-Toglieteci dal fango-. Poche parole per portare, con un’azione forte di mobilitazione all’attenzione del Parlamento e delle Presidenze di Consiglio e della Repubblica, il forte disagio dei territori lucani e tarantini colpiti dall’alluvione della notte tra l’1 e il 2 marzo scorso. La mobilitazione, indetta dai Sindaci e dalle Province di Taranto e Matera, organizzata dal Comitato unitario dei cittadini di Puglia e Basilicata costituito all’indomani dell’alluvione e sostenuta dall’Anci e dall’Upi, si è svolta lo scorso martedì in piazza Montecitorio a Roma. L’alluvione di marzo ha devastato un’area che va da Valsinni, in provincia di Matera, fino a Marina di Ginosa, nel tarantino, e che raccoglie, in una strana cordata, una quindicina di Comuni di diversa grandezza accomunati tutti dalla vocazione agricola e zootecnica e da una diffusa carenza di lavoro. Un’alluvione per cui, superate le prime fasi di emergenza, con l’intervento immediato diComuni e Province per le rispettive competenze, è stato dichiarato in modo travagliato lo stato di emergenza; poi più nulla o poco, per lunghi sette mesi. Intanto, i cittadini sfollati dalle proprie case hanno dovuto lasciare gli alberghi in cui erano precariamente ospitati, gli imprenditori sono costretti a licenziare i propri dipendenti perché senza più capannoni e strumenti del mestiere, le aziende agricole e zootecniche rischiano di chiudere colpiti nel reddito e nelle strutture. Serve l’ordinanza del Presidente del Consiglio che nomina il Commissario, gli attribuisce poteri straordinari e assegna i fondi. La situazione, intanto, si aggrava. Equitalia e le banche premono ed a giorni potrebbero iniziare le aste per la vendita dei primi terreni degli "insolventi calamitati", con il rischio che a comprare a prezzi stracciati quegli ettari siano malavitosi. Le bollette arrivano, i mutui vanno pagati. Bisogna pur mangiare. L’usura non è più un rischio, ma una cruda realtà.L’autunno è alle porte e il territorio deve ancora essere risanato: gli argini del Bradano sono ancora rotti in sette punti. Come si è arrivati a tutto questo, dopo una calamità naturale che pretendeva misure di solidarietà urgenti? Perché solo tre giorni prima dell’alluvione, un’altra e ben più grave calamità ha colpito il territorio ed ora è pronta a colpire tutte le Regioni italiane: il 26 febbraio 2011 il Parlamento approvando il decreto "Milleproroghe" ha stravolto la legislazione in caso di stato d’emergenza. Da quel momento non sarà più il fondo di solidarietà nazionale ad intervenire ma le Regioni «dovranno pagarsi i danni» e per farlo «potranno alzare le tasse ai propri cittadini». Una tassa sulla disgrazia per intenderci cui le Regioni (sette del Nord e del Sud) hanno opposto ricorso alla Corte costituzionale. Ad ogni modo, anche se le Regioni avessero fondi disponibili, non potrebbero impegnarli perché costrette a rispettare i vincoli del Patto di Stabilità. Ilavoratori della terra chiedono alla Presidenza del Consiglio un tavolo tecnico fra le Regioni ed il Ministero dell’Economia per istituire il Commissario straordinario per l’avvio dei processi di risposta indispensabili. Un’altra delegazione chiederà al Parlamento di calendarizzare la mozione approvata all’unanimità dal Governo il 27 luglio scorso per la deroga al Patto di Stabilità delle Regioni in stato di calamità riconosciuto. Una terza delegazione porterà alla Presidenza della Repubblica la petizione per la quale in luglio era stata fatta partire una raccolta firme dalle sei persone in sciopero della fame per una campagna di sensibilizzazione nazionale a difesa dei diritti dei cittadini e dei territori colpiti da calamità naturali.Marilena Surd
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