad una «Finanziaria per i poveri», gli abbandonati dalla politica e dalle istituzioni, persone alla deriva, prive del minimo necessario alla sopravvivenza (tre milioni di uomini, donne, bambini, anziani che vantano gli stessi diritti di cittadinanza di chi è nel benessere) e i semi abbandonati (7 milioni) che arrancano con fatica giorno per giorno nel tentativo doloroso di riuscire a far quadrare un bilancio sempre più insufficiente sapendo che su questa fascia dal piccolo reddito peseranno in particolare i tagli del 5% l’anno prossimo e del 20% l’altr’anno dei cosiddetti benefit assistenziali.
Proprio coloro infatti che percepiscono unreddito inferiore ai 10mila euro annui si vedranno tassare di un centinaio di euro in più l’anno prossimo e di 430 nel 2013.
Una situazione che mette ancora più in mora un paese che si vorrebbe definire civile e giusto con tutti, ma che si accanisce sempre di più e solamente contro i poveri a conferma del fatto che la povertà per una civiltà fondata sul potere della ricchezza e dei capitali è considerata una colpa che merita abbandono e disinteresse.
Ci si sarebbe dovuto aspettare che, proprio in presenza di una situazione internazionale e nazionale pesante e faticosa, si trovasse il modo di mettere sotto l’ombrello protettivo dello Stato innanzitutto i cittadini e le famiglie che sono prive di ogni forma di tutela attraverso la tanto auspicata definizione di uno strumento di reddito minimo o di minimo vitale e di chiedere il massimo dello sforzo di risanamento a coloro che da anni accumulano ricchezze anziché scaricare il costo della manovra prevalentemente sulla fascia diquello che una volta era definito "ceto medio" e che ora rischia pesantemente di rientrare in quella famosa area dei "relativamente poveri".
Tutto il mondo è paese e sembra valere anche per i poveri d’Italia la stessa regola che i potenti, i ricchi riservano ai poveri dei paesi cosiddetti sottosviluppati a favore dei quali si annunciano continuamente decisivi interventi per porre rimedio alla loro fame e che, poi, si lasciano naufragare nella loro misera condizione.
Resta da chiederci sino a quando riuscirà in questa situazione a reggere un sufficiente livello di coesione tra i cittadini e le categorie sociali tale da permettere di evitare rotture traumatiche alla coesione sociale e alla democrazia: quanto manca al determinarsi dell’ira dei poveri? Lucio Babolin









   
 



 
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