Tanti lingotti d’oro, uno sopra all’altro, fino ad arrivare a 221 tonnellate. Così tanti da occupare quasi 3 Jumbo Jet oppure 40 supernavi farcite di militari armati fino ai denti, disposti a tutto pur di difendere l’oro di Caracas che vale circa 11 miliardi di dollari. Perché è questo che il presidente Hugo Chavez vuole: riprendersi questi 11 miliardi di lingotti venezuelani sparsi nella banche centrali di tutto il mondo, indipendentemente dal costo dell’operazione, dal problema dello spostamento e dal trasporto, dalla scorta armata e dalla necessaria assicurazione sulla preziosa merce. Si tratterebbe del più grande trasferimento di riserva aurea dai tempi di Hernán Cortés e Francisco Pizarro, solo che il viaggio sarebbe fatto in senso opposto a quello che fecero i due grandi conquistadores spagnoli nel XVI secolo. Secondo quanto annunciato dal presidente della Banca centrale venezuelana, Nelson Merentes, su un totale di oltre 28,7miliardi di dollari in oro, il Paese ne ha 17,9 nelle riserve internazionali. E, di questi, Chavez vuole che quegli 11 miliardi ritornino a casa. Non proprio spiccioli, insomma. E il motivo di tanta preoccupazione è la persa affidabilità (almeno agli occhi del leader socialista) dei Paesi occidentali quali custodi imparziali delle riserve auree. Perché mentre l’oro arriva alle stelle, l’economia mondiale è nelle stalle e nell’attuale quadro socio-finanziario si passa dallo spettro della recessione ai timori sul debito di Usa ed Europa, senza dimenticare le borse in (quasi) costante profondo rosso. Custodite nelle banche centrali di Canada, Stati Uniti, Svizzera e alcuni Paesi dell’Europa, tra cui la Gran Bretagna (la Banca d’Inghilterra da sola ne ha 99,2 tonnellate), le riserve auree dello Stato sudamericano dovranno quindi sparire da tutte queste casseforti sparse per il globo e rientrare progressivamente in Venezuela. C’è un ’ma’. Perché anche ora, come allora - nel secolodei conquistadores - al costo dell’oro vanno sommati spostamento, trasporto e sicurezza. Per questo, generalmente, alla compravendita di lingotti non è mai seguito un loro viaggio ’verso casa’; semplicemente, si metteva un’altra etichetta sullo scaffale del caveau sul quale c’era la riserva aurea e vi si indicava il nuovo proprietario. Quale sia la scelta finale di Chavez, comunque, questa mossa di ’nazionalizzare’ l’oro è considerata da molti come il suo tentativo di portare a casa voti in vista delle elezioni del prossimo anno. Elezioni che, semmai un novello Arsenio Lupin riuscisse a far sparire tutto quest’oro durante il trasporto, sarebbero decisamente segnate.
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