Quando la microimpresa diventa l’anello tra lavoro e schiavitù
 











Da uno a quindici. Ogni tabella, studio, proiezione riguardante il mercato del lavoro prende come prima voce di analisi questi due numeri. Da 1 a 15 lavoratori occupati. È il cosiddetto mondo della microimpresa, un mondo che sta diventando modello anche per le imprese che fanno riferimento alle altre due categorie: da "16 a 99" e da "100 a +" addetti. In fondo, come ha candidamente ammesso Guidalberto Guidi, presidente di Ducati Energia ed ex numero uno de Il Sole 24 Ore, in un’intervista rilasciata a Il Giornale (5 ottobre 2011) «molte aziende si dividono in quattro, cinque parti per restare sotto la soglia delle 15 unità e non applicare lo Statuto dei lavoratori». Statuto che Guidi definisce «un virus» nel "sistema-Italia". Ed è proprio debellare questo virus l’obiettivo di Marchionne & Co. Da "Fabbrica Italia" in giù, è ora di far rientrare tutte le aziende composte da oltre 16 dipendenti nella fascia dei (pochi) diritti contemplati perquella "da 1 a 15". Dalla battaglia contro l’articolo 18 fino all’articolo 8 dell’ultima manovra finanziaria, per dirla alla Guidi, è arrivato il momento di prendere lo Statuto dei lavoratori «e buttarlo nel cestino». Stando all’attuale opposizione parlamentare, sembra tutto molto facile e tutto abbastana "pacificato". Ma poi avviene che a Barletta crolla una palazzina nel cui sottoscala c’è una di quelle micro-imprese "modello", fatta di giovani donne che lavorano, senza contratto, senza tutele, senza articoli da porre come scudi alle vessazioni del padrone, il tutto solo per 3,95 euro all’ora. L’Italia viene scossa dalla morte di Matilde, Giovanna, Antonella e Tina. Chi pensava che il dibattito sui diritti dei lavoratori fosse una cosa tutta tra il Lingotto di Torino, sede della Fiat, la romana via dell’Astronomia, sede di Confindustria, e Palazzo Chigi si accorge che le conseguenze della distruzione dello Statuto dei lavoratori sono già realtà. Un’impresa su quattro (24,4%) èinfatti composta da meno di 15 dipendenti (fonte: Indagine Confindustria) e sono proprio queste microimprese, come ha spiegato più volte il sociologo Luciano Gallino, «l’anello di collegamento diretto con il "sommerso"», che stime assestano intorno ai 3 milioni di unità di lavoro, non considerando i secondi lavori in nero, molto diffusi soprattutto al centronord. Lavoro a domicilio o, come nel caso di Barletta, laboratori "clandestini" sono i luoghi principali in cui è più facile sfruttare i lavoratori. «Il sommerso» spiega Gallino «è una componente di economia informale organica a quella formale, nel senso che rappresenta una base di appoggio competitiva collegata con l’emerso delle piccole imprese, che hanno allo stesso tempo una componente sommersa ed irregolare al loro interno». Spesso, un tot di lavoratori in regola, un tot in nero. Ma quali sono i motivi per cui la moderna impresa italiana vede nel modello "da uno a quindici" dipendenti l’obiettivo da raggiungere anche in grandiimprese come Fiat? Semplice. Andando a sfogliare i dati dell’Indagine Confindustria sul mercato del lavoro nel 2010 emerge come, proprio tra le aziende industriali con meno di 15 addetti, si registra il maggior tasso di contrazione occupazionale: -3,6% rispetto al dicembre 2009 a fronte di un tasso di -1,4% nelle aziende con 16-99 addetti e -2,3% in quelle con oltre 100 addetti. Un andamento che si riflette perfettamente in quello dell’occupazione a tempo indeterminato (-3,6% nelle aziende con 1-15 addetti; -1,9% nelle aziende con 16-99 addetti; -2,3% nelle aziende con oltre 100 addetti). Ed è sempre tra le aziende con meno di 15 dipendenti che si registra il dato del maggior numero di cessazioni del rapporto di lavoro in percentuale degli occupati a fine 2008: -19,2% (ad esempio rispetto al -11,3% per le aziende con oltre 100 occupati). La questione, quindi, è molto semplice: nelle aziende con meno di 15 dipendenti licenziare, soprattutto chi ha "scomodi" contratti a tempoindeterminato, è molto più facile. In fondo, è sempre Confindustria a dirlo, sono solo il 18,3% le aziende con meno di 15 dipendenti che applicano la contrattazione aziendale mentre l’attuale Statuto "obbliga" a far aumentare questa percentuale fino al 75,5% nelle aziende con oltre 100 addetti passando per il 45% di quelle con 16-99 addetti. Inevitabile, quindi, che un "addetto medio" di un’azienda con meno di 15 dipendenti abbia una retribuzione annua di 28.357 euro a fronte dei 32.897 euro di un collega di un’azienda con oltre 100 addetti (passando per i 29.614 delle aziende con 16-99 addetti). Un operaio di un’azienda con meno 15 addetti, quindi, è "più licenziabile", guadagna meno e, per chiudere il cerchio, ha meno "diritto" ad ammalarsi: il cosiddetto "tasso di gravità delle assenze" (rapporto tra le ore assenza e le ore lavorabili) cresce con la dimensione aziendale: 5,4% nelle imprese fino a 15 addetti; 6,6% in quelle 16-99; 8,7% in quelle con oltre 100 addetti. Ecco spiegatoperché, riprendendo le parole di Guidalberto Guidi, «molte aziende si dividono in quattro, cinque parti per restare sotto la soglia delle 15 unità e non applicare lo Statuto dei lavoratori-.









   
 



 
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