Altro che larghe intese. Un’alternativa c’è, a sinistra
 











In queste ore concitate, il dibattito e l’informazione a senso unico sulla "tempesta finanziaria" che si è scatenata al solo annuncio che la democrazia potesse irrompere con un referendum popolare nella prateria del mercato globale, sembrano travolgere ogni cosa. Tra queste, prima di tutte, l’idea stessa che possa esserci un’altra via di uscita.
E allora è il caso di rifare il punto e ragionare. Riepilogando… La Bce chiede all’Italia "misure" per tagliare spesa sociale, diritti, pensioni, impiegati pubblici e stipendi; chiede di eliminare tutele dai licenziamenti e lo stesso contratto nazionale di lavoro; chiede di privatizzare i servizi pubblici e svendere beni e patrimoni collettivi. Confindustria e gran parte degli schieramenti di maggioranza e opposizione, purtroppo con pochi e timidi distinguo, aderiscono convinti al "manifesto" della Bce e sollecitano il governo ad attuarlo. Napolitano invita a fare in fretta e ad una "larga condivisione"delle misure di rigore a senso unico. Bersani e Casini, si dichiarano pronti a fare "responsabilmente" la propria parte. Industriali e banchieri intimano al premier: «interventi immediati o dimissioni». Berlusconi, che ha già annunciato di voler obbedire ai dettami della troika, si appresta ora a varare queste misure infami. Le sue residue esitazioni sono solo legate al timore di perder voti ed alla paura di scivoloni in Parlamento.
Il nostro destino sembra dunque oramai segnato: o ci massacra Berlusconi, come da anni sta facendo, o lo farà una nuova squadra di governo "di larghe intese" che si sta già scaldando a bordo campo.
Invece è proprio questa l’ora di dire basta! E’ ora soprattutto di fare capire che un’alternativa c’è. E’ ora di spiegare che le direttive della Bce, oltre ad impoverire e precarizzare coloro che già pagano la crisi, possono generare solo recessione e peggiorare lo stato dell’economia.
Questo insensato modo di procedere è il frutto avvelenato dimaniacali logiche predatorie e dell’inammissibile presa d’atto che dentro l’attuale modello non ci sono soluzioni per la crisi da esso stesso generata.
Un’alternativa pertanto è indispensabile per salvarci dal baratro.
Prima di tutto è necessario ed è possibile bloccare la speculazione finanziaria, cambiando trattati e regole per consentire che i "debiti sovrani" possano essere garantiti dalla Bce e dagli organismi dell’Ue. Così com’è indispensabile tornare alla netta distinzione tra banche commerciali (finalizzate al credito) e banche d’affari (speculative). Inderogabili, altresì, la tassazione delle transazioni finanziarie e il blocco delle famigerate vendite di titoli "allo scopo".
Il Governo italiano, insieme ai Governi dei Paesi sotto attacco, può e deve rivendicare ciò. Così come può chiedere e ottenere una radicale e selettiva ristrutturazione del debito, tagliando ad esempio quello nei confronti dei fondi speculativi e delle banche che hanno beneficiato degli aiutipubblici per poi tornare a speculare.
Rinegoziare il debito è giusto, necessario e possibile, perché questo debito non è cresciuto, come qualcuno afferma, per sostenere un «tenore di vita generale» più alto delle possibilità. Esso si è in realtà gonfiato di sprechi e privilegi, spese militari, grandi opere dannose, finanziamenti a imprese che poi delocalizzano, licenziano, precarizzano il lavoro. Ed è continuato a galoppare a causa degli interessi a tasso da usura applicati ad esso (ci costano oramai 100 miliardi l’anno!).
E’ necessario rinegoziarlo perché "onorarlo" oltre che ingiusto appare materialmente impossibile. Infatti, anche ammesso di raggiungere il pareggio di bilancio, la quota di interessi da versare per pagare il debito così com’è comporterebbe una crescita del Pil a due cifre, che non registrano neppure i Paesi Bric.
E’ possibile rimetterlo in discussione perché la sua consistenza costituisce, paradossalmente, uno strumento di ricatto nei confronti di chi vuoleimporci il massacro sociale, in quanto la nostra insolvenza improvvisa e generalizzata travolgerebbe tutte le economie europee, l’Euro e la stessa Ue.
In secondo luogo, c’è bisogno di aprire nuove linee di credito (tramite eurobond, nuova moneta, tobin tax) per la riconversione ecologica dell’economia: massicci investimenti sulla conoscenza, grandi piani industriali e programmi nazionali, sull’energia da fonti diffuse e rinnovabili, sui trasporti e la mobilità sostenibile, sull’agricoltura biologica, sull’efficienza energetica degli immobili pubblici e privati, sulla difesa del territorio da frane ed esondazioni. Per rilanciare una diversa economia è indispensabile però determinare subito una drastica redistribuzione della ricchezza attraverso politiche fiscali che colpiscano i grandi patrimoni immobiliari e finanziari, l’evasione e i paradisi fiscali.
In terzo luogo, occorre rendersi conto che in un mondo in cui ogni sera siamo 250.000 esseri umani in più del giorno prima non cisarà futuro se l’uso delle risorse, il "cosa-come-per chi produrre", sarà guidato dalle spietate logiche del mercato, dell’immediato e massimo profitto. E’ indispensabile, quindi, che la politica recuperi il potere che essa stessa ha deliberatamente ceduto ai mercati, alla finanza. Che siano democratizzati i meccanismi stessi della rappresentanza, tornando ad un sistema elettorale proporzionale ed inclusivo e strutturando strumenti e processi volti a coinvolgere ad ogni livello cittadini, lavoratori, utenti, nelle scelte sui beni comuni ed i servizi che attengono i diritti basilari. Per un’alternativa a questo moribondo e barbaro sistema è indispensabile, in sostanza, un rinnovato e democratico ruolo pubblico nell’economia, come indicato ampiamente nel titolo III della nostra Costituzione che non a caso è pesantemente sotto attacco in questi tragici momenti.
L’alternativa quindi esiste. Ma è certamente fuori da questo modello economico e sociale. E’ possibile imboccarla, ma noncerto procedendo, più o meno velocemente, sui binari dell’obbedienza al "pensiero unico liberista".









   
 



 
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