-Un’opera compiuta di chi compone parole in armonia tra loro in vista di una modulazione musicale-. Questa è la canzone. Così la definì Dante Alighieri che non conosceva armonia, modulazione e composizione (semplicemente perché non erano ancora concetti espressi), ma che era un genio. E da qui parte “Storia della canzone italiana” di Felice Liperi, aggiornamento necessario e sufficiente- almeno per i prossimi dieci anni - della prima edizione del 2000. Necessario anche se non sciolglie, diciamolo subito, il nodo tra modernità e tradizione che ha stretto diversi passaggi dell’ ultimo decennio della canzone italiana. Questo potrebbe essere il “succo” della discussione che, qualche giorno fa si è animata intorno al libro di Liperi, un tomone di 700 pagine (26 euro. edizioni Rai-Eri) che, oltre a saggio storico, è anche atlante e dizionario. Felice Liperi è critico musicale, regista e curatore radiofonico (attualmente, tra le altre cosecura la regia di Sei gradi di separazione su RadioTre, programma assai più innovativo dei suoi ascoltatori, bisogna dirlo) ed è tra i pochi studiosi della “forma” canzone nella nostra cultura. Non solo scrive tomoni storici, ma è anche professore universitario esterno di una primissima cattedra di Storia della canzone, ad Udine, oggi ad Imperia. Clamoroso, considerando che il mondo accademico, come ha sottolineato Paolo Prato, docente di culture giovanili e linguaggi della radio e autore di un altro raro libro di storia musicale, La musica italiana. Una storia sociale dall’Unità a oggi. Donzeli, € 33,00, ha sempre ignorato la storia della canzone: «Per anni non è stata mai presa in considerazione l’ipotesi che questa forma di espressione della nostra cultura potesse essere all’altezza di studi accademici come il cinema o la letteratura. Come se non avesse bisogno di un metodo». Invece di metodo ce n’è bisogno quando si parla di storia e di critica. Perché non ci sono scuse: lastoria della canzone italiana, delle sue metamorfosi sociali, delle sue trasformazioni decennio dopo decennio, è parte della Storia del nostro paese. Mi sono chiesto, ha detto Liperi, se avesse ancora un senso ri-scrivere il libro, aggiornarlo, dopo dieci anni in cui il mondo della comunicazione e della divulgazione è stato rivoluzionario da Internet. Oggi ogni tipo di curiosità viene risolta in pochi minuti, le nozioni come le notizie viaggiano alla velocità della luce. Quello che manca, però (e “autorizza” la scrittura di libri così) sono risposte critiche che superino la “familiarità” che rende complicato l’approccio critico e storico a questa arte. L’arte della canzone dunque. Arte popolare, dalla romanza ai canti patriottici, dalle filastrocche, ai canti di montagna fino al lungo, infinito “capitolo”, sempre aperto, della canzone partenopea. Un lavoro di ricerca che intreccia competenza e una mole impressionante di nozioni, ha sottolineato la storica Francesca Socrate e Liperi,dice, ha il pregio di tenersi lontano da giudizi, propone, ci fa entrare con decisione nei passaggi fondamentali tra canzone e storia sociale. Ma il punto, come si dice spesso, è un altro. È il fatto che alla fin fine, oggi come oggi, al netto delle nostalgie, dei “bei tempi” dei grandi cantautori, ecc... ecc... non si riesce a trovare, come è stato fino a una ventina di anni fa, una buona commistione tra modernità e tradizione. Lo hanno testimoniato auterevolissimamente Paolo Prato, il critico e saggista Gino Castaldo (che con Liperi ha un’antica “consuetudine” di lavoro) e Peppe Servillo, musicista geniale, sensibile, leader degli Avion Travel e confezionatore di progetti musicali tra i più vari. Non si tratta, insomma, di dire che “prima era meglio”, ma di capire che cosa la canzone, nei nostri giorni, non comunica più, dove sono finiti gli interpreti, che cosa ha “sostituito” il legame profondo tra la canzone e la società che, invece, è stato un punto vitale fino ad ora.«Secondo me - sostiene Servillo - non è il fatto che l’artista è incapace, ma che è difficile oggi coltivare la propria interiorità e nello stesso tempo accettare le “richieste” del pubblico. Bisognerebbe fare l’uno e l’altro per ricucire con quella cultura “popolare” che forse ci stiamo perdendo». Corollario: quanto assomigliamo agli altri, allora, perdendo la diversità italiana? ha chiesto Prato. La risposta è nel vento e nel jazz. Perché se una novità c’è da registrare in questo decennio, è la rinascita, in parte imprevista, del jazz nostrano. Musicisti storici ed acclamati (Fresu, Rea, Gatto, Bollani), vocalist eccezionali come Maria Pia De Vito, Ada Montellanico, Carla Marcotulli, hanno lavorato a progetti tesi al recupero della tradizione. È del 2000, ad esempio, il disco di Roberto Gatto Roberto Gatto plays Rugantino, dove il batterista rilegge brani celebri della canzone romana d’autore come È l’omo mio, Ciumachella de Trastevere in chiave jazz. O il cd del 2001 Abbassa la tuaradio. Omaggio alla musica italiana degli anni ‘30 e ‘40 realizzato da una “big band” formata da tanti musicisti (ne citiamo solamente alcuni come Rava, Bollani, Tavolazzi, Peppe Servillo, Irene Grandi) che rileggono in chiave moderna jzz classici come Ti parlerò d’amore, Ho un sassolino nella scarpa. Senza parlare di quei progetti musicali che vedono voci nuove amanti del jazz o di musica afroamericana come Nicky Nicola, Mario Biondi, Patrizia Laquidara. Intorno folk-revival, musica che nasce dalla presenza di migranti, travolgenti serate a suon di pizzica, ma anche nuovi canali per scoprire talenti: E mentre il mondo underground sforna artisti indipendentie ed interessanti, da Amici e X factor arrivano gli interpreti cosidetti popolari, destinati ad un grande e distratto pubblico. Un decennio, infine, caratterizzato anche da un fenomeno in parte nuovo, nel peso assunto, quello delle cover e dei tribute bands, con la rilettura di brani di Battiato, De Gregori, Fossati, pernon parlare di De André. Storia della canzone italiana, avrete capito, non è un tascabile, ma è come se lo fosse. Tenetelo tra i dizionari indispensabili, se amate la musica, tenetelo tra i libri di storia se volete festeggiare degnamente i 150 anni, tenetelo a disposizione per giocare al mimo delle canzoni. Comunque vada sarà un successo. Antonella Marrone
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