Test medici: la lista Veronesi
 











Non passa giorno senza che arrivi dai laboratori di tutto il mondo che studiano il cancro l’annuncio di un nuovo prezioso avanzamento. Merito delle migliaia di porte spalancate dalla lettura del genoma umano, dall’arrivo di un gran numero di molecole capaci di contrastare la proliferazione cancerosa. Perché di certo è la ricerca il motore della guerra al cancro e, negli ultimi dieci anni, è stata la genetica a ribaltare diagnosi e terapie per contrastare il puzzle di malattie che chiamiamo cancro. Su questo verranno puntati i riflettori della Giornata della ricerca dell’Airc. Perché l’accelerazione della ricerca è spaventosa.
Ma se oggi di tumore si muore molto di meno rispetto anche solo a qualche anno fa il merito è, in buona misura, delle tecniche che permettono, grazie a immagini sofisticatissime, la diagnosi precoce e il controllo dell’andamento delle cure e della malattia. L’obiettivo è quello di migliorare sempre di più la nostra capacitàdi compiere diagnosi personalizzate, precoci e soprattutto in grado di distinguere tra ciò che è pericoloso e ciò che non lo è. Ma gli strumenti per farlo sono ancora imperfetti. E ciclicamente la comunità scientifica si interroga sull’opportunità di sottoporre la popolazione a test che non sono in grado di per sé di dire chiaramente se c’è o non c’è cancro.
L’ultima polemica, rimbalzata dalle stanze della US Preventive Services Task Force alle pagine del "New York Times", riguarda uno dei test più popolari e anche più discussi degli ultimi tre decenni: quello che dovrebbe aiutare a percepire per tempo la presenza di un tumore alla prostata. Facilissimo da eseguire (basta un prelievo), molto economico (poche decine di euro), il dosaggio dell’antigene prostatico specifico o Psa è spesso nel mirino dei critici perché può alzarsi per molti motivi (infiammazioni, malattie benigne e altro) e anche quando segnala un tumore, spesso individua lesioni che crescono così lentamente che nonfarebbero in tempo a minacciare la salute. E però, se una persona si sente dire che ha un valore fuori norma, si preoccupa, accetta volentieri altri esami e magari interventi che hanno come effetto collaterale quasi sempre impotenza e altri guai.
Di qui il verdetto americano: gli uomini sani non devono sottoporsi al Psa perché, come dimostrano cinque studi, non incide sulla mortalità ed espone chi lo fa a test spesso invasivi e conseguenze pesanti. La raccomandazione fa il paio con quella, sempre emessa dalla US Preventive Services Task Force un paio di anni fa, che sconsigliava caldamente la mammografia a 40 anni alle donne che non erano in situazioni di rischio specifico per esempio perché appartenenti a famiglie dove la malattia era ricorrente. Anche allora testimonial, esperti, autorità sanitarie e protagonisti a vario titolo della medicina avevano protratto per mesi un dibattito che aveva avuto un esito identico a quello che, molto probabilmente, avrà ora la decisione sul Psa:confondere tutti, cioè i potenziali pazienti e i medici meno specializzati. E allora? Come se ne esce? Lo abbiamo chiesto a Umberto Veronesi.
Professore, lei da che parte sta?
"L’atteggiamento critico verso la diagnosi precoce è da far risalire a una corrente di pensiero che si sta diffondendo negli ultimi anni, principalmente negli Stati Uniti, e parte dalla preoccupazione verso un’eccessiva medicalizzazione della società. Molti anni fa ha esordito contro il Pap test, poi si è sviluppata contro la mammografia a partire dai 40 anni, in seguito si è opposta alla Tac spirale per il cancro al polmone dei fumatori e ora è ha messo al centro del mirino il Psa. In linea di principio nessuno è contrario a evitare eccessi di cure e esami. Anzi, in Europa siamo stati i più grandi sostenitori dell’integrità del corpo e della riduzione dell’invasività diagnostica e terapeutica. Ma l’utilità e l’insostituibilità della diagnosi precoce vanno capite e difese. La diagnosi precoce, infatti,rimane lo strumento più potente e più efficace a oggi disponibile per ridurre la mortalità e il peso fisico e psicologico della malattia".
Perché?
"La diagnosi precoce ha un ruolo da protagonista assoluto nella riduzione generale della mortalità e nel miglioramento della qualità della vita. La mammografia e l’ecografia hanno ridotto del 20 per cento la mortalità per tumore del seno, il Pap test ha drasticamente ridotto quella per il tumore dell’utero, la colonscopia quella per il tumore del colon, il Psa - nonostante le polemiche - e le procedure di approfondimento quella del tumore della prostata, il controllo dei nei quella per melanoma.
Ora, poi, con il test per la ricerca del Dna dell’Hpv e il vaccino specifico, il tumore dell’utero è destinato a sparire, mentre la diagnosi precoce del tumore del polmone, effettuata ogni anno con la Tac spirale su forti fumatori a partire dai 50 anni, ha dimostrato di poter scoprire noduli di dimensioni millimetriche, operabili nell’80 percento dei casi. Il 70 per cento dei pazienti operati, dopo dieci anni, è ancora in buona salute. I vantaggi per la popolazione di una diagnosi precoce fatta bene e in modo capillare si possono quindi riassumere nella possibilità concreta di non perdere la vita a causa di un tumore e in una migliore qualità di vita in caso di malattia. Per esempio, nel caso del tumore del seno, oggi si stima che, per un tumore diagnosticato in fase molto iniziale, quando ancora è impalpabile (e si tratta del 35 per cento dei casi) la guarigione si può avvicinare al 90 per cento dei casi. Inoltre una cura meno invasiva è anche accettata meglio a livello mentale e dunque si riduce l’impatto psicologico della malattia".
Il punto dunque non è se fare diagnosi precoci, ma come farle, come migliorarle per evitare di far entrare persone sane in un lungo calvario di test e cure?
"Ovviamente dobbiamo trovare un equilibrio fra gli esami che devono essere fatti e il rischio che si vada incontro aun’evitabile medicalizzazione, ma la posta in gioco è molto alta, perché l’incidenza del cancro è in aumento, la mortalità ancora molto elevata e la terapia al momento stabilizzata. Inoltre non dobbiamo dimenticare che siamo nell’era della medicina personalizzata, in cui ogni indicazione generale deve tener conto del caso specifico di ogni malato, o in questo caso di ogni persona a rischio.
Nel valutare se valga la pena di effettuare o no un esame bisogna considerare lo stato generale della persona, la sua storia clinica e famigliare, situazione psicologica compresa". Agnese Codignola-l’espresso

 









   
 



 
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