Da Berlusconi a Monti, perchè è giusto gioire
 











Il 26 luglio 1943, lunedì, appresa la notizia della caduta di Mussolini, e del suo arresto, dopo la drammatica notte del Gran Consiglio del fascismo, un operaio comunista, Luigi Capriolo, scriveva, sul suo diario, dopo aver espresso tutta l’ebbrezza di quel momento liberatorio, quasi a un monito a se stesso: “Finalmente ci siamo. Si inizia per noi una nuova vita di lotte e di sacrifici. Bisognerà essere all’altezza della situazione. I rivoluzionari sono dei ricostruttori. Dobbiamo ricostruire”.
Ho ripensato a questa pagina straordinaria, sabato sera, mentre assistevo, tra i tanti siti internet, i social network, e i canali televisivi, alla caduta del Caimano. E, con gli amici presenti, e quelli a distanza, non potevo fare a meno di provare una gioia irrefrenabile. Sapevo che c’era poco da ridere, perché ora, probabilmente, sta per arrivare il momento più drammatico della storia recente d’Italia, un momento di dolore collettivo, di ulterioreimpoverimento di chi fa fatica a sopravvivere, di riduzione generale della ricchezza sociale, e di ripartizione poco equa di sacrifici, malgrado le promesse a cui non è facile credere. Sappiamo che Monti è l’uomo delle grandi banche e delle agenzie di rating, che appartiene insomma alla stessa “famiglia” di Draghi e Trichet, la famiglia dei ricattatori che ora devono risolvere i problemi dei ricattati, parlando a nome di questi ultimi.
Sappiamo che il turbocapitalismo non si ferma davanti a nulla, e passa come un rullo compressore sui popoli, manifestandosi ora con licenziamenti di massa, ora con delocalizzazioni di imprese, ora con la riduzione delle tutele ai lavoratori, ora con l’attacco a quell’insieme di istituti che chiamiamo “Stato sociale”, preziose conquiste del movimento operaio nel corso dei secoli. Lo stesso turbocapitalismo che aggredisce l’ambiente, depreda le risorse naturali, divide i popoli e contrappone gli individui, alimentando guerre tra poveri. Il medesimoturbocapitalismo che pretende di esportare la democrazia – quale? – con i bombardamenti, con le esecuzioni sommarie, con la più truce crudeltà.
Eppure, nella consapevolezza che i giorni che ci si parano davanti potranno essere durissimi, per i nuovi “sacrifici” che ci verranno imposti, ossia probabili nuove ingiustizie, eppure, lasciatemi dire che sabato sera ho provato gioia. Ho stappato la famosa bottiglia rimasta in frigo dal 13 dicembre scorso, e ho brindato alla fine del tiranno. E a coloro che, amici, sodali, compagni ripetono che non cambierà nulla, nel passaggio da Berlusconi a Monti, rispondo che – a prescindere dalla inevitabilità, o necessità, ora, di questa soluzione inventata da Napolitano – intanto, se la sorte ci assiste, ci saremo liberati per sempre dal peggiore di tutti. Di tutti, tutti coloro che hanno esercitato il potere, in ogni epoca storica dell’Italia unita.
Ci siamo liberati di un venditore di fumo che perseguendo i propri interessi ha devastatoeconomia, istituzioni, cultura, etica pubblica. Un maniaco sessuale, finito al governo del Paese. Un corruttore, un bugiardo, un ridicolo pagliaccio. Il quale, la sera seguente, non ha arretrato dal recitare la parte del salvatore della patria, che fa fatto un passo indietro, mostrando senso dello Stato e generosità (è sempre stato generoso di complimenti con se stesso, il Cavaliere), ma – e qui il suo volto si è indurito – ha precisato, all’incirca: non si illudano coloro che ritengono che io rinunci a salvare il Paese dal comunismo. Mi si lasci dire che in questo momento quella minaccia, che vorrebbe essere una promessa, suona patetica, come il sorriso che ha cercato in extremis di offrire alla telecamera. Un sorriso che era il ghigno di un fantasma. Lo stesso sorriso che la sera prima, uscendo dal Quirinale dove aveva appena firmato il documento di dimissioni nelle mani di Napolitano, cercava di dipingere sul proprio volto tiratissimo, mentre qualche migliaia di italiani gli gettavaaddosso tutta la rabbia covata e cresciuta nel corso di quasi un ventennio, il nostro nuovo ventennio di passione sofferente.
Sì, è stato, il 12 novembre del 2011, il nostro 25 luglio: so che a quel momento di euforia nazionale seguì l’8 settembre, con l’occupazione germanica e la ferocia nazifascista, e due anni di durissima guerra di liberazione. Insomma, sappiamo noi, come sapeva Luigi Capriolo – che fu impiccato dai fascisti – che i sacrifici veri stanno per cominciare, nella loro versione più pesante e che saranno forse intollerabili per i ceti meno protetti. Eppure non possiamo negare che quel momento di euforia è stato un atto liberatorio, un meritato e sano atto di liberazione nazionale. Vedere quel ghigno del Cavaliere, mentre finalmente italiani e italiane di ogni età gli gridavano in faccia il loro sdegno, in una scena che richiamava il poco gradito saluto del popolo romano a Bettino Craxi che usciva dal suo quartier generale all’Hotel Raphael, ci ha fatto bene: ed è unmomento bene augurante per un futuro certo difficilissimo, ma che, intanto, è cominciato con un’uscita di scena clamorosa.
E non si è trattato, come qualcuno ha detto, semplicemente della vendetta della folla, magari la stessa che osannava il satrapo gaudente. Si è trattato, invece, anche e soprattutto, di un ritorno alla politica, una politica vera, dal basso, la politica della piazza: faremmo male a sottovalutarlo, come faremmo male, d’altro canto, a ritenere che quella sia la rivoluzione. Erano ancora una volta, come dopo il 25 luglio e specie dopo l’8 settembre 1943, le due Italie, l’una contro l’altra. E quella soffocata, stanca, amareggiata, disgustata di quanti hanno subìto finora lo schifo del berlusconismo, per una sera ha urlato la sua rabbia (e vi ha aggiunto lo sberleffo, la creativa satira militante). Sia benedetta quella rabbia. I sacrifici arriveranno, e con Monti probabilmente ci sarà poco da stare allegri: ma smettiamo di dire che “tanto è lo stesso”. Non è lostesso: proprio no.
E ora tocca a noi, che non siamo né berlusconiani, né bocconiani, pensare un altro modello politico, economico, culturale per questo Paese, se vogliamo salvarlo davvero. Ci tocca, come diceva Capriolo, ricostruire. Intanto, però, ci siamo tolti dai piedi, con il Cavaliere, il suo turpe corteo di puttane e lacchè. Sarà poco, ma a me ha fatto un piacere immenso vedere le facce intrucidite, lividissime di Gasparri Cicchitto Alfano. E mi ha fatto gioire, posso confessarlo?, l’immaginare un governo con Salvatore Settis ministro dei Beni Culturali invece di Giancarlo Galan o Sandro Bondi. Sarà poco, e forse neppure andrà così: ma, per un istante, lasciatemi divertire, come diceva il grande Palazzeschi.









   
 



 
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