Il Presidente della Repubblica ha di nuovo conquistato la scena politica con alcune affermazioni molto nette contro secessionismo e sulla legge elettorale. Il rilievo che queste prese di posizioni hanno assunto sulla stampa conferma, una volta di più, il peso che ha acquisito la prima carica dello stato e la sua influenza sulla vicenda politica del paese. Il presidente Napolitano ha stigmatizzato la secessione con toni durissimi e di questo non possiamo che complimentarci con lui. In una volta sola è stata liquidata la supposta esistenza del popolo "padano" e il presunto diritto all’autodeterminazione dello stesso. L’Italia è una repubblica unitaria e la decisione popolare è comunque vincolata dalla Costituzione, ha in sostanza ribadito il presidente. Questa presa di posizione del Capo dello Stato riflette, con ogni probabilità, il suo legittimo timore di una deriva secessionista della Lega ed anche per questo è stata positiva laprecisazione. Ma il presidente della Repubblica ha detto anche altro su cui ci sarebbe da discutere. E, in particolare, sulla "liceità del federalismo" (contrapposto, per l’appunto, al secessionismo). Con ciò il presidente ha riconfermato la linea di condotta che ha tenuto nel corso di questi anni, improntata al riconoscimento del federalismo come soluzione istituzionalmente condivisibile, finalizzata a dare una risposta convincente alla domanda di autonomia che proviene dagli ambiti locali. Su questo secondo punto molto c’è da dire, perché la modifica della seconda parte della Costituzione, con il recepimento del principio del federalismo fiscale, a suo tempo sostenuta dal centrosinistra per ragioni poco nobili, non è stata un semplice adattamento del dettato costituzionale, ma una scelta che ne ha stravolto alcuni principi fondamentali, a partire dall’articolo tre, quello - per intenderci - che pone a fondamento della Repubblica il principio dell’uguaglianza dei cittadini. Oggiil processo di trasformazione istituzionale derivante da quella scelta è in corso e benché lo sbocco non sia scontato, data fra l’altro la precarietà del quadro politico, è altrettanto vero che i primi provvedimenti del governo in tema di federalismo fiscale già fanno intravedere il danno sociale che ne può derivare, specie per il Sud. E questo, si badi bene, nel momento in cui - come si può evincere da recenti stime della Svimez- la crisi già determina nei fatti la frattura fra le due parti del paese. Anche sul secondo tema toccato dal presidente c’è molto da obiettare. Il fatto stesso che Napolitano intervenga in tema di legge elettorale auspicandone il cambiamento, nel momento in cui sono state depositate le firme per il referendum che vuole reintrodurre il cosiddetto "mattarellum", è discutibile. Su quel referendum vi sono molti dubbi circa la sua ammissibilità. Era opportuna una scesa in campo così esplicita che suona come un riconoscimento preventivo di legittimità? Ma ilpresidente non si è limitato a sostenere la necessità della modifica dell’attuale legge elettorale, bensì si è lasciato andare ad una serie di valutazioni di merito sulla base della sua personale esperienza di parlamentare che suonano come un apprezzamento nei confronti del precedente sistema elettorale, il "mattarellum" appunto, specie laddove ha sostenuto la preferibilità di una competizione basata su collegi uninominali. E, infatti, puntualmente, ha ricevuto il plauso dei proponenti il referendum. Una maggiore cautela da parte del presidente della Repubblica era opportuna, anche perché questo referendum costituisce un imbroglio. I cittadini sono stati chiamati a firmarlo per cambiare l’attuale legge elettorale (il famigerato "porcellum"). Uno degli argomenti più usati e’ stato quello dell’impossibilità per gli elettori di decidere chi deve essere eletto, essendo le liste dei candidati bloccate. Quello che i proponenti hanno fatto intendere è che con il ripristino del"mattarellum" questo diritto dell’elettore verrebbe ripristinato, ma questo non è vero, perché con il "mattarellum" nei collegi uninominali gli elettori si troverebbero una scheda in cui ogni lista presenterebbe un solo candidato, mentre per la parte proporzionale continuerebbero ad esistere le liste bloccate. Se il presidente della Repubblica ha ragione nel sottolineare che la legge elettorale attuale ha uno dei suoi limiti nel rapporto non risolto fra elettore ed eletto, sarebbe stato allora il caso di spiegare che con l’attuale referendum questo limite non è superato e che per farlo occorrerebbe una specifica iniziativa parlamentare. La verità banale, ma non meno inquietante, è che con questo referendum s’intende sostituire un sistema maggioritario con un altro, non migliore del primo e non privo dei vizi di questo, e facendo in ogni caso strame del principio democratico della rappresentanza. ianluigi Pegolo
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