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Ma quale ricerca! -Le case farmaceutiche si sono trasformate in imperi commerciali capaci di vendere antidepressivi..., antidolorifici... e farmaci anticolesterolo... con gli stessi metodi utilizzati da Coca Cola o per vendere il Dash... Vendere farmaci, anziché scoprirli, è diventata l’ossessione dell’industria farmaceutica». Questo uno dei passi più incisivi dell’introduzione del libro della Petersen (pagina14). Emerge, clamorosa, un’anomalia: che senso ha indirizzare una pubblicità così intensiva verso il malato? Questi viene considerato persona da curare o cliente da allettare? Appare moralmente lecita una politica simile e la parallela indifferenza delle autorità? E poi: visto che incidono fortemente sul prezzo, quanto costano al cittadino le spese promozionali delle case farmaceutiche? Sono domande che tutti dobbiamo cominciare a porci, per sapere che fiducia possiamo dare a costoro, ai loro prodotti, a coloro che li prescrivono. Inoltreoccorre riflettere su un’altra stranezza, e cioè la doppia pubblicità: quella rivolta ai medici e quella al cittadino. Un assedio opprimente che negli USA ha raggiunto livelli inimmaginabili e da noi si sta preparando a diventarlo, come facilmente ravvisabile nel recente incremento della pubblicità farmaceutica sui nostri teleschermi. Tra il 1995 ed il 2000 gli impiegati addetti all’attività di marketing nelle aziende farmaceutiche statunitensi erano cresciuti del 59%, mentre gli addetti alla ricerca ed allo sviluppo dei farmaci erano diminuiti del 2%: i promotori avevano così raggiunto le 87.210 unità contro le 48.527 dei tecnici. Nel 2004 il boom: sono stati assunti negli Stati Uniti 101.000 informatori farmaceutici che visitano il medico portando una «pioggia di omaggi e denaro contante» (opera citata, pagina 19). E’ ovvio che dal medico ci si aspetta riconoscenza, sotto forma di prescrizione di farmaci. Questa tendenza si era fatta evidente già dal finire degli anni ‘70, ma,come osservò il dottor Steven N. Wiggins, docente di Economia presso un rinomato ateneo americano, «i ricercatori avevano cominciato a perdere la loro influenza all’interno delle grandi società farmaceutiche già alla fine degli anni sessanta». Pierre Simon, ricercatore universitario prima, responsabile della ricerca presso la francese Sanofi poi, dichiarò allo storico della medicina David Healy: «All’inizio l’industria farmaceutica era in mano ai chimici. Ora appartiene a persone che hanno un master in Business Administration o qualcosa del genere, gente che potrebbe dirigere allo stesso modo Renault, Volvo o qualsiasi altra società. Bisogna vedere la quantità di denaro che il settore farmaceutico spende per condurre ricerche su farmaci-fotocopia, la cui efficacia a volte è minore. Parliamo di utilizzare il 70-90% di tutto il denaro destinato alla ricerca per finalità che esulano dall’innovazione. E’ uno spreco di denaro terribile». Ma torniamo alla foglia di fico dei costi dellaricerca. Questi sono assai contenuti - ammettendo per un istante che si intenda fare davvero ricerca scientifica - ed inferiori ai costi vivi che, comprensivi di oneri di acquisto delle materie prime, spese di produzione e confezionamento, raramente superano il 10% del totale. A questo punto è opportuno approfondire la natura del marketing e dell’attività promozionale. Cominciamo con le... quisquilie. Gli esponenti della Tap Pharmaceutical Products - si tratta solo di un esempio emblematico di costumi più sistematici che diffusi - facevano omaggio di televisori, videoregistratori e biglietti per spettacoli a Broadway ai medici che prescrivevano una loro specialità. Se un medico doveva trasferire il proprio studio, ecco arrivare con fulminea tempestività i rappresentanti della ditta con un assegno rotondo; se voleva incrementare le proprie entrate, non mancava l’affettuosa offerta di consulenza gratuita, fornita da esperti che ordinariamente chiedevano onorari anche di 25.000 dollari. La tolleranza di pratiche di dubbia correttezza e legalità ha poi portato alla mancanza di quel minimo di ipocrita decenza che solitamente costituisce il belletto dei disonesti di marca. Ci riferiamo a molti congressi scientifici (sic), che assomigliano molto di più a fiere e a saghe paesane che a convegni: poco ci manca che, aggirandosi per le sedi di questi coacervi di intellighenzia scientifica, non si venga avvolti dall’acre fumo di porchetta rosolata o dal dolciastro aroma dei fusi di zucchero filato, mentre concionatori dalla lingua sciolta magnificano le virtù dell’ultima padella antiaderente o di un avveniristico sbucciapatate. E non si tratta certo di cose nuove. Già all’inizio degli anni cinquanta un docente universitario, amico del professor Luigi Di Bella, riferendosi all’ambiente osservato in un congresso, gli scriveva sdegnato: «... Le case farmaceutiche premono per esporre le loro bancarelle». Ma, bancarelle a parte, migliaia di medici e papaveri accademici, unavolta salvate le convenienze con fugaci apparizioni nelle sedi congressuali, di giorno si crogiolano al sole di scientificissime spiagge tropicali, dedicandosi col vespro all’estatica degustazione di ostriche fresche e rosee aragoste innaffiate da champagne francese d’annata; per ritemprare infine le esauste mandibole riposando, da soli o con accompagnatrici congressuali, in magnifiche suite di alberghi a cinque stelle, totalmente spesati dal grande cuore e dall’ancor più capace portafogli degli industriali farmaceutici. Questa è prassi corrente, non episodica forzosamente generalizzata. Avete qualche perplessità o dubbio? Dirimiamoli insieme affidandoci ad uno degli innumerevoli episodi a suffragio, preso a caso. Miami Beach, 2004: si tiene un convegno formativo di dermatologia. I partecipanti possono godere il panorama marino dalle finestre di un lussuoso hotel che si affaccia sulla South Beach. Il depliant consegnato ai congressisti-bagnanti recita: «Per cominciare, avretel’occasione di farvi fotografare insieme a numerosi pappagalli esotici. Nel corso del ricevimento, un illusionista girerà tra la folla, sorprendendo gli invitati con i suoi trucchi strabilianti, mentre un gruppo di acrobati vi lascerà senza fiato con uno spettacolo assolutamente incredibile! Potrete servirvi ad un ricco buffet con cibo e cocktail locali, da gustare sulle note di una tipica orchestra da spiaggia e delle sue canzoni. Naturalmente, la pista da ballo è a vostra disposizione». Si riempirebbero più libri che pagine di esempi sconfortanti e - si badi bene - non tratti da semplici indiscrezioni o testimonianze sporadiche, ma da documenti di rango assoluto. Nel corso di lavori di una apposita commissione al Senato americano furono verbalizzati episodi vergognosi e generalizzati. Basti quello costituito dall’operato della American Home Products, una grossa casa farmaceutica del New Jersey, che da poco aveva ottenuto l’approvazione di un suo prodotto, l’Inderal LA, versionefotocopiata di un farmaco ideato vent’anni prima. I medici che prescrivevano l’Inderal a cinquanta pazienti, compilavano un modulino fornito loro dalla American H.P. ed ottenevano subito un volo gratuito della American Airlines per qualsiasi città del Paese. La Roche, per non esser da meno, offriva 1.200$ ai medici che prescrivevano il Rocephin ad almeno 20 pazienti, mentre la Sandoz spediva assegni da 100$ a qualunque medico accettasse semplicemente di leggere un articolo di un paio di pagine dove si magnificavano i risultati di un proprio farmaco per la cura della psoriasi (risultato poi inefficace ed estremamente tossico). I rapporti con emittenti TV e la stampa risultano descritti nei verbali di un’apposita commissione, prima presieduta dal senatore Kennedy. Per dribblare i pur platonici controlli della FDA, le case farmaceutiche fornivano alle televisioni filmati per promuovere i loro prodotti, abilmente presentati come fossero stati realizzati dai giornalisti delle emittenti.Lasciamo la parola alla Petersen: «Negli spezzoni dei filmati comparivano spesso medici dalla parlantina forbita, pazienti riconoscenti e grafici complessi elaborati a computer. I copioni distribuiti insieme ai filmati contenevano suggerimenti destinati ai giornalisti di studio su come presentare la notizia, quali domande porre e come concludere il servizio per farlo apparire come un fatto vero». Aggiungiamo che noi italiani - oggi ridotti a mimi/imitatori dei costumi stranieri - ci apprestiamo ad adottare questo stile pubblicitario, che sta infettando anche altre categorie di produttori. Cominciano quindi ad affacciarsi yoghurt che diminuiscono del 43% (non un 40% o 45%...) la stipsi, o colluttori che in un mese riducono del 31% (assai più incisivo di un prosaico 30%) la carie, e così via. Hanno imparato come far cantare la stonata sirena delle statistiche che, per cifre spezzate, appaiono molto più scientifiche, frutto di meticolosissime indagini: più o meno sulla falsariga diquelle delle virtuali guarigioni dal cancro. Non siamo giunti comunque al vero cuore del problema. Fin qui abbiamo passato in rassegna esempi di malcostume, scorrettezza, assenza di etica professionale: che ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre. La gravità inaudita, eversiva, riguarda questa Grande Piovra che allunga i suoi viscidi tentacoli dovunque, obnubila con la nuvola nera del suo secreto, avvelena, corrompe, dissolve ogni argine eretto a difesa della salute e della civiltà. Non esagerazione maniacale, ma palese e concreta evidenza originano queste righe. Marcia Angell: «Un recente sondaggio ha rilevato che circa i due terzi dei centri medici accademici hanno rilevanti partecipazioni nelle aziende che sponsorizzano la ricerca all’interno della stessa istituzione. Una inchiesta sul settore universitario medico ha scoperto che i due terzi dei cattedratici dovevano il loro incarico alle aziende farmaceutiche e che i tre quinti avevano ricevuto da queste incarichipersonali». M. Petersen: «La tragedia non sta nei medicinali, ma nel marketing e nel potere senza precedenti che queste società attualmente detengono sulla pratica medica». R. Moynihan: «Le case farmaceutiche hanno generosamente sovvenzionato… ospedali, università, scuole di medicina, associazioni mediche, agenzie governative e praticamente qualunque organizzazione desiderassero avere a fianco». E, come non bastasse: «Dato che le aziende farmaceutiche pretendono, come condizione per erogare un finanziamento, di essere capillarmente coinvolte in tutti gli aspetti della ricerca che sponsorizzano, è facile per loro introdurre falsificazioni dirette a far apparire i loro farmaci migliori e più sicuri di quel che sono. Prima del 1980 veniva data ai ricercatori universitari una totale autonomia nella conduzione dei lavori, ma ora le case farmaceutiche impiegano spesso i loro dipendenti ed i loro agenti nel progettare gli studi, eseguire i test, scrivere i lavori, e decidere se e inquale forma pubblicare i risultati. Talvolta le facoltà mediche procurano ricercatori che sono poco più che manovali, per cui l’arruolamento di pazienti e la raccolta dei dati seguono le direttive dell’azienda. In considerazione di un controllo simile e dei conflitti di interesse che permeano la ricerca, non c’è da meravigliarsi che i risultati negativi degli studi sponsorizzati dalle case farmaceutiche (e pubblicati su riviste scientifiche a loro tornaconto), non vengano in gran parte resi noti, mentre la pubblicazione di quelli positivi venga riproposta in altri lavori appena variati nella forma; oppure che quelli negativi vengano presentati come positivi. Per fare un esempio, un controllo su 74 studi clinici relativi ad antidepressivi, ha svelato che 37 su 38 risultati positivi siano stati pubblicati, ma 36 dei 37 negativi o sono stati occultati o pubblicati spacciandoli per positivi. Non è poi raro che un documento pubblicato focalizzi l’attenzione sull’effetto secondario chesembra più favorevole». Il sunto drammatico della situazione può rintracciarsi nel discorso di apertura tenuto dal dottor Erling Refsum, esponente della Nomura International, nel corso del quale egli disse fra l’altro: «Le grandi case farmaceutiche si fondano ormai sulla finanza. Ciò che fanno non ha nulla a che spartire con la ricerca, ma ruota intorno al calcolo degli utili per azioni ed alla soddisfazione delle aspettative degli azionisti. Scoprire nuovi farmaci non interessa a queste società, perché per loro ciò che stanno realmente vendendo non ha la minima rilevanza. L’importante è guadagnare» (Life Sciences, Università del Michigan, 8 febbraio 2002. Il video del discorso è disponibile su www.zli.bus.umich.edu/events_programs/featured_event.asp). Ancor più esplicito il lapidario responso rilasciato nel corso di un’intervista del 2003 da Alex Hittle, analista di A.G.Edwards: «Circola una battuta secondo cui si rischiano due possibili disastri, quando si fanno dei test clinici. Il primo è uccidere le persone, il secondo guarirle» (International Herald Tribune, 1 marzo 2003). Eccovi presentata la tanto reclamizzata e dogmatizzata EBM (Evidence-Based Medicine). Le ovvie, incontestabili conclusioni di questa esasperata ed esasperante colonizzazione le trarremo nella chiusura di questo scritto, avvilita ceralacca che suggella una disamina mai condotta dai mezzi di informazione, specie nostrani, senza giri di parole, distrazioni e lacune omertose. Conclusione: poiché sul prezzo del farmaco incidono marginalmente i costi vivi, in misura prevalente quelli di marketing e penetrazione in ogni tessuto sociale ed istituzionale, noi contribuenti siamo forzatamente costretti a pagare il sovvenzionamento della corruzione!!! Come osserva la Petersen, «Mentre i pazienti si ritrovano con le tasche vuote, i produttori di farmaci nuotano nell’oro». 2.Inventare malattie »Persino ai cani viene somministrato il Prozac se abbaiano troppo alla luna». Come prologo non ci sembra male. Ma, psicofarmaci a parte, potremo constatare come non vi sia funzione dell’organismo o parte del corpo sulle quali non si sia sbizzarrita la rapace fantasia dei mercanti di pillole. Fantasia, a dire il vero, bolsa e un po’ ammuffita, dato che noi italiani, meno ingenui e più smaliziati degli americani, tendiamo - se stiamo bene - a sorriderne, condendo l’ilarità con qualche salace battutaccia toscaneggiante. Il guaio è che quando si accusa qualche problema di salute, sopravalutato o sottovalutato che sia, il senso critico (e quello dell’umorismo) di qualsiasi persona si appanna e rende tutti potenziali prede di queste poiane che planano su di noi, lente e pazienti - sapete - pronte a focalizzare il primo segno di malessere, la prima smorfia che ci storce la bocca e scendere in picchiata sulla nostra salute ed il nostro portafogli. Dato che l’assurdità (ed a volte la ridicolaggine) di certa neo-diagnostica è difficile da camuffare, si ricorre ad uno stratagemma di sicura presa, efficace quando certe magniloquenti nomenclature fanno cilecca: gli acronimi. Papale papale, ecco l’opinione della Petersen: «Per inventare nuove malattie o ingigantire le preesistenti, le aziende affibbiano loro denominazioni altisonanti attraverso acronimi». Se poi questi sono desunti dall’ammericano... meglio ancora. Sa di arcano, sa di importante, sa di vero... Se una persona semplice ascolta un critico d’arte (altro velo pietoso) magnificare una crosta sfregiata da segni inconcludenti - una di quelle solenni porcherie a caro prezzo che deturpano pareti di case e di gallerie d’arte contemporanea (e che uno scimpanzè riuscirebbe a dipingere probabilmente meglio,... pardon…, meno peggio del divino) - tra un parolone e l’altro si convincerà di chissà quali criptici valori celati nel brutalizzato rettangolo di tela. Ammetterete cheanaloghe sciocchezze recitate da qualche ieratico personaggio dal camice bianco immacolato ed appena stirato, bene impomatato e pettinato da abili truccatori, che spari disinvolto tutta una serie di neopatologie con impeccabile pronuncia, ha buone probabilità di far presa sul pubblico più ingenuo: quasi intimorito perfino all’impulso di chiedersi «ma che è ‘sta roba?». Cerchiamo quindi di rimanere seri e iniziamo il carosello. Nel 2003 Vince Parry, esperto di marchi farmaceutici, scrisse su una rivista scientifica che la capacità di creare nuove malattie aveva toccato «… livelli di sofisticazione mai raggiunti prima». Non si tratta infatti di un disegno inedito, ma solo di un’esasperazione di tendenze manifestatesi agli albori dell’industrialismo farmaceutico. - L’alitosi. Alias: alito cattivo eretto a condizione patologica. Siamo agli inizi degli anni venti, quando il colosso farmaceutico Warner-Lambert fa questa pensata per aumentare le vendite di un proprio farmaco,ovviamente inefficace a risolvere un problema che, una volta curata l’igiene dentale oppure rinunciando a strapazzare il proprio fegato, magari sparirebbe: il Listerine. Risultato: la Warner riesce a vendere un quantitativo di Listerine 40 volte superiore a quello ante alitosi! Fu creato anche uno slogan, emblematico del tempo, che evidentemente fece presa, soprattutto sulle donne americane: «Messaggio per 5 milioni di donne in cerca di marito: com’è il vostro alito oggi?». Un semplice esempio, ma valido per completare, anche storicamente, questa rassegna. Ma ora proseguiamo con l’attualità. - GERD. Siete curiosi di sapere di che diavolo si tratti? E’ l’acronimo di sindrome gastro-esofagea da reflusso. Detta così, una cosa importante. Tolti gli orpelli si riduce al bruciore di stomaco. Ma dire sono affetto da sindrome gastro-esofagea da reflusso è tutt’altra cosa del plebeo ho bruciore di stomaco. E caspita, c’è di mezzo l’autorevolezza del malato! Ed il problema,che un coscienzioso medico di famiglia risolverebbe con un opportuno regime dietetico e un po’ di bicarbonato, si trasforma in un caso da indagare con carrettate di analisi, -scopìe varie, indagini di ogni genere. Inutili, quando non potenzialmente dannose, e costose: per le casse dello Stato, la collettività ed il paziente dal ruttino allo zolfo. Ma remunerative per altri. Autori ben più autorevoli di noi la pensano alla stessa maniera: «... pillole, iniezioni o interventi chirurgici possono anche provocare più danni della malattia stessa. Persino gli esami… con aghi, endoscopie, TAC e radiazioni possono danneggiare la salute». E’ mai ammissibile la frequenza con la quale vengono effettuate, in particolare, colonscopie, rettoscopie, gastroscopie, per giunta con immotivate, frequenti (e pericolose) biopsie? Ma la semeiotica e l’esame obiettivo, dove sono finiti? Per decenza, evitiamo di rivelarlo. Torniamo ora alla genesi dello Gerd. Sigla che si deve ad un ragioniere. Inutilestrabuzzare gli occhi: è così. Paul Girolami era entrato in Glaxo come contabile ed aveva fatto carriera, divenendo direttore nel 1980. All’uscita dello Zantac, prodotto antiulcera assai noto e diffuso, Girolami considerò che gli americani sono appassionati consumatori di pizza (la loro pizza... s’intende), patatine fritte, hot dog, pollo fritto, porcherie assortite ed altri cibi spacca-stomaco: di conseguenza, trasformare i bruciori e l’acidità di stomaco in una malattia acuta e cronica e presentare un farmaco come specificamente studiato per curare il Gastroesophageal Reflux Desease poteva riempire d’oro la Glaxo. Una ricerca statistica, commissionata alla società Gallup, rivelò che il 44% della popolazione statunitense accusava ogni mese bruciori di stomaco: senza perdere tempo venne varata una campagna pubblicitaria titolata «Bruciori di stomaco in tutta l’America»! Girolami non amava fare le cose a metà, per cui la Glaxo assoldò l’attrice Nancy Walker perché raccontasse che dopoinenarrabili peripezie causate dai suoi riflussi acidi aveva risolto il problema con lo Zantac. I dirigenti Glaxo fecero anche di più: crearono L’Institute for Digestive Health, allo scopo di incapsulare le fregole commerciali sotto il manto di un’istituzione presentata quale autorevole ed autonomo ente accademico-scientifico. Ai margini di questa offensiva, supportata da risorse evocanti la campagna di Guadalcanal, una talea del Gerd. Uno degli accademici pagati da Glaxo, Donald O. Castell, primario di gastroenterologia, raccontò nel 1989 al New York Times che la casa farmaceutica gli aveva dato 15.000 $ per condurre uno studio: val la pena approfondire. Lo studio consisteva nel reclutare una dozzina di podisti, far mangiare loro cornflakes, latte, una banana e succo d’arancia, seguìti da una compressa di Zantac, e mandarli a correre. Ebbene, il farmaco somministrato preventivamente scongiurava il... riflusso del corridore, neopatologia marcata anch’essa Glaxo. La sensazionale notiziavenne diffusa in tutto il mondo grazie ad un’agenzia ingaggiata allo scopo, la Ketchum Communications. Glaxo divenne la più grossa casa farmaceutica britannica, la regina Elisabetta nominò baronetto Girolami, e la stessa Glaxo, grata e commossa, commissionò una statua in bronzo (tutta in bronzo, non solo il viso) ad uno scultore di fama: l’effigie di Sir Paul Girolami troneggia oggi nel quartier generale della società. Sic transit gloria mundi. - DE. Un acronimo di due lettere risulta particolarmente incisivo. Andiamo allo sviluppo: Disfunzione Erettile! Un problema fisiologico per uomini di una certa età, patologico se si manifesta precocemente. Le cause - si sa - possono essere tante e, come bisognerebbe fare sempre prima di azzardarsi a prescrivere qualsiasi farmaco, occorrerebbe decifrarle con precisione, senza limitarsi alla pur imbarazzante sintomatologia. Ma di solito ci si accontenta di qualche rapida descrizione, fatta ad occhi bassi, per diagnosticareuna DE e, seguendo diligentemente le linee-guida, prescrivere il farmaco block-buster (campione d’incassi) a ciò deputato. Ci occuperemo più avanti di questa categoria di prodotti e del loro retroterra economico. - PMMD. Qui voliamo verso l’empireo: siamo di fronte alla sindrome premestruale. Che cos’è? Tutte le donne (ed i loro partner), sanno bene come i disturbi che precedono ed accompagnano il flusso mestruale, dal menarca alla menopausa, siano antipatici, alterino l’umore ed incrementino l’irritabilità. E’ un fenomeno fisiologico, prima ancora che psicologico, le cui cause sono state individuate da tempo e dovrebbero essere conosciute da qualsiasi studente di medicina. Ma la fisiologia è nemica del profitto delle vendite: tale considerazione ha portato (anche) a coniare il PMMD. Già negli anni sessanta si era iniziato a parlare di SPM (Sindrome Premestruale), volendo riunire una serie di sintomatologie psicologiche e fisiche (tra le quali la ritenzioneidrica) che accomunavano molte donne, senza volerne forzare l’accezione in una patologia per la quale sfornare appositi medicinali. Si era affacciata, a dire la verità, una siglatura di barocca insulsaggine (LLPDD: disturbo disforico della tarda fase luteinica), ma, al di là dell’offrire a medici di deprimente mediocrità un escamotage terminologico per apparire autorevoli e colti, non si era andati. All’inizio del 2000, una campagna di quelle che vengono definite informative mise in allarme milioni di donne nei confronti del disturbo disforico premestruale. I media abboccarono o accettarono di abboccare alla immissione sul mercato del Prozac in confezione civettuola, con capsule rosa e lavanda ed il nome d’arte di Sarafem: specialità presentata quale cura per questa nuova malattia. Al solo scopo di favorire la divulgazione scientifica... la direzione marketing della Ely Lilly commissionò anche spot televisivi a società pubblicitarie esperte nel lancio di marche di caffè,elettrodomestici, autovetture, cellulari. Volete un saggio? Uno di questi spot riprende una donna, in evidente stato di nervosismo, che tenta di liberare il carrello della spesa dal groviglio degli altri. A questo punto interviene una voce fuori campo: «Pensi che siano semplici sbalzi di umore dovuti al ciclo? Potrebbe trattarsi del disturbo disforico premestruale». R. Moynihan e A. Cassels scavano più a fondo sulle motivazioni che portarono alla PMMD. La verità è che a fine ‘98 stava per scadere il brevetto della fluoxetina (principio attivo del Prozac), con la inevitabile comparsa di generici meno costosi. La Lilly organizzò quindi una roundtable a Washington, presenti anche esponenti della FDA, e partì l’offensiva sopra evocata. Noi europei, forse perché nei secoli ne abbiamo viste di tutti i colori, siamo meno sensibili a queste cretinate, ed a volte le istituzioni sanitarie del vecchio continente ne tengono conto. Nel dicembre 2003 gli organi di vigilanza europei inibironoalla Lilly il prosieguo della commercializzazione del Prozac per i disturbi premestruali, dichiarando che si trattava di una «patologia non ben definita». Semel in anno licet sanire. - FSD. La disfunzione sessuale femminile (Female Sexual Disfunction). Non chiedeteci lumi sulla nozione di FSD: mai precisamente definita. Quest’ennesima conquista scientifica non fu frutto di una singola casa farmaceutica. Forse la forzatura apparve tanto grossa da consigliare di adibire a levatrice della bufala un convegno internazionale. Come, d’altronde, si era fatto per il DE visto prima. Tecnica già collaudata: un sondaggio (?) stabilisce che il 46% delle donne ne soffre. Nella Blue Room del Palais des Congrès di Parigi, il 30 giugno 2003, nell’ambito di un sontuoso Congresso Internazionale sulle disfunzioni sessuali, si accese un dibattito sull’argomento, sponsorizzato dalla Pfitzer con «una borsa di studio senza limitazioni». Siccome non tutti sono disposti a recitare la partedel giullare ed alcuni congressisti ritenevano che la misura fosse ormai colma, alcuni partecipanti respinsero la sola idea «... che esistesse una malattia con questo nome e stavano conducendo una campagna per smascherare il ruolo che secondo loro le case farmaceutiche avevano nella sua invenzione» (Moyhnian e Cassels, Farmaci che ammalano, pagine 227-228). Singolarità: il moderatore del dibattito e due oratori schierati a difesa dell’esistenza e plausibilità della FSD avevano lavorato come consulenti esterni della Pfitzer. In un successivo congresso a Boston, la precisissima e puntigliosa percentuale del 46% si trasformò in una forbice possibilista «tra il 20 ed il 50%», e fu sancito che la nuova definizione dovesse essere adottata negli ambienti medici e psichiatrici. Casuale... la sponsorizzazione del congresso da parte di 8 case farmaceutiche ed il fatto che 18 dei 19 sostenitori della FSD avessero «legami finanziari o di altro tipo con un totale di 22 società» (opera citata pagina235). L’anno dopo, altro congresso a Boston, sempre sullo stesso tema. Qui un controllo tanto al braccio (alzata di mano quale risposta alla precisa domanda) rivelò che la metà dei partecipanti era aggiogata all’industria farmaceutica. Evitiamo di citare i numerosissimi congressi organizzati in ogni dove picchiando sempre sullo stesso tasto, alcuni dei quali - abbandonata la sagrestana prudenza - nella stessa sede della Fondazione Pfitzer, e l’arruolamento di ausiliarii di ogni genere: sociologi, opinionisti, luminari al neon, giornalisti ed associazioni di femministe furibonde nei confronti degli uomini e del mondo intero. Il mercato sarebbe (ed in parte è) di enorme appetibilità: cerotti al testosterone, farmaci a base di estrogeni (efficacissimi fattori cancerofili: quindi fonti di potenziale, ulteriore, successivo business oncologico), psicofarmaci. Ed ovviamente non può mancare il micro business (micro rispetto alle vendite di farmaci) costituito dall’onorario diginecologi, psicologi, psicanalisti e para-psico-parassiti vari. Lapidariamente qualcuno ha riassunto in poche righe il succo del discorso: «Le società farmaceutiche stanno cercando nuove malattie, in base ad ampie analisi delle opportunità di mercato non sfruttate, già riconosciute oggi o promosse come tali domani. Gli anni venturi assisteranno in misura crescente alla creazione di malattie sponsorizzate dalle società farmaceutiche» (New England Journal of Medicine, volume 346, pagine 524-526). L’invito più saggio ci sembra quello di Jean Endicott, intervistato da Ray Moynihan: «Non fatevi ingannare dal marketing sovvenzionato dalle case farmaceutiche camuffato da scienza o da informazione». In conclusione: il business continua florido anzi che no, ma il concetto di FSD ha fatto flop. - L’iperattività vescicale. Molti lettori non avranno mancato di osservare come la proliferazione di queste corbellerie è dovuta all’inescusabile complicità di parte della classe medica, a sua voltaparticolarmente favorita, oltre che dal sensuale fruscio delle banconote, da una rigogliosa ignoranza. La corbelleria di turno viene ideata dal colosso farmaceutico Pharmacia e sostenuta da una forsennata campagna promozionale senza scrupoli. Già nel 1998 i telegiornali avvisavano che c’era una nuova epidemia che colpiva un americano su quattro: «Misteriosamente, i servizi iniziarono a susseguirsi sui media poche settimane prima che nelle farmacie arrivasse un nuovo farmaco per questa malattia, una compressa bianca chiamata ‘Detrol’ » (opera citata, pagina 27). Il bello è che cinque anni dopo il presidente di Pharmacia, Neil Wolf, intervenendo al Pharmaceutical Marketing Global Summit (titolo che è già un programma), si sarebbe vantato di questa truffa, gonfiandosi d’orgoglio come un tacchino. La prima slide proiettata recava il titolo dell’intervento: «Posizionare il ‘Detrol’ - creare una malattia». Affermò quindi: «Volevamo che la gente leggesse qualcosa sul Reader’s Digest e andassedal medico dicendo: ho questo problema». Da quale sfrido cerebrale nasce l’iperattività vescicale? La genesi è nella bava; bava monetaria che cola dalle fauci, visto che gli industriali farmaceutici sembrano tutti affetti da quel prognatismo che caratterizza bulldog e cani mastinoidi. Ricostruiamo il percorso logico-filosofico della pipì-syndrome. L’incontinenza è un problema numericamente limitato e prevalente in una fascia alta d’età. Il che significa minor numero di potenziali acquirenti; il che significa meno vendite e utili. Una rapida stima porta a considerare che l’incontinenza viene curata con farmaci di basso prezzo e frutta appena 40 milioni di dollari l’anno, cifra per morti di fame e squalificante per un’azienda farmaceutica di grosse dimensioni. Allora una lampadina si accende, abbagliante, sulla cervice di Wolf. Bisogna vendere il Detrol a venti milioni di americani, convincendoli che il bisogno naturale di fare pipì è fastidioso, sgradevole, innaturale. In unaparola: è una malattia. Tutti coloro che sentono il bisogno di mingere 9-10 volte al giorno sono costretti - disse Wolf - ad adottare comportamenti definibili mappatura della toilette, evacuazione preventiva. Ecco, tenera, premurosa, materna, che Pharmacia arriva a liberare i neomalati dalla schiavitù della pipì. Approfittiamo di questo episodio di UM (Uric-Marketing: ci si vuol negare il diritto di coniare anche noi acronimi?) per fare luce sulle strategie ormai consolidate nel breviario-manuale farmaceutico. Nel Pharmaceutical Marketing Congress del 2002, Eric Pauwels, dirigente della Bayer, moderò una discussione sulle Strategie di marketing precedenti al lancio del prodotto. I congressisti si trovarono d’accordo sul fatto che era indispensabile «... arruolare i dottori con ampio anticipo di mesi, se non anni prima della presunta data di approvazione del farmaco stesso». Pauwels osservò: «Quante volte, alla vigilia del lancio di un medicinale, abbiamo dovuto trovare qualcuno chene parlasse?». Si convenne da parte di tutti che non era necessario né conveniente ricorrere a grossi nomi, ma, anzi, risultava preferibile trovare una rosa di medici «... disponibili ad affermare che il prodotto X era migliore del prodotto Y»: si sarebbe pensato poi a «costruire la loro reputazione all’interno della comunità scientifica» e farne dei novelli luminari. Insomma, trasfigurando questa realtà nella nota favola oraziana, si fanno diventare topi di città i topi di campagna. E si risparmia pure, perché i servitori di provincia costano molto meno dei grandi servi in livrea dei capoluoghi. Nessuna preoccupazione se, col tempo, i primi sprimacceranno i loro magnanimi lombi sugli scranni accademici: sono dei soli, ma soli compromessi, che possono quindi tramontare con la stessa velocità con la quale sono sorti. Per inciso, il lettore è così in grado di comprendere come personaggi ossessivamente chiamati in ballo da testate giornalistiche o ripresi dalle telecamere lascino instruggente incertezza. Incertezza che deriva dal loro aspetto e che è tutta questione di numeri: sì, il numero degli anni di carcere ai quali vien spontaneo pensare siano stati condannati. Questi astri di etica e cultura medica vengono definiti (e ci scappa un altro acronimo) KOL: Key Opinion Leaders, leader di pensiero scientifico. Tenetelo bene a mente: KOL! Ma andiamo avanti. Pharmacia individua senza difficoltà un nutrito drappello di medici disponibili, li arruola e li fa partecipare a due simposi tenutisi a Londra nel 1997 e nel 1999, pagando anche per ottenere la pubblicazione sulla diffusa rivista Urology degli atti congressuali. La ditta «… copriva la maggior parte, se non la totalità, delle spese dei simposi londinesi e pagava anche i medici che vi si presenziavano... .altri vennero pagati per eseguire test clinici o scrivere articoli per le riviste mediche» (opera citata, pagina 43). Il primo supplemento di Urology del dicembre 1997 riportava 30 articoli, per lamaggior parte scritti dagli arruolati della società. C’è da chiedersi come mai una rivista scientifica rinomata e diffusa si sia prestata a queste mistificazioni. La triste realtà è che sono poche quelle davvero autonome e indipendenti (in misura più o meno parziale), molte quelle partecipate da multinazionali del farmaco o da loro collegate. Gli esempi di British Medical Journal o del New England Journal of Medicine sono purtroppo assai circoscritti. Parleremo prossimamente del prezzo che avrebbero pagato gli incauti consumatori di Detrol per (non) liberarsi da questo asservimento. Ricordando una celebre battuta fantozziana a proposito della Corazzata Potëmkin, verrebbe da definire tale operato una pis...ta pazzesca. - IBS. Sindrome da intestino irritabile (Irritable Bowel Syndrome). Inutile dire che anche questa chicca, con la quale concludiamo la presente rassegna (non esaustiva, ma solo rappresentativa), nasce da una rozza prospettiva mercantile. E’ chiaroche si tratta di mistificazione. Che non sarebbe mai passata ai tempi della grande medicina: quella di Murri, Albertoni, Lussana, Moscati, Cardarelli, Frugoni, Campanacci. Quando l’ammalato si visitava non soltanto, ma prima di tutto, con dita, occhi, orecchi; i sintomi erano considerati segni di malattie, non malattie; la mente del medico elaborava, cucendo formule chimiche con nozioni di fisiologia, biologia, biofisica; e la prescrizione nasceva da un profondo processo di logica e di cultura applicata, non dal seguito servile e rinunciatario di linee guida. Chi avesse parlato ad uno qualsiasi dei (veri) luminari citati di IBS, DE, FSD, sarebbe stato preso a calci nel sedere o afferrato per la collottola e trascinato all’uscita. Anche qui il solito, stanco copione. Si considera che molte persone soffrono di dolori di stomaco, diarrea o problemi di stipsi, e si rilegano questi sintomi in una nuova patologia. Una specie di natura morta, avvolta da una nebbia simbolistica alla DeChirico, dove si mettono insieme oggetti d’uso domestico, frutti, verdure ed un manichino col capo reclinato. Basta trovare una bella cornice, mettere un paio di firme nell’angolo destro, ed ecco pronta una nuova patologia. Inquietante (non inedito) lo strumento di lancio dei farmaci già pronti: un articolo di Lancet, pubblicato a Londra alcuni mesi prima del varo della nuova Potëmkin. Inutile frugare sui legami dei redattori dell’articolo e la Glaxo: «In ambito medico un articolo positivo su The Lancet vale oro, e pertanto questa fu un’ottima notizia per GSK (GlaxoSmithKline), l’azienda produttrice del farmaco» (opera citata, pagina 206). La febbre dell’oro porta a considerare che il farmaco (Lotronex) può valere miliardi di dollari, e quindi occorre tirare fuori dal cilindro il solito peluche delle statistiche: la IBS colpisce nientemeno che una persona su cinque, che, in soldoni, significa 45 milioni di pazienti negli States. La meraviglia - ci si perdoni l’intromissione - èche, considerando i milioni di americani che soffrono di acidità, problemi vescicali, sessuali, psicologici, digestivi, motori, eccetera, si arriva alla considerazione che su 300 milioni di abitanti ci sono almeno un miliardo e mezzo di malati. E poi uno non deve credere nei miracoli della scienza! L’unica quisquilia è che il farmaco provoca, in non pochi casi, costipazione acuta e tenace, nonché la cosiddetta colite ischemica. Le feci si trasformano in sassi appuntiti che perforano le pareti dell’intestino, con conseguenti emorragie e setticemie non di rado letali. Gli incredibili tira-e-molla tra GSK ed alleati cavalieri mascherati, esponenti comprati della FDA, altri fuori mercato, il solito rompiscatole del BMJ (British Medical Journal), comitati di pazienti in realtà manichini Glaxo, li tratteremo più avanti, quando parleremo dell’opinabilissima autorevolezza e indipendenza dell’istituzione governativa americana. Il farmaco viene sospeso, poi riammesso, poi nuovamentecriticato, riassolto...; una lunga saga, accompagnata da resipiscenze di Lancet, pur tardive, e dall’entrata in campo, in questa cagnara accompagnata da morsi e latrati, della Novartis col suo Zelnorm. A dimostrare come costipazioni iatrogene, perforazioni intestinali, emorragie e morti non siano considerate che bazzecole, la concorrente della GSK giura sull’esistenza innegabile della IBS, lanciando uno spot: «Fastidi o dolori addominali? Gonfiori? Stitichezza? E’ ora di parlare con il tuo medico dell’IBS» (pubblicità Novartis del 2002). E’ appena il caso di notare come questo mazzo di sintomi possano dipendere (e dipendono) da cause estremamente varie e spesso assai lontane. E’ semplicemente inaudito ed oscurantista (qualche severo censore direbbe criminale) mettere insieme sintomi che discendono da patologie diverse o da temporanee disfunzioni e farne una malattia. Si può trattare di ingrossamento del fegato, colite, abuso di antibiotici, alterazioni della flora battericaintestinale, fermentazioni del periodo estivo, virosi intestinali, abitudini alimentari errate, stili di vita pregiudizievoli, e via dicendo. Il più delle volte basterebbe mettersi a dieta, assumere disinfettanti intestinali, fermenti lattici, farmaci per aiutare la decongestione epatica, vitamine. Come al solito, prevale la meccanica ed acefala connessione sintomo-diagnosi, pseudodiagnosi-linea guida, linea guida-farmaci, farmaci-soldi. E la qualità della vita del singolo, già compromessa da alimenti carenti di sali, vitamine o da ritmi di vita errati ed imposti, peggiora, invece di migliorare, con l’assunzione di farmaci impropri e magari dannosi, ma che producono utili diretti ed utili indiretti: questi ultimi quando il malcapitato - come prassi frequente - sarà costretto ad assumere altri farmaci per combattere le malattie provocate da quelli consigliatigli. In un’autogerminazione di irrazionalità e disonestà che a volte ha fine solo con la morte del sano diventato malato. E poidicono che il moto perpetuo non esiste! Il lettore che ci ha fin qui seguiti pazientemente, potrebbe, pur continuando a leggere con interesse, bofonchiare all’indirizzo del redattore di queste righe: «E va bene, abbiamo capito che si inventano le malattie per farci soldi. Ma bastava qualche esempio. Cosa vuoi fare, un’antologia minuziosa delle malattie inventate?». Caro lettore, ti preghiamo di continuare a seguirci con pazienza, perché il bello (cioè il brutto) deve ancora venire. Nel senso che non abbiamo affrontato questi argomenti con lo spirito di un giornalista superficiale, che si frega le mani al pensiero di sbalordire e meravigliare, magari caricando i termini e colorando la realtà. Dietro quanto abbiamo esposto c’è - cosa più importante di ogni altra - la salute e la vita nostra e dei nostri cari, certo; ma c’è il punto chiave, anzi, la chiave stessa che apre un portone sigillato in ogni modo, spalancato il quale si presenta devastante, raccapricciante, evidente ilDISASTRO multiforme della nostra epoca. C’è la dimostrazione indiscutibile dell’asservimento dell’uomo a clan spuntati rigogliosi, soprattutto negli ultimi decenni, veri Fleurs du Mal della nostra contemporaneità; c’è la osannata, propagandata e surrettiziamente imposta filosofia che ripete con cadenza ossessiva come slogan i sacri vocaboli libertà e democrazia per celare il lezzo di una decomposizione morale, ma anche intellettuale, mai registratasi nella storia dell’umanità. Una decomposizione che ormai non ha confini, ti entra dalla porta di casa, ti porta via i figli, ti sottrae la possibilità di capire e giudicare, trasformandoti da uomo in ingranaggio, da individuo a numero di serie, da uomo in animale ad impulsi programmati. Gli autori che abbiamo citato, ed altri ancora, pur meritevoli di gratitudine e stima, ci sembra non colgano l’aspetto di gran lunga più importante di questa disamina: la base di questo malcostume, la ragione, la vera causa; e quindi i possibili rimedi.Qui, in poche parole, non c’è di mezzo solo la truffa e la menzogna farmaceutica: paradossalmente, sarebbe il meno. Qui si arriva al ganglio vitale di tutta la società, specie occidentale o sotto influenza occidentale, degli ultimi sessant’anni. L’umanità è realmente oppressa ed espropriata di ogni vera libertà, speriamo non in modo irreversibile, solo quando è convinta di vivere in un’epoca di civiltà e progresso. Il tiranno più oppressivo non è quello che viene identificato come tale, quello che ha una faccia ed un nome e può essere detronizzato: il vero despota non ha volto. Non è uno, né è un direttorio. L’oppressore del nostro tempo si serve di uomini, ma è una sigla. Un sorta di moloch costituito da una ditta, da un’entità organizzata e non obbligatoriamente individuabile, che da creatura dell’uomo si trasforma in entità autonoma, prende vita come statua che da immobile ed inanimata inizi a battere le ciglia, respirare, camminare, orrido automa in grado di schiacciare edivorare chi l’ha forgiata per il raggiungimento dei propri interessi. Se ci trovi oscuri o farneticanti, caro lettore, scusaci, ma ti preghiamo di seguirci ancora. Non è una tattica furbesca per catturare la tua attenzione, ma solo la volontà di condividere con i propri simili, fraternamente, quello che non meriti o doti personali particolari, ma i casi della vita ci hanno permesso di scorgere. E siamo convinti che questo, per quanto amaro e sconvolgente, sia stato un privilegio che la sorte ci ha concesso. L’importante, nella vita, non è tanto la serenità, ma capire, sapere, voler capire e sapere: in caso contrario si consumerebbero inutilmente i propri anni come comparse e capitoli d’anagrafe, non uomini. A breve affronteremo temi ancor più sconvolgenti ed eloquenti: il mondo alienante degli psicofarmaci, i farmaci block-busters, lo sfruttamento dell’infanzia, i numeri del business, l’infiltrazione nelle istituzioni di ogni Paese. Prima di suonare il campanello di casa del GrandeFratello orwelliano e dalle ragnatele giungere alla tana del ragno. 3...e continuano: la Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva «Preferisco i malvagi agli imbecilli: almeno i primi, ogni tanto, si riposano» (A. Dumas figlio) Iniziamo questa terza parte attingendo alla fresca cronaca, che segnala come continuino imperturbabili comportamenti e strategie che abbiamo già passato in rassegna. Stesso copione: un’altra patologia inventata, col suo bravo acronimo ed il rimedio già scodellato, in omaggio al curioso costume della ricerca, e che sarebbe più semplice presentare la nuova gemma del genio farmaceutico quale rimedio per malattie già conosciute: ma cari amici, laddove la logica scientifica sembra risentire di uno scambio funzionale tra cervello e glutei, le uniche ragioni che contano sono quelle del cuore (di Wall Street). Dove andrebbe a finire la forza d’impatto dell’azione di marketing? E poi, vogliamo proprio far sprofondare l’Era della Scienza ai livelli deltempo in cui farneticavano empiriconi come Pasteur e Koch, e si blaterava di rabbia, carbonchio, tubercolosi? Ma rientriamo nei binari. Una malattia che suoni il campanello dei potenziali acquirenti e porga con mano guantata il proprio biglietto da visita, istoriato da un altisonante BPCO, Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva, lascerà a bocca aperta il buzzurro onorato da cotanto personaggio. Un po’ come accadeva qualche secolo fa, di fronte a personaggi dalle ricche vesti, spadino al fianco, cappello con piume da far trascolorare d’invidia un pavone e, soprattutto, una lunga lista di titoli nobiliari che richiedeva lunghi minuti per essere sciorinata per intero. Volete mettere le borghesuccie colite, ulcera, emorroidi con la sangueblu Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva, che impegna la pronuncia quasi come la celebre sopra la panca la capra campa/sotto la panca la capra crepa? E che figurone fa il medico che spara questa complessa diagnosi con disinvoltura, rapidamente,guardando il paziente di traverso e con gli occhi semichiusi dal disprezzo, come a dirgli: Pezzo d’asino! Cosa vuoi capire tu di queste cose, ignorante come sei?». Il fine di abbindolare il cliente, fargli credere si tratti di una nuova malattia prima sconosciuta, ma oggi identificata e curabile grazie ai progressi della ricerca, appare evidente. Ed ora la solita domanda da plebeo semianalfabeta: ma che è ‘sta Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva-BPCO? Coscienti del nostro abbrutimento culturale, ce lo facciamo spiegare da numi della scienza: «La BPCO è caratterizzata da mancanza di respiro, tosse cronica e un’eccessiva produzione di muco. Occasionalmente si verificano casi di notevole peggioramento dei sintomi, denominati esacerbazione o crisi polmonare, che possono durare più settimane. La respirazione viene gravemente compromessa e i pazienti possono avere bisogno di ricovero ospedaliero. Le esacerbazioni sono eventi traumatizzanti, che comportano un maggiore stato d’ansia delpaziente, un peggioramento dello stato di salute, un calo della funzionalità polmonare e un maggior rischio di morte». Dopo gli scongiuri di rito - i più efficaci dei quali sono notoriamente quelli localizzati ad hoc - emerge che non si tratta di una patologia, ma di una serie di sintomi propri di uno stato di infiammazione la cui genesi (la questione è sempre la solita...) può essere quanto mai variegata: fumo, malattie professionali, inalazione di polveri, stati enfisematosi, bronchiti mal curate o cronicizzate da eccessi antibiotici, e così via. Altro che... esacerbazione polmonare! Una delle cose che non pochi medici sembrano ignorare - approfondiamo l’argomento data la diffusione di patologie bronchiali - è che sia sulla mucosa nasale che sull’epitelio interno del polmone sono disseminate cellule ciliate, così denominate per la loro foggia, pensata da un Tale che prima di creare l’uomo non aveva pubblicato statistiche truccate né ideato acronimi. Le cellule ciliate, per laloro stessa struttura, provocano un movimento convettivo dell’aria inspirata, inducendo un flusso non laminare, ma rotatorio. Forse qualche farmacologo o luminare istituzionale criticherà il Padreterno per questa bizzarria, ma il risultato è evidente per tutti coloro la cui scatola cranica non sia stata svuotata di materia grigia per far posto a certe benigne elargizioni: basta pensare che un tubo di gomma, poggiato su una superficie predeterminata, risulterà molto più lungo e voluminoso se arrotolato su se stesso anziché steso bello dritto. Questo significa che l’atto inspiratorio fa affluire una quantità d’ossigeno cospicua, a tutto vantaggio del risparmio nella frequenza respiratoria e di un minor logorio dei polmoni e delle strutture dedicate al loro movimento. In breve: si campa di più e meglio. Pur nella rudimentalità della nostra esposizione, questa, gentili lettori, è Fisiologia. Gli antibiotici, specie se usati impropriamente e per tempo prolungato, uccidono le celluleciliate, creando col tempo le premesse per un’insufficienza respiratoria e turbe cardiocircolatorie. Basterebbe non incaponirsi a trattare forme virali come fossero batteriche ed usare, fin quando possibile, sostanze come lisozima, vitamina C, vitamina A - totalmente innocue nei dosaggi consigliati, eutrofiche e non inventate da qualche Sir Girolami, ma da quel Tale di cui parlavamo sopra - per eliminare buona parte di situazioni prese golosamente a pretesto per creare la cosiddetta BPCO. La solita aberrazione - dunque - di confondere (o voler confondere) manifestazione di un male (sintomo) con malattia. La tragedia - per i Girolamini ed i beneficati dai droghieri del farmaco - sarebbe che si risalisse alla causa, e si affermasse (o meglio: si riaffermasse) quella mentalità medico-scientifica, sapientemente obnubilata negli ultimi decenni, che mira a rimuovere l’effetto rimuovendo la causa. Infatti, se il medico stacca la spina dalla cultura che ha il dovere morale di possedere edarricchire incessantemente, e come i cavalli che trascinano le poche romantiche carrozzelle rimaste si riferisce alla limitatissima visuale consentitagli dal paraocchi delle Linee-Guida, farà gli interessi di chi dall’interesse soltanto è mosso. In altre parole: il farmaco xy non risolverà mai la patologia, ma darà (e non sempre) quel po’ di sollievo che basta a farlo acquistare da chi avverte un disturbo; e poi riacquistare, e così via. Cosa che non accadrebbe se risolvesse la causa del disturbo. Questa è una delle colonne portanti degli utili dell’attuale mondo farmaco-medico-sanitario e dello sconfinato potere abbinato. Ma è scomponendo l’acronimo che emerge la parola magica: l’ggettivo cronico!!! Mai risolvere le malattie, ma cercare di prolungarle, cronicizzarle, o farle considerare croniche. Al tempo stesso - attenzione perché è un punto cruciale - produttori di farmaci e salmerie al seguito faranno di tutto perché venga tacitato, con le buone o le cattive, chi parla di causedi determinate patologie, e di tutto farà perché nessuno possa disporre delle sostanze in grado di risolvere davvero queste cause, nessuno possa rendere note e praticare acquisizioni scientifiche ed applicazioni terapeutiche capaci di scronicizzare i disturbi e guarire (o cercare di guarire) certe patologie. Questa è la storia della lotta feroce, rabbiosa, da bava alla bocca - lotta di un Golia vigliacco e tremebondo - condotta contro la Fisiologia, la corretta concezione di Scienza, la pratica medica secondo Scienza e Coscienza, le vitamine, tante sostanze fisiologiche, farmaci vecchi ma insostituibili ed innocui, e chi basa sulla scienza e non su editti e linee-guida un moderno approccio a tanti mali che affliggono l’manità: in particolare al problema cancro. Ma ne parleremo a conclusione di questi nostri scritti. Quello che, per ora, ci preme sottolineare è come tutto l’Apparato attacchi, come fosse un esercito schierato, con entrambe le ali, ed applichi contemporaneamente duestrategie: una, palese e urlata al megafono, attuata attraverso l’infiltrazione nei poteri governativi e nella società e diretta a suffragare un’accezione di scienza che poco con la scienza ha a che fare, molto col denaro; una seconda, silenziosa, occulta, a quota periscopica, da novella Santa Inquisizione alla ricerca di eresie ed eretici, diretta a censurare, impedire, perseguitare, oscurare e, se qualche cavallo scappasse dal recinto, esecrare, calunniare, ridicolizzare. Oggi, per giunta, si fatica meno di un tempo: spesso basta ignorare e far ignorare, attendendo che la gracile logica, la labile memoria della gente e la seguente alata filosofia facciano il resto: ne parla la tv?... ahhhh, allora dev’esser vero; non ne parla affatto??? Come pensavamo: era tutta una fola. Quanto diremo, a chiusura dell’argomento BPCO, ci sembra comunque segnali difficoltà un tempo più rare, quando non inesistenti, nella sfilata sotto l’arco di trionfo delle vendite. Di primo acchito non si scorgealcuna traccia, alcun effetto delle critiche severe al malcostume farmaceutico sollevate da ricercatori e medici moralmente integri, ed i tanti articoli o libri di denuncia cui fatto prima cenno parrebbero sfoghi improduttivi di idealisti che si sono illusi di poter cambiare il mondo. Ma forse qualcosa sta cambiando davvero. Il Roflumilast, specialità Daxas, è stato prodotto dalla Nycomed per il trattamento della BPCO. Ovviamente - come da copione – c’è stata la consueta campagna preparatoria, con dati e statistiche estratti dal cilindro (il 5% degli italiani sarebbe interessato dalla neosindrome, i morti sarebbero 20.000 all’anno nel mondo...); gli studi sono stati pubblicati sul Lancet nell’agosto 2009 e comunicati il mese dopo a Vienna al congresso annuale della ERS (European Respiratory Society). Ma non tutto è andato liscio come altre volte. Anzi, all’inizio le cose sembravano mettersi maluccio, dato che il Panel della FDA aveva votato contro l’approvazione del farmaco.Nycomed è una multinazionale con sede centrale a Zurigo, con un fatturato di appena 3,2 miliadi di € nel 2009, ma una gran voglia di fare meglio. Ha pensato fosse opportuno siglare un accordo con la Merck (fatturato: $12,1 miliardi) per il Daxas, e di puntare comunque sul mercato europeo. E qualche maligno potrebbe leggervi un nuovo corso, diretto a non indisporre il governo insidiando troppo la salute degli americani, sempre più sospettosi nei confronti di Big Pharma, ma propinare le ultime porch... - scusate - i farmaci più recenti agli indigeni delle colonie che compongono il vecchio continente: a noi, ascari bianchi. D’altronde la storia insegna come i nipoti dello zio Sam siano sempre stati bravi a declamare sacri princìpi ed ancor più ad imporli con la pelle altrui. Sia come sia, il farmaco alla fine è stato approvato dalla EMA (corrispondente europeo della FDA), ma con scarso entusiasmo e tutta una serie di specifiche limitative, dubbi e raccomandazioni, mentre il SMC(Scottish Medicines Consortium) ne ha sconsigliato l’impiego senza mi e senza ma. Quanto agli effetti collaterali più comuni (diarrea, nausea, cefalea, perdita di peso), si ammette che non sono ristretti a pochi soggetti con criticità peculiari, ma che appaiono più frequenti del desiderabile. Tutto qui? Pare di no, dato che nei documenti ufficiali della EMA si parla di «… rischio di disturbi psichiatrici come insonnia, ansietà, depressione nei pazienti che assumono Daxas e con potenziale rischio di suicidio. Da qui, la necessità di valutare attentamente il rapporto rischio-beneficio di questo trattamento nei pazienti con sintomi psichiatrici pre-esistenti o con una storia di depressione e di informare i pazienti di riportare qualsiasi cambiamento nel comportamento, nell’umore ed ogni ideazione di suicidio. Daxas non è quindi raccomandato in pazienti con una storia di depressione associata a ideazione o comportamento suicidario». E poco oltre: «… potenziale rischio di tumorimaligni e la mancanza di esperienza in pazienti con una storia pregressa di cancro. Il trattamento con Daxas non deve essere iniziato o deve essere interrotto nei pazienti affetti da cancro (eccetto il carcinoma delle cellule basali)». Per non tralasciare nulla, occorre considerare anche il «... potenziale rischio di infezioni: il trattamento con Daxas non deve essere iniziato, o deve essere interrotto, nei pazienti con problemi di infezioni acute gravi. L’esperienza limitata in pazienti con infezioni latenti come la tubercolosi, l’epatite virale o le infezioni da herpes». Per non fare torto ad alcun aspetto, si rileva anche come un motivo di prudenza sia costituito da «... informazioni limitate o mancanti nei pazienti con insufficienza epatica. Daxas è controindicato nei pazienti con insufficienza epatica moderata o grave... i dati clinici sono considerati insufficienti per consigliare un aggiustamento della dose e quindi bisogna osservare cautela nei pazienti con moderatainsufficienza epatica». Cari lettori, converrete che la nostra non è polemica pretestuosa: qui c’è veramente - a sfuggire l’accusa di maschilismo discriminatorio - da rigirarsi tra le dita quei gingilli comuni nel Meridione e raffiguranti un gobbetto, indice e mignolo protesi, cilindro in testa e un corno al posto delle gambe... Non mancano - doveroso riferirlo per completezza - elogi del farmaco e minimizzazioni degli effetti collaterali da parte di augusti cattedratici, anche nostrani. Ma in questo campo ed in simili ambienti, bisogna meravigliarsi solo di meravigliarsi ancora di qualcosa. I farmaci blockbuster, affari e malaffari Prima di andare a constatare come né la tarda età né l’infanzia riescano ad innestare rudimenti di scrupolo morale nei mercanti di pillole, è tempo di parlare dei cosiddetti farmaci blockbusters. Con questa terminologia si designano i farmaci campioni delle vendite: come si trattasse di detersivi, autovetture, televisoricoinvolti in una gara a chi ne piazza di più e più guadagna. Già questa dichiarata aspirazione al primato la dice lunga su fini, morale, idealità delle case farmaceutiche e mette di fronte anche gli ottimisti (spontanei o a cottimo) di fronte ad un’evidenza incontestabile. Sostanzialmente questo concetto, accompagnato dalla relativa terminologia gergale, nasce dai fasti Glaxo dell’era Paul Girolami ed in particolare dal famoso Zantac: farmaco tutt’altro che prodigioso e tutt’altro che immune da magagne nascoste. I pareri che contano nella politica farmaceutica non sono quelli di ricercatori e scienziati, ma quelli degli analisti finanziari. Dell’immortalato e nobilitato... Paul, il ricercatore dottor Jack, che aveva abbandonato schifato la Glaxo sbattendo la porta, disse in un’intervista: «Per parlarci chiaro, quell’uomo non ha la minima considerazione né per i ricercatori, né per la scienza ed i suoi princìpi. Gli interessa solo il denaro. Non credo gli importi di lavorare bene». Se non interessava a Girolami, alla Glaxo ed alle altre multinazionali produrre farmaci realmente efficaci e necessari, importava ed importa ancor meno a chi investe per speculare e per governare a bacchetta il mondo intero. Marc Mayer, esponente della Sandford C. Bernstein & Co, colse bene come il nuovo corso farmaceutico fosse una miniera d’oro sia per i produttori di farmaci che per l’esercito di jene, sciacalli, vampiri, zecche, sanguisughe & affini di tutte le Borse del mondo: «... valeva la pena investire grosse cifre in quei farmaci destinati alla cura di malattie croniche in grado di garantire un ampio margine di guadagno» dichiarò durante l’intervista rilasciata nel 1991 alla rivista Fortune. A questo din fece subito eco il dan di un’altra mignatta della finanza, analista di Morgan Stanley: «Il farmaco che negli anni ‘70 valeva 50 milioni di dollari all’anno, nel decennio successivo garantiva un ritorno dieci volte maggiore». Come nota la Petersen, «… si vennecosì a delineare a poco a poco una serie di strategie di vendita che gli addetti ai lavori definirono ‘modello blockbuster’. La ricetta era più o meno questa: concentrare gli investimenti finanziari e le attività di marketing sui farmaci destinati a curare malattie croniche o problemi come bruciori di stomaco, colesterolo alto e depressione». La ricetta - pubblicità a tutto campo+malattie croniche (o rese croniche) - è stata la carta vincente per i giganti del farmaco, la carta perdente per la salute dell’umanità. I numeri, del resto, parlano chiaro: Pfitzer nel 1947 dedicava alle spese promozionali e amministrative il 6% degli incassi, cinquant’anni dopo il 40%. Ma un altro è il punto fondamentale, il più importante di tutti, perché consente di comprendere l’anima nera della medicina contemporanea e la sua filosofia mercantilistica. Scrive l’autrice (pagina 180): «Le medicine che garantivano un migliore ritorno economico erano quelle che non guarivano da nessuna malattia,limitandosi a curarne i sintomi. Il paziente che comprava questi medicinali si trasformava né più né meno in una sicura fonte di reddito, proprio come il fumatore o l’amante del caffè espresso lo erano per la tabaccheria e il bar, contribuendo a garantire anni di considerevoli guadagni alla società produttrice». Torniamo ad avvertire il lettore: questa è la chiave di volta e la spiegazione di linee guida, farmaci imposti, farmaci e sostanze censurate, ricerche consentite, ricerche proibite, programmi di studio universitari, stage e master di aggiornamento, commissioni ministeriali, comitati etici e di tutta la costellazione di entità che oggi possono imporre e vietare, soffocando, insieme alla civiltà scientifica, l’aspirazione dell’umanità alla salute ed al benessere. Tanto per intenderci, un farmaco blockbuster, al tempo del conio di questo neologismo, doveva vendere almeno 500 milioni di dollari l’anno. Ora si parte da 1 miliardo di dollari (cifra che, per avere un metro dimisura immediato, significa duemila miliardi delle vecchie lire), per puntare a multipli. Quindi, un blockbuster che si rispetti realizza almeno il fatturato della Ferrari auto (€1,9 miliardi Nel 2010). I fatturati delle sette e più sorelle del farmaco raggiungono livelli inimmaginabili. Ray Moynihan e Alan Cassels, nel loro Farmaci che ammalano, parlano di un fatturato USA di 500 miliardi di dollari (circa 1 milione di miliardi di lire), superiore al PIL di parecchie nazioni, con un crescendo non solo ininterrotto, ma anche logaritmico. Dell’utile netto - senza confronti nei riguardi di qualsiasi attività economica umana - si è già parlato. Ci limitiamo ad osservare che, se da una parte il pur titanico profitto sarebbe doppio senza il costo di capillari ed endemiche corruzioni, dall’altra ungere significa investire, e non soltanto spendere, in quanto: - assicura una vivificante rete commerciale di corrotti (cattedratici, medici, politici, imbrattacarte mediatici, testimonial,ecc.); - presidia il sistematico progresso del giro d’affari; - toglie di mezzo la concorrenza della vera ricerca, della vera medicina, di una efficace farmacopea. Senza rinunciare volontariamente a qualche miliardo in... sacre unzioni, prima o poi si sarebbe obbligati a rinunciare a cifre maggiori di introiti. Attraverso questa politica, le chiocce del farmaco «... realizzano profitti a velocità più che doppia rispetto al resto del mercato... e... non conoscono crisi». Ma attenzione, non esistono solo i blockbuster ma anche i mega-blockbuster! E non si tratta solo di cifre, ma del rafforzarsi di una mentalità ancor più totalizzante. Citiamo la Petersen: «La ricetta del blockbuster farmaceutico funzionava talmente bene che Wall Street si innamorò ben presto dei profitti elevati che generava. Già alla fine degli anni ‘90, per una casa farmaceutica non bastava più poter mostrare un incremento rispettabile delle vendite e dei profitti annuali. Dalle maggiori case farmaceutichegli investitori ormai si aspettavano incrementi come minimo del 15%, se non decisamente superiori. Gli azionisti si affrettavano a punire qualunque produttore osasse deludere le loro aspettative annunciando guadagni in crescita rapida, ma comunque leggermente inferiori a quanto Wall Street si attendeva... In breve, persino un farmaco capace di vendite per un miliardo di dollari all’anno non fu più abbastanza». Si comprende quindi l’obbligata entrata in funzione di un meccanismo automatico di pressioni incrociate. Anche qualora lo staff dirigenziale di un big del farmaco non se la sentisse di superare determinati limiti morali, non esisterebbe alternativa ad un corso ormai obbligato: un po’ come chi prima sobilla la folla e poi si trova, anche avesse cambiato idea, ad esserne sospinto e strattonato. Se non assecondi l’incendio che hai appiccato, o sei sostituito o scompari. Una delle conseguenze più gravi è che «... composti sperimentali che potevano rivelarsi provvidenziali per lasalvezza di molti pazienti, ma che non avrebbero mai potuto garantire le vendite di un mega-blockbuster sarebbero stati ceduti in licenza ad altre società produttrici o abbandonati su uno scaffale a prendere la polvere». E questo è niente. Immaginiamoci cosa accade (ed è accaduto), per sostanze che non solo non rendono, ma insidiano o vanificano le mega-vendite!!! Ve lo diciamo subito: rischia di scapparci il morto. Enrico Mattei fu incidentato per affari e cifre immensamente inferiori. Anche se oggi, con il progresso delle tecniche mediatiche e l’ubiquitario controllo della società, nella maggior parte dei casi basta ignorare, isolare o mistificare. Insieme ai blockbuster, veri purosangue, assi ed orgoglio dei farmaco-Arpagoni, trainano il carro migliaia di tozzi e robusti cavalli normanni, che assicurano un profitto unitariamente meno clamoroso, ma da non buttar via. Se i plebei criniti portano a casa meno soldi, si tratta comunque di soldi tanti e sicuri, e che non costano nulla;in secondo luogo non bisogna dimenticare come diversi di questi abbiano dei magnifici effetti collaterali che, diagnosticati per malattie autonome e non da farmaco, provocheranno una domanda di altri farmaci per combattere (o far finta di combattere) mali indotti da loro colleghi. Basti pensare al sinergismo aspirinetta-gastoprotettori. Un’aspirinetta al giorno toglie l’arteria di torno. Basta aver avuto episodi di ipertensione, qualche problema circolatorio, e portarsi almeno una decina di lustri sulle spalle. Il bello (si fa per dire) è che non si tratta di prescrizioni temporanee, ma sine die. La sclerotizzazione arteriosa, che giunge inesorabile col tempo, frutterà tanti esami diagnostici e tante capsuline multicolori, particolarmente abbondanti se, con l’aiuto dell’età avanzata e di inflessibili giornalieri diuretici, si potrà contare su succulenti sintomi di arteriosclerosi e, con un po’ di fortuna, sull’induzione o accelerazione di quel pozzo senza fondo che è l’aureoAlzheimer. Niente di male per le specialità povere ed infeconde, dalle mammelle rinsecchite: c’è sempre tempo per pensionarle e magari sostituirle quando, arruolato qualcuno dei luminari che scalpitano per farsi ungere, assemblato qualche studio da pubblicare su riviste compiacenti, scoperta una nuova malattia, si varerà finalmente un nuovo farmaco-transatlantico dagli oblò sfavillanti, sulla cui prua qualche coniglietta di Play Boy manderà a rompersi una bottiglia di champagne, tra lacrime di Girolamini commossi e gli evviva degli investitori di Borsa. Timonieri, farmaci fotocopia e prezzi gonfiati Non è stata certo l’indisponibilità di validi ricercatori a determinare la mediocre efficacia di tanti farmaci, né, tantomeno, sono stati defatiganti itinerari sperimentali a provocare prezzi elevati. Ne sia la prova il caso del dottor James W. Black, che già nel 1958 aveva individuato una formula utile ai malati di angina pectoris e, nei sei anni successivi che loavevano visto lavorare per la società chimica inglese ICI, aveva realizzato i betabloccanti. Black sarebbe stato insignito di uno dei pochi Nobel meritati dei tempi moderni, ed avrebbe successivamente realizzato un farmaco antiulcera, il Tagamet: e qui ci ricolleghiamo ad una vicenda della quale ci siamo precedentemente occupati, quella dello Zantac. Lo Zantac, in sostanza, era una fotocopia del Tagamet, ma con il sex appeal di un prezzo superiore del 50%! Si tratta solo di un episodio, che si perde tra miriadi di altri analoghi, che dimostra quanto siano ingiustificati molti prezzi di specialità e sia un alibi falso quello dei costi della ricerca. La prassi dei farmaci-fotocopia (così definiti da diversi studiosi, tra i quali la professoressa Angell) è veramente endemica. Non, purtroppo, l’onestà di ricercatori come Black, il quale attribuì al lavoro di R. Ahlquist il merito della scoperta dei betabloccanti, nonostante si trattasse di un lavoro che lo aveva illuminato e non di unplagio brutale. Ma la Glaxo, produttrice del leggendario Zantac, come era arrivata alla sua dorata specialità? In un modo molto semplice: parassitando le idee di Black. Infatti ad un ciclo di lezioni tenuto dallo scienziato, era presente il dottor David Jack, capo del dipartimento ricerche della Glaxo, il cui parere caustico su Girolami abbiamo riportato prima. Il gigante britannico cominciò a seguire ricerche e progressi di Black e dei suoi collaboratori e, al momento opportuno, scodellò lo Zantac, la cui formula differiva da quella del Tagamet quel tantino sufficiente a non violare il brevetto. Fu lo stesso Jack - come riferisce Independent del novembre 1991 - a spiegare che la creazione del formidabile blockbuster Glaxo aveva richiesto più o meno lo «... stesso tempo rispetto a quello necessario a risolvere un problema di chimica»: alla faccia di Black, aggiungiamo noi. Costume del resto non confinato al plagio di farmaci, ma anche a quello - tentato o consumato - di idee. Al dilà di valutazioni negative ed esecrazioni, è la realtà delle cose che svela gli effettivi retroscena e suffraga una visione critica dell’agire delle case farmaceutiche. Tre esempi che non abbisognano di commenti: nel 2001 la guida della Bristol-Myers Squibb fu assunta da Peter Dolan, la cui summa di cultura scientifica era rappresentata dalla proposizione di uno snack alla cioccolata prodotto da General Foods; la Novartis nel 2000 affidò la gestione totale dell’azienda a Thomas Ebeling, già responsabile marketing della Pepsi; Randall Tobias, stratega della Pfitzer, era dirigente nella azienda telefonica AT&T. Quindi, tra snack, pepsi-cola e telefoni, si raggiunge il top della scienza. Bene prenderne nota. Qualche lettore avrà sicuramente osservato come tutto questo poema di truffe da baracconi è stato scritto in assenza di reazioni governative. La cosa non può non suscitare forti perplessità e giustifica qualcosa di più. La celebrata, mitica F.D.A., Food and Drug Administration,la cui evocazione piega il ginocchio di ossequiosi ratti d’ateneo e di farmacologi a gettone, sembra tutt’altro che stagna a pressioni e colonizzazioni. Tanto per cominciare, non ha mai preteso la prova che un nuovo farmaco sia più efficace, e con le stesse o minori controindicazioni, di analoghi già in circolazione: e già questo non ci pare poco. D’altra parte, come meravigliarsi, dato che le prove comparative - che già di per sé farebbero venire il mal di stomaco per le risate ad un cavallo - vengono effettuate tra il farmaco ed un placebo e non tra il farmaco e un concorrente? Abbiamo detto in premessa che ci atterremo ai fatti, e quindi di fatti parliamo. Il Center for Drug Evaluation della FDA, nei tre lustri intercorrenti fra il 1990 ed il 2004 ha autorizzato l’immissione in commercio di 1.100 farmaci, solo 400 dei quali non spudoratamente ed evidentemente pantografati su altri preesistenti. Ma, come se ciò non bastasse, la maggioranza di questi non costituiva un miglioramentoeffettivo rispetto ai farmaci pensionati: la Petersen, esaminando con attenzione i documenti FDA, conclude che solo 183 dei nuovi - appena il 16% del totale - potevano ritenersi una novità di rilievo rispetto al passato. Ma vi sono incontrovertibili conferme di queste stime. Nel 1994 il dottor David Kessler, alto esponente della FDA, pubblicò insieme ad altri quattro colleghi un articolo sul New England Journal of Medicine (allora diretto dalla professoressa Marcia Angell) sul malcostume farmaceutico. In questo articolo gli autori parlarono di frenesia promozionale dei produttori di farmaci, derivante dalla consapevolezza che i prodotti immessi in commercio erano «… virtualmente indistinguibili gli uni dagli altri»; solo «... una minoranza dei 127 nuovi medicinali approvati fra il 1989 ed il 1993... aveva dimostrato di poter offrire un qualche miglioramento rispetto ai farmaci già in commercio. Le case farmaceutiche sfruttavano la promozione per far credere che i nuovi farmacifossero in qualche modo diversi e utili». Un incidente di percorso riguardante un dirigente di una società farmaceutica offrì una conferma di prima mano di questa realtà: si trattò di una nota redatta - ovviamente - per uso interno. Eccone un passo: «... non sono ammessi errori a riguardo: lo studio sul... (seguiva il nome del farmaco) è la più importante iniziativa di vendita in programma per il 1993. Durante la fase I, 2.500 medici lo somministreranno ai loro pazienti... mantenendo sotto controllo la loro pressione... Grazie al (nome del farmaco) … se almeno 20.000 dei 25.000 pazienti coinvolti nello studio continueranno ad assumere il..., le vendite potranno raggiungere quota 10.000.000 di dollari. Nel corso della Fase II questa cifra dovrà raddoppiare». Dopo che Kessler lasciò l’incarico all’interno della FDA, gli subentrò un oncologo, Michael Friedman, che allentò le già lente restrizioni sulla pubblicità dei farmaci e spalancò a questa il potente mondo della promozionetelevisiva. Friedman sarebbe passato successivamente alla vicepresidenza di una casa farmaceutica... e... vissero tutti felici e contenti. Il citato Jones, nel corso dell’udienza promossa dal senatore Kennedy (ne abbiamo parlato in una precedente parte di questo scritto), condensa in poche rabbrividenti righe la logica dei prezzi e lo spirito criminale (non si può definire altrimenti) dei produttori di farmaci: «Come minimo si valutano le alternative di cui il malato dispone: il prezzo sarà direttamente proporzionale alla disperazione ed alla sofferenza del paziente e inversamente proporzionale al numero di alternative a disposizione. Intorno a questi argomenti si svolgono normali discussioni che riguardano virtualmente ogni farmaco in commercio». Uno dei tanti esempi di questa filosofia inqualificabile venne riferito dallo stesso Jones. I dirigenti della Abbott Laboratories (fatturato di circa 31 miliardi di US$) fecero una bella pensata per risolvere un problema di liquidità abreve termine: sfornarono una specialità per la cura della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), malattia degenerativa sempre letale e crudele, pur sapendo in partenza che era totalmente inefficace, in quanto «... i medici avrebbero impiegato circa sei mesi per verificare l’inefficacia del farmaco sui pazienti, il che avrebbe consentito alla società di incassare milioni di dollari, nonostante la scarsa diffusione del morbo... fu questo il motivo che spinse Abbott a far pagare il medicinale... circa 10.000 dollari a paziente…». Il prezzo elevato venne giustificato dalla società con l’indisponibilità di tecniche automatizzate; ma quando i tecnici annunciarono che avevano trovato il modo di ridurre ad un quinto il costo di produzione, i dirigenti dissero che «... non c’erano ragioni per abbassare il prezzo e di non preoccuparsi, perché ci sarebbero sempre stati dei vicini caritatevoli, pronti ad organizzare vendite di beneficenza per raccogliere il denaro necessario ai malati di SLA. Lepersone convocate a quella riunione erano sotto shock». La conclusione di Jones fu che «... ogni società si impegna a fondo per nascondere ciò che in realtà sta facendo. Queste aziende vivono di truffe legalizzate». Che non fosse una visione malevola di Jones emerse poi da parecchi altri elementi e da testimonianze analoghe. A questo punto dovrebbero essere chiare molte delle strategie correnti adottate da Big... ma anche Little Pharma, perché i cattivi esempi fanno più proseliti di quelli buoni: specie quando questi ultimi sono accanitamente oscurati. Un flash tutto nostrano (e del quale c’è sicuramente poco di che andar fieri) conferma, oltre alla extraterritorialità della filosofia d’azione, almeno tre cose: quanto rende fabbricare farmaci - come manchino (o vengano dolosamente omessi) i controlli statali - che l’appetito vien mangiando; per cui, oltre alle truffe di prammatica, non si rinunzia anche a quelle fiscali. Il Gruppo Menarini è il primo in Italia, il quindicesimo inEuropa ed il trentacinquesimo del mondo, riferiscono giornali economici nazionali. Ma abbiamo dubbi in proposito, dato che il fatturato 2009 ha sfiorato appena i 3 miliardi di €. Sia come sia, nel novembre 2010 Carabinieri dei NAS e Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per un miliardo e 212 milioni di euro, frutto di una truffa a danno del Servizio Sanitario Nazionale, perpetrata fin dal 1984 gonfiando prezzi di farmaci forniti a questo. L’ingente somma, per la cronaca, era occultata all’estero con un collaudato sistema di scatole cinesi e la gentile collaborazione di paradisi fiscali. E se è lecito pensare che tale cifra riguardi solo i beni rintracciati, lo è ancor di più chiedersi come mai le nostre istituzioni farmaco-sanitarie - efficientissime quando si tratti di acquistare stock di vaccini inutili o dannosi - non si siano accorte di nulla in ventisei anni di fregature sistematiche rifilate loro, cioè a noi, dato che i soldi dello Stato non sono altro (o così dovrebbeessere) che i nostri. Ma a chi puntasse il dito contro il nostro Paese, potremmo rispondere che chi è senza FDA scagli la prima pietra. Invece di continuare con elencazione di casi, basterebbe convenire del perfetto analogismo tra produzione consumistica e produzione di farmaci, affratellati dalla stessa filosofia e dall’identico appetito di guadagno: un appetito insaziabile da Pantagruel che esige soddisfazione totale, rapida e facile. Come le dispense si sono riempite di ogni genere commestibile, le case di ogni genere di apparecchiature elettroniche preferibilmente inutili, così gli armadietti dei farmaci straripano di pillole, capsule, supposte, fiale, fialette, sciroppi. E’ il consumismo della salute, tutt’altro che disinteressato, come quello deputato ad altri aspetti dell’esistenza, ma con ben diverso impatto sulla nostra vita. E le analogie non si fermano qui. Basti pensare al sofisticato tecnicismo costruttivo finalizzato a minare la durata degli oggetti, al quale siaffianca l’esasperante pubblicità diretta a far apparire superato ed anacronistico quanto acquistato in tempi non recentissimi. Il farmaco, fabbricato prevalentemente per incidere (nel migliore dei casi) sulla malattia senza risolverla e che, anche se valido, viene sostituito da altri di nuova generazione che nuova magari non è, segue la stessa traccia. Dal che, non solo facile, ma obbligata, emerge la concezione praticata dalla società contemporanea: il malato-oggetto, il paziente-cliente, l’essere umano fattore di reddito. Da quanto riportato in queste pagine risulterà ormai chiaro come la libido degli sputa-farmaci guardi con fosca concupiscenza soprattutto alle malattie croniche, che assicurano redditi corposi perché gonfiati e corposi perché costanti. Erode è tornato Per brevità, tralasciamo tutta quella nebulosa di specialità conculcate speculando sull’ansietà istintiva per la propria salute (disturbi gastrointestinali, problemi relativi all’attivitàsessuale, ecc.), ed i (ne)fasti dell’esasperata (e redditizia) tecnologia diagnostica impotente a raggiungere il cercine di tutta la medicina, quello che Luigi Di Bella definiva «il tratto quasi divino dell’arte medica»: la diagnosi. Intendiamo riferirci alla variegata famiglia dei tratti caratteriali di ognuno e dei comportamenti che ne conseguono, a volte primigeni, altre derivati dall’educazione ricevuta e dall’esperienza di vita ricavata: il mondo inafferrabile della psicologia umana e, in particolar modo, di quella infantile. Era una tentazione troppo grande tuffarsi in un campo nel quale è difficile contestare una diagnosi, specie da parte dei più ingenui, e nel quale si poteva contare sull’emotività e la istintiva insicurezza dei genitori. Decisive, nel consentire questa ennesima mistificazione e (qui bisogna parlar chiaro) opera criminale, due delle piaghe del nostro tempo: la progressiva descientificazione della medicina ed il suo inquinamento da parte di professioniempiriche. Da una parte, l’oblìo doloso disceso su fisiologia e neurofisiologia ha fatto compiere alla medicina un passo indietro di secoli, vanificando acquisizioni dovute all’impegno e alla genialità di tanti ricercatori; dall’altra, sono stati parificati alla logica scientifica teoremi indimostrabili, come quelli propinati dalla psicologia e, peggio ancora, dalla psicanalisi. Questo irrazionalismo diffuso, che costituisce una delle incoerenze ed assurdità della pretesa epoca della scienza, ha trovato un sinergico e favorevole terreno nella diseducazione collettiva, nell’indotta paralisi della logica e del ragionamento, nella lotta senza quartiere a quella tutela dell’infanzia e dell’adolescenza prima assicurate dall’educazione familiare e scolastica. Il risultato è stato di abbattere quel diaframma prezioso, quella blindatura che proteggeva le nuove generazioni dal mercantilismo senza limiti e dall’immoralità montante. Ecco quindi la progressiva trasformazione in malattie ditimidezza, introversione, vivacità, svogliatezza, sensibilità, carenza di volizione, e perché no - diciamoci tutta la verità - scarsa intelligenza, e, concomitante con questa trasformazione, l’impiego di farmaci per rimediare a caratteristiche o difetti caratteriali immutabili, ovvero a transitorie situazioni ovviabili con la naturale maturazione o con la correzione da parte di genitori e/o insegnanti. Per essere più precisi, parliamo degli psicofarmaci: salvo casi del tutto particolari sempre e comunque deleteri, impropri, forieri di danni il più delle volte irreversibili e di un asservimento moralmente ripugnante, ma commercialmente prodigioso. Il tema è di una complessità immensa, riguarderebbe una intera concezione della vita che si è andata formando in questa disgraziatissima epoca e non solo un aspetto sanitario: ma trattare di questo argomento ci porterebbe lontano. Suggeriamo solo spunti di riflessione che ognuno può individualmente elaborare e conseguenzializzare. Cosìsarebbe opportuno pensare alla strettissima parentela tra lassismo - a livello legale e di promossa tolleranza sociale - nei confronti della droga, e ricorso, senza risparmio, a questa classe di farmaci: dei quali tristi fenomeni è legittimo supporre l’esistenza di un finalismo che non può non evocare gli inquietanti scenari del 1984 di George Orwell. Gli psicofarmaci, in buona sostanza, non sono altro (nella maggior parte dei casi) che droga legalizzata e prescrivibile. Altrettanto potrebbe dirsi a proposito dell’abdicazione, così procurata, alle difficoltà della vita e alla diseducazione collettiva che fa assistere ad innumerevoli episodi di resa, di fuga dai problemi, di svirilizzazione dei giovani, pronti a diversivi pur di non affrontare le situazioni e superare gli ostacoli, di delegazione ad altri e ad altro di nodi che solo il singolo può e deve sciogliere. Una folla di ragazzi, potenzialmente ricchi di doti umane ed intellettive, che vagano smarriti, boccheggianti, prividi appigli, riferimenti, esempi, validi aiuti: prede predestinate di chi tutto vuole aggiogare e sfruttare e di quanti vedono nell’individuo il nemico da contrastare, nella massa amorfa il naturale alleato dei propri squallidi ed infami disegni. E ancora: la tendenza immorale ed antiscientifica di aggirare le situazioni invece di studiarle e risolverle, imbellettando i malati e riconsegnandoli - fantasmi senza luce, né volizione, né affettività, né consapevolezza - ai propri cari. La Medicina dell’apparenza che punta a mantenere malati i malati, a nascondere gli inevitabili insuccessi dietro statistiche da gioco dei tre bicchieri e sfruttare sofferenza e morbilità allo stesso modo in cui un tempo si setacciava la sabbia dei fiumi in cerca di pagliuzze d’oro. Ma questo è oro rosso. Un caso apparentemente lontano, ma in realtà strettamente imparentato, ci vide testimoni di questa mentalità dell’apparenza una quarantina d’anni or sono. Due chirurghi, senza finalità eversive, ma peramor di fama e - si va a finire sempre qui - scarsissima dimestichezza con la neurofisiologia, ebbero un momento di celebrità quando introdussero in Italia la vagotomia, intervento col quale ritenevano di avere risolto il problema dell’ulcera gastrica. In occasione di una conferenza, dopo salamelecchi e bizzeffe di esimi colleghi da parte della baronale colleganza, dovettero assistere alla demolizione, impietosa, del loro teorema. «Nella giustificazione della vagotomia si è posta in particolare risalto l’ipercloridria nell’etiopatogenesi dell’ulcera gastrica, e si è data importanza alle sparute fibre eccito-secretorie del vago, dimenticando la criticabilità di una delle dimostrazioni dell’azione di queste fibre, quella cioè degli abnormi parametri di stimolazione. Lungo le fibre del vago, non solo toracico, ma anche addominale, vi sono neuroni non solo sensitivi, ma anche vegetativi... la vagotomia sottodiaframmatica è a mio parere una deconnessione vegetativo somatica... moltioperati vivono e stanno ‘bene’; come non male stanno, finchè la malattia non ha progredito notevolmente, i siringomielici, i tabetici, eccetera. Credo che questi esempi dovrebbero saggiamente ammonire e suggerire complementi di studi prima di pentirci forse un domani in ritardo!». In poche parole: il paziente veniva operato e non avvertiva più la sgradita sintomatologia precedente, per il semplice fatto che i segnali non partivano più, essendo stata resecata la linea telefonica... Peccato che, insieme ai sottili fili dei segnali in partenza, fossero stati tagliati anche i grossi di quelli in ingresso, di importanza vitale perché neuromotori. Il malato usciva radioso ed in posizione eretta dall’ospedale; salvo uscirne in posizione supina al primo scontato nuovo ricovero. Questa contestazione venne mossa ai due chirurghi dal professor Luigi Di Bella, al termine di una trionfale conferenza tenutasi nel 1968 al Policlinico di Modena. I due medici, alquanto mortificati,ebbero comunque la correttezza di scusarsi pubblicamente con il fisiologo, tra stizza e digrignar di denti degli azzimati cattedratici che li avevano applauditi fino allo spellamento delle mani ed all’orrenda figuraccia finale. E di vagotomia non si parlò più, specie dopo che lo scienziato comunicò la sua opinione in un congresso internazionale a Bruxelles (Seance extraordinaire de la Societè Belge de Gastro-Enterologie, 29 settembre 1968: La secrétion chlorhydrique de la muqueuse isole de rat vagotomisé ou non). La filosofia d’azione degli psicofarmaci ci sembra esattamente la stessa. Con, in più, sinistri ed allarmanti risvolti. Trattando dello sfruttamento dell’infanzia, occorrerebbe passare in rassegna l’indecente ed interessato abuso che è stato e viene fatto delle vaccinazioni. Il tema obbligherebbe ad una trattazione troppo estesa per la forzata economia di questo scritto ed inoltre non si attaglia perfettamente ai parametri ispiratori di questo inesauribile appetito natodal magico aggettivo cronico; dato che, pur con la tenera e premurosa foga dei legislatori e degli enti sanitari, ci si può vaccinare una volta sola, ed oltre eventuali richiami non si va o non si può essere obbligati ad andare. Le vittime delle vaccinazioni sono sotto terra o, se vive, sopravvivono minorate in famiglie distrutte. Nel nostro Paese, nonostante i genitori si siano organizzati in associazioni per avere l’aiuto del quale hanno diritto da parte dello Stato (che tentazione scriverlo con la esse minuscola!), non sono riusciti ad ottenere giustizia. Quello che lascia sbigottiti è che nonostante quanto emerso da più fonti e, soprattutto, da un’inchiesta della giornalista Milena Gabanelli (che si è occupata anche di malattie inventate, purtroppo senza continuare, o poter continuare a battere sul tema), la Giustizia non si sia mossa: nemmeno quando un noto personaggio dell’Istituto Superiore della Sanità, pressato dalle domande di alcuni genitori, dovette ammettere che eranostate distribuite partite di un vaccino imperfetto, pur disponendo di altre molto più sicure, perché occorreva... svuotare i magazzini. Morti e disabili sono stati quindi la quisquilia da pagare per avere un magazzino ordinato. Concludiamo il tema vaccinazioni con la saga dell’influenza A/H1N1. L’OMS - altro organismo spesso pappa e ciccia con il potere farmaceutico - dopo essersi vergognosamente prestata a diffondere il panico su questa inesistente epidemia, parlando di inesistenti pericoli e sparando cifre che non erano nemmeno cugine di quarto grado della verità, ora invita ... «ad evitare il panico...», dopo decessi in tutto il mondo e inabilitazioni. Pensate: il rischio di narcolessia nei vaccinati c’è (bontà loro), ed è «nove volte superiore...» (a che?), ma riguarda solo la fascia d’età fra i 4 ed i 19 anni... e chi è geneticamente predisposto! Come dire: se sei nato male, mica è colpa nostra! Nessuno è finito in manette (o meglio, con palla di ferro al piede e piccone inmano) per questo incredibile e vergognoso episodio di truffa organizzata: né i produttori del vaccino, né gli esponenti di commissioni ministeriali, né luminari al neon prestatisi a fare da testimonial per la truffa. Tutti innocenti. Questa è una delle occasioni perdute per tutti noi. Invece di manifestare per le cose più cretine che mente umana possa ideare e ripetere slogan ritmati in due quarti coniati da Napoleoni dell’imbecillità, i cittadini di tutto il mondo avrebbero dovuto scendere in piazza, prendere a calci nel sedere le cassandre a provvigioni, pretendere dimissioni dei responsabili e azioni legali contro di loro. Ma l’azione penale, non era obbligatoria? In mancanza di tutto questo, è bene ricordarsi chi abbia lanciato l’allarme ostentando, con talento melodrammatico, voce fosca e sguardo costernato; e chi abbia consigliato queste vaccinazioni. Basterebbe un po’ di memoria per individuare i disonesti e gli iscritti a libro paga di Big Pharma, e liberarsene. E’ stata, insostanza, un’azione-spot di cinica speculazione, utilissima per fare affluire denaro sporco, a volte di sangue, in forzieri ormai all’orlo del cedimento. Ma almeno, grazie ai galletti dei notiziari televisivi, abbiamo imparato un’altra bellissima parola, oltre alla misteriosa (e spaventosa) sigla A/H1N1: pandemia!!! Un contributo storico alla cultura collettiva, che ben valeva qualche centinaio di morti. Pandemia... non la banale, incolta Epidemia, razza di ignoranti che non siete altro. Ringraziate chi semina cultura, e vi ha insegnato tante altre cose importantissime: come, ad esempio, che i fiumi esondano (straripano lo dicono solo i sottoproletari della cultura)... ed i maremoti (termine piccolo-borghese-reazionario) si chiamano tsunami! Lo sapevate, buzzurri, prima che la TV ve lo insegnasse? Questa è civiltà, questa è cultura. Sia come sia, qualche statista non del tutto prono si è ribellato e detto chiaro e tondo che era ora di finirla col raccontare balle da Zeppelin,facendo venire i sudori freddi al pool di multinazionali che si stavano fregando le mani. Che, dopo qualche timido tentativo di rinverdire i fasti influenzali, si sono accontentate delle poche decine di miliardi di euro e dollari rimediati. E’ stato un crac, una crepa un tempo inconcepibile, nella crosta pataccara dell’industria del farmaco e, forse, un segnale, una svolta storica: della quale certi valorosi giornalisti d’inchiesta - quelli abituati a tuonare contro i deboli e scodinzolare di fronte a tutti i forti dei quali non sia ancora disponibile il certificato di morte - si sono ben guardati dall’approfittare. Concludiamo questa penultima puntata con un accenno - solo un accenno - al Disease Morgening indirizzato all’infanzia e all’adolescenza ed al business collegato. Occorrerebbe scrivere libri interi per esaminare, con la pretesa di un minimo di completezza, tanti argomenti correlati: a partire da quello, sconvolgente, dell’alimentazione. Non possiamo esimerci dall’annotareil coinvolgimento di alcune case farmaceutiche anche nel settore dell’alimentazione umana. Ci riferiamo non tanto agli omogeinizzati per l’infanzia (a titolo di cronaca: molti anni fa fu soffocato a stento uno scandalo per l’impiego di carne di ratto; sterilizzata finché volete, ma sempre ratto era), quanto alla geniale trovata - attribuita ai chimici Pfitzer - di integrare il mangime per gli animali da allevamento (maiali, pollame, suini) con antibiotici, allo scopo di stimolarne la crescita. Col magnifico risultato che gli animali tendono a selezionare batteri sempre più resistenti (passando a noi quest’eredità negativa), le loro carni sono sempre più povere di vitamine, ed i bambini in particolare, data anche la contaminazione dei foraggi ad opera di aggressivi concimi chimici, ben di rado possono contare su un’alimentazione sana e genuina. Ricollegandoci a quanto accennato all’inizio di questo paragrafo, le malattie inventate che hanno particolarmente (ma non esclusivamente)interessato i minori sono state: l’ansia generalizzata, il disturbo da deficit attentivo (ADHD), gli attacchi di panico. Una incredibile quantità di psicofarmaci si è riversata sui bambini, a volte anche su quelli che cominciavano appena a camminare. Per limitarci ad esempi, il Ritalin, prescritto per vincere la timidezza... ha fatto registrare dal 1990 un incremento dell’800% delle vendite, mentre il sonnifero Ambien, nel solo periodo tra il 2000 ed il 2004, raggiunse un aumento dell’85% delle prescrizioni nella fascia d’età tra i 10 ed i 19 anni. Lo Xanax, indicato quale rimedio per gli attacchi di panico ed il Paxil per l’ansia generalizzata, non sono certo stati da meno. La Angell scrive a questo proposito: «... la GlaxoSmithKline ha sepolto prove che il suo antidepressivo, il Paxil, top nelle vendite, è inefficace e potenzialmente dannoso per i bambini e gli adolescenti; GlaxoSmithKline fu obbligata, nel 2004, a transare sulle accuse di frode pagando 2,5 milioni di dollari». Macos’erano 2,5 milioni di dollari rispetto ai 2.700 milioni di vendite annuali del Paxil? Per non fare favoritismi, l’ex direttrice del New England, scrive: «… sei anni fa quattro ricercatori, invocando il Freedom of Information Act, hanno ottenuto dalla FDA relazioni su ogni studio clinico - che prevedesse il confronto-pacebo - presentato per ottenere l’approvazione iniziale dei sei più usati farmaci antidepressivi approvati tra il 1987 e il 1999: Prozac, Paxil, Zoloft, Celexa, Serzone e Effexor. Essi hanno scoperto che, in media, l’80% dei placebo hanno la stessa efficacia di questi farmaci. La differenza tra farmaco e placebo è stata così piccola che era improbabile che essa potesse rivestire un qualche significato clinico. I risultati sono stati più o meno gli stessi per tutti e sei i farmaci: tutti sono risultati egualmente inefficaci. Ma visto che sono stati pubblicati solo i risultati ‘favorevoli’ e quelli sfavorevoli sono stati... sepolti (in questo caso, all’interno della FDA),il pubblico e la professione medica hanno ritenuto questi farmaci potenti antidepressivi». E questo sarebbe il meno, se l’uso di questi psicofarmaci, specie non occasionale, non portasse a danni irreversibili a livello della sfera intellettiva e neuromotoria, tenuto anche conto della dipendenza indotta negli assuntori. Una dipendenza sempre più stretta e soffocante, come si fosse tra le spire di un pitone, che porta gradualmente alla spersonalizzazione dell’individuo, proiettato in un limbo asettico di stupori silenziati, di suadenti allucinazioni, di perdita della volizione, di sterilizzazione della vita emotiva. Chiudiamo questo nostro scritto, in attesa di concludere tra breve la serie, accennando ad un altro incommentabile sfruttamento dell’infanzia: la somministrazione del GH (Growth Hormon, l’ormone della crescita) per stimolare lo sviluppo fisico dei bambini. E’ bene ricordare come il valore dell’ormone della crescita risulti di regola elevato in ogni tipo di tumore e che lecellule neoplastiche bevano avidamente questa sostanza, fornite come sono di recettori del Gh in numero molto superiore a quello delle cellule sane. In poche parole, l’uso del GH, propagandato per avere figli belli, alti, grandi e sani, pone una serie ipoteca alla nascita di processi tumorali od al forte sviluppo di forme che, normalmente, sarebbero contrastate e vinte dalle difese naturali dell’organismo. 4.Le Big Pharma... Conclusione Di truffa in truffa, fino alla sperimentazione del Metodo Di Bella Introduzione Nei capitoli precedenti abbiamo cercato di rappresentare, con l’obiettività garantita dal ricorso ad autorevoli fonti terze, la tristissima e preoccupante decadenza della medicina contemporanea, e di individuarne le cause. In estrema sintesi, possiamo concludere che il fattore principale di questa realtà - percepita ormai da larghe fasce della pubblica opinione - sia da individuare nella generalizzata perdita di valori umani e culturali indottadal mercantilismo sfrenato. Naturalmente abbiamo potuto solo accennare all’argomento, data la complessità e l’intricata rete di connessioni, ma confidiamo siano state sufficienti le manciate di pagine pubblicate per indurre alla riflessione i lettori e, quel che più conta, rafforzare il movimento di opinione che si sta facendo ogni giorno più nutrito. Abbiamo anche potuto verificare come, nonostante la nostra voce sottile sia sopraffatta da innumerevoli e ben supportati vocioni, lo scritto abbia indotto alcuni a riflettere sui temi trattati e indispettito altri. Ma non basta denunciare: occorre sviluppare e conseguenzializzare gli assunti esposti, evidenziando in chiaro a quali aberrazioni si sia giunti (ed a quali si possa ulteriormente arrivare) e, soprattutto, delineando i possibili rimedi. Proprio questo è il compito più difficile, perché cambiare consolidate concrezioni di potere, assetti sociali ed altrettanto radicate mentalità, richiede molto tempo ed uno sforzo corale ditutta la società del nostro tempo. Se prima ci siamo rifatti a testi di autori ben documentati e, nel caso della professoressa Angell (ricordiamolo: direttrice per un ventennio del prestigioso New England Journal of Medicine) di scienziati di fama internazionale, adesso passeremo ad esaminare qualcosa di cui abbiamo conoscenza diretta e profonda, e puntualmente documentato. Non si potrà trattare di un’esposizione dettagliata come meriterebbe, soprattutto per forzati limiti di spazio, ma riteniamo sarà ampiamente adeguata nel presente contesto. Non si tratta solo e tanto della famigerata sperimentazione del 1998, ma anche degli antefatti, risalenti ad una ventina di anni prima. Il nostro fine è dimostrare, grazie alla conoscenza capillare della vicenda ed a inconfutabili pezze d’appoggio, come sia possibile nascondere, censurare, far censurare, mistificare e, in ultima analisi, tagliare la strada della salvezza e della vita a milioni di malati. Come nostro costume, ci atterremo afatti documentati, anche di fonte ostile: perché - è bene chiarirlo - gli attori di questo dramma (i registi sono noti, ma protetti apparentemente dall’anonimato) non solo sfigurano nel formale ruolo professionale, ma anche in quello di terzisti del male, per il quale occorre avere almeno un minimo di riprovevole talento. A questa incommensurabile mediocrità si devono, fra l’altro, alcune falle clamorose che hanno consentito emergessero retroscena e squallidi trucchi da prestigiatori da luna park. Invitiamo i lettori ad astrarsi sia dal personaggio di questa vicenda storica che dalla fiducia o dallo scetticismo che li ispira, ed esaminiamo i fatti con razionalità, senza saltare subito a conclusioni né farsi condizionare da preconcetti, pro o contro essi siano. Ne scaturirà una chiarezza assoluta degli eventi, delle loro ragioni, degli sviluppi, delle conseguenze e - infine - del giudizio inevitabile che le obbligate conclusioni, non noi, daranno sulla nostra epoca. Vedremo chequanto emergerà si incastra perfettamente, millimetricamente, nel ritratto a tutto tondo che si è fatto della medicina e del potere farmaceutico nei capitoli precedenti, costituendone la riprova più clamorosa e l’esempio di gran lunga più grave e terribile. Cancro Questo vocabolo terrorizza e annichilisce chiunque lo legga nel contesto di una diagnosi ricevuta. Perché si muore quasi sempre e sempre male. Di più: suscita orrore, perché è qualcosa che cresce diabolico dentro di noi, ci disfa, ci sfigura e analoga impressione suscita in chi ci sta vicino. Fino ad una sessantina di anni fa o poco più si sapeva ed ammetteva che l’unica vaga speranza poteva venire dalla chirurgia, soprattutto per ottenere una proroga di vita; anche se alcuni carcinomi mammari e qualche altra varietà di tumore, operati tempestivamente, non si erano ripresentati. Oggi la situazione è cambiata solo marginalmente in termini di mortalità, ma molto a livello di comunicazione e di business. Il cancrorappresenta la più florida e redditizia industria del ventunesimo secolo, così come lo è stato, in continua progressione, nell’ultima metà del ventesimo. Si sono sconfitte malattie endemiche che spopolavano intere nazioni, ed anche altre malattie funzionali, un tempo fatali, possono oggi essere dominate. Ma il cancro no. Come mai, dopo oltre mezzo secolo di ricerca organizzata e finanziata per cifre paragonabili a quelle bruciate nel secondo conflitto mondiale? La risposta, semplice e cruda, è che il cancro rende molto più del petrolio, dell’oro, dell’uranio messi assieme, perché i rimedi offerti costano un’enormità alla società ma quasi nulla a chi li produce. Altri fattori attribuiscono all’affare cancro ulteriore ed inimitabile plusvalore. Quali sono? Primo: una domanda in continuo aumento ed immune da qualsiasi oscillazione di segno negativo; secondo: la paralisi della razionalità e reattività del paziente indotta dal terrore della malattia; terzo: il regime di oligopolio cheinteressa le vendite dei pretesi rimedi, i tecnici installatori, i piazzisti. Sessant’anni di buggerature e fallimenti hanno causato anche un altro negativo indotto: far prosperare le cure alternative, assolutamente non raffrontabili per entità all’utile connaturato in quelle definite ufficiali, ma in ogni caso non sottovalutabili. I malati - paradossalmente - ne hanno ricavato a volte un beneficio: quello di non morire di cure, ma di cancro, spegnendosi a volte in tempi più dilatati e con minori sofferenze. Infatti, se assurdità come i clisteri di caffè, innocui vegetali, inesistenti ascorbati, bicarbonati, psico-stupidaggini assortite, non possono costituire un’alternativa nemmeno nei confronti dei cicli tossici, altre proposte - con tutto il loro disdicevole empirismo - contengono a volte qualche principio utile, seppure in dosaggi platonici e con purezza mediocre. È quindi sulla scia dell’insoddisfazione dei risultati conseguiti dalla medicina, del calo verticale di credibilità(e quindi di fiducia) causato dal contrasto clamoroso tra esiti proclamati ed evidenza della realtà, che sono prosperate nei decenni le terapie alternative: finalizzate al lucro esattamente come quelle ufficiali (ci riferiamo ai produttori di farmaci). Tanto è vero che da tempo alcuni giganti dell’industria farmaceutica hanno acquistato partecipazioni o interamente incorporato aziende che producevano rimedi alternativi. La concorrenza è infatti solo sul piano del business, non su quello terapeutico, dato che né per l’una né per l’altra via il malato riesce a raggiungere la salvezza. Negli USA, da una parte 2 oncologi su 3 hanno dichiarato che, se colpiti da tumore, rifiuterebbero la chemioterapia; dall’altra, quasi la metà dei malati di tumore si rivolge alla medicina alternativa: cosa che ovviamente non potrebbe accadere se vi fosse corrispondenza, anche parziale, tra i successi dichiarati e quelli avvertiti dalla collettività. La differenza tra l’Italia ed altri Paesi europei e gliUSA è che i cittadini americani, grazie a mass media non totalmente soggiogati e ad un certo timore nei loro confronti da parte dei potentati economici, considerano con molto maggiore scetticismo la proclamata efficacia delle cure ospedaliere. Prendendo atto di questa realtà, che solo una farmacologia antitumorale più efficace potrebbe cambiare, il National Cancer Institute, pur pesantemente condizionato dal potere oncologico, pubblica risultati assai più prudenti di quelli megafonati nel nostro Paese. Pochi hanno osservato una curiosa incongruenza: quella per cui nella nazione produttrice della maggior parte dei rimedi contro il cancro i risultati annunciati siano molto meno brillanti di quelli nostrani, nonostante i protocolli e relativi farmaci siano identici. Ma si sa, il Bel Paese è terra, oltre che di navigatori e poeti, di santi: perchè meravigliarsi, allora, dei miracoli degli italici oncoterapeuti? Torniamo ora alla faccenda del fatturato ufficiale e di quello alternativo.Visto come vanno le cose, si è pensato di predisporre il paracadute delle acquisizioni o delle incorporazioni. Inoltre, se cala il giro d’affari, si può in parte sopperire con l’aumento dei prezzi, recuperando con la mano sinistra quello che si perde con la destra. Grossi problemi, d’altronde, non possono nascerne dal diffondersi dell’alternativo, anche se questo dà un poco di fastidio; c’è anche da dire, comunque, che ciò offre la possibilità di dimostrare che si vive in un’epoca di libertà e di tolleranza, e non, come invece è, in una tirannia occulta. Inoltre, considerati gli esiti relativi, limitati nel migliore dei casi a minor sofferenza, ci sarà sempre modo di dire alla collettività: «Vi siete allontanati? Non ci avete voluto credere? Ebbene, guardate cosa ci avete ricavato!». C’è poi sempre modo di ribattere alle critiche con ampollose disquisizioni sui nuovi farmaci biologici (che biologici non sono), inesistenti ed impraticabili interventi sul DNA, mirabolanti proprietà dellecellule staminali e così via. È quello che malati smarriti, ma agguerriti, si sono sentiti rispondere quando hanno espresso la loro sfiducia nell’oncologia corrente: «Abbiamo una nuova cura sperimentale che viene dall’America e che finora ha dato risultati notevoli: il 57,3358723% di guarigione»! Ci sono stati riferiti non pochi casi nei quali queste nuove cure sperimentali consistevano in chemio con composti del platino (disponibili da una ventina d’anni, fallimentari come e più degli altri, ma egualmente proposti, e finanziati dallo Stato, quali ultimo grido di itinerari sperimentali!). L’unico caso nel quale i Golia pillolo-fialettari potrebbero svegliarsi dal loro aureo torpore e reagirebbero senza risparmio di mezzi sarebbe il comparire di rimedi realmente efficaci («proponeteci tutto, purchè non funzioni!»). In tali evenienze la sirena di un allarme esiziale risuonerebbe nei grattacieli che ospitano gli strateghi di Big Pharma; e sarebbe fatto squillare presso le loroambasciate in ogni parte del mondo. Questo accadrebbe anche se, per mera ipotesi, i nuovi farmaci fossero loro offerti gratuitamente per la brevettazione dagli inventori e consentissero ricavi superiori a quelli attuali. Perché - come osservato e ribadito da studiosi ed autori che abbiamo citato - non è solo e tanto l’entità del fatturato contingente, ma la sua costanza e cronicità ad interessare: questo impone che il malato debba rimanere malato. Quando gli si è succhiata tutta la linfa euro o dollaro-utile, allora lo si può rottamare, come si fa con gli elettrodomestici. Se poi, oltre al peccato capitale di funzionare, una nuova terapia fosse basata su sostanze economiche e - jattura sovrana - su sostanze fisiologiche non brevettabili o loro analoghi, allora le scale del piramidale sistema feudal-farmaceutico risuonerebbero di passi concitati. Il vassoio di patate bollenti passerebbe freneticamente dalle mani di grandi feudatari a quelle di vassalli, valvassori e valvassini, ed oltrealle sirene degli allarmi di direzioni ed ambasciate strillerebbero anche quelle della bassa manovalanza, della servitù, alla quale toccherebbe in ultima analisi montare su centinaia di autopompe e correre a spegnere l’incendio. Questa, in estrema sintesi, la cronistoria del Metodo Di Bella. Il limite di questo impero del male è un limite autoctono: l’ingordigia insaziabile di denaro e di potere, un paranoico senso di onnipotenza lievitato nei decenni, l’incapacità di accontentarsi e di comprendere che il troppo stroppia. In sintesi, l’assenza di vera intelligenza. Perché la furbizia non è altro che l’intelligenza degli stupidi. Molti ricercatori seri hanno continuato ad impegnarsi con passione e costanza, ma hanno incontrato crescenti ostacoli o difficoltà a causa della crescita esponenziale della pretesa attività di ricerca sostenuta dalle case farmaceutiche, che ha drenato ogni risorsa statale disponibile e creato una sorta di interessato monopolio. Così, se da una partevenivano alla luce conoscenze sempre più profonde e dettagliate sull’eziopatogenesi del cancro, dall’altra si colonizzava l’editoria scientifica, si condizionavano cariche istituzionali sanitarie, si confezionavano lavori clinici e sperimentali propedeutici unicamente al lancio di nuovi farmaci antitumorali. Ma si è verificato - inevitabile - un altro evento di incalcolabile pregiudizio per il progresso della medicina: lo scollamento sempre più profondo tra ricerca e pratica clinica, tra conoscenze ed acquisizioni della prima e involuzione culturale della seconda. Questa scissura porta come conseguenza pragmatica ad un ritardo a volte anche di quaranta e più anni tra ciò che si sa e si potrebbe applicare e quanto si applica. Anche questo tristissimo fenomeno è alla base della paralisi nel progresso delle terapie antineoplastiche e del prosperare di terapie empiriche. La cronistoria delle pretese cure per il cancro diverse da quelle ufficiali fa registrare alcuni elementi comuni ericorrenti: carenze culturali dei proponenti, ravvisabili anche nello smunto (o inesistente) profilo del loro curriculum scientifico/accademico; assenza di un razionale articolato formatosi dopo un lungo e rigoroso lavoro sperimentale presentato e discusso in congressi o convegni scientifici; inattendibilità delle diagnosi, lacunose e fatte dagli stessi pretesi scopritori, non già in pubblici ospedali; scarsità di pazienti trattati in grado di testimoniare dei benefici avvertiti; rilevabilità di interessi economici più o meno abilmente celati. Curiosamente, anche quando si era trattato di illusioni (peraltro possibili solo per terapie improvvisate ed episodica applicazione clinica) gli ideatori di queste tesi sono stati messi alla gogna se avevano osato criticare le procedure correnti. Quanto alle critiche: avevano ragione di criticare o si trattava solo di reazione all’essere stati ignorati? Bisogna tornare a quanto detto prima: qualsiasi turbatore della normalizzata paceoncologica è visto con sospetto prima ancora di sapere cosa propone. Di conseguenza chiunque non sia partorito in certi ambienti con l’intervento di levatrici a busta paga è un potenziale nemico. Sia come sia, l’unico discorso che la comunità oncologica, in caso di nuove cure risultate inefficaci, ma concepite con onestà intellettuale, avrebbe potuto fare, sarebbe stato quello di dolersi non per la minore o inesistente attività rispetto alle cure disponibili, ma per l’essere le nuove inefficaci quanto le vecchie. Per tale ragione le autorità sanitarie avrebbero dovuto attenersi al nobile operato del senato romano, quando, dopo il disastro di Canne, aveva ringraziato il console Gaio Terenzio Varrone per «… non avere disperato delle sorti della Repubblica» (Tito Livio). Vediamo allora, alla luce dei punti sopra esposti, se questi elementi ricorrenti potessero riferirsi al professor Luigi Di Bella o no. Si tratta di notizie che abbiamo, in parte, già dato, ma vale ripeterle, datoche la curva audiometrica di certi orecchi non ricomprende certe frequenze: quelle della verità. Professor Luigi Di Bella A) Curriculum scientifico-accademico (sintesi). Università di Messina: viene richiesto come allievo interno dal professor Pietro Tullio, allievo di Pietro Albertoni e considerato il più eminente fisiologo del tempo, candidato al Nobel per la medicina nel 1930 e nel 1932 (confronta il sito ufficiale per il conferimento del Premio Nobel: The Nomination Database for the Nobel Prize in Physiology or Medicine, 1901-1953). Diventerà suo assistente. Nel 1932, ancora diciannovenne, pubblica il suo primo lavoro (Eccitazione neuromuscolare mediante campi elettrici variabili, del professor Pietro Tullio e di Luigi Di Bella, allievo interno, Bollettino Italiano di Biologia Sperimentale, volume VII, fascicolo 7, 1932). Partecipa e vince quattro concorsi nazionali, utilizzando i premi previsti per mantenersi agli studi e aiutare i familiari. Viene segnalatoall’allora presidente del CNR, Guglielmo Marconi, che gli conferisce, all’inizio del 1937, una Borsa di studio e lo contatta per una proposta di collaborazione con il CNR. Quando consegue la prima laurea in medicina (luglio 1936) ha già pubblicato nove lavori sulle più accreditate riviste scientifiche italiane del tempo. A questo proposito lo stesso Tullio dichiara in un attestato del 20 ottobre 1938: «...: il Di Bella ha collaborato attivamente a quasi tutte le ricerche eseguite negli Istituti da me diretti dal 1930 al 1938, dimostrando intelligenza vivissima, intuizione rapida, valutazione esatta, tanto da indurmi a non intraprendere ricerca senza prima consultarmi con lui... I rimanenti lavori in collaborazione spettano per esecuzione e stesura al Di Bella, essendomi io limitato a dettarne l’introduzione e le citazioni bibliografiche. La mia sincera convinzione è che se il Di Bella raggiungerà la mèta ne guadagnerà certamente la Fisiologia italiana. Con grande dolore mi distacco dalDi Bella e mi vedo negato l’orgoglio e la soddisfazione di offrirgli quella protezione di cui avrebbe particolare bisogno per la sua timida riservatezza e che meriterebbe invece per il suo alto valore, quale solo chi l’ha visto lavorare indefessamente per otto anni in disperate condizioni economiche, può in verità attestare. Professor Pietro Tullio». Nello stesso anno della laurea vince il concorso per assistenti e, ventiquattrenne, inizia ad insegnare all’Università di Parma Fisiologia e Chimica Biologica. Nel 1938 consegue la laurea in Farmacia e quella in Chimica e scrive un testo di Chimica Biologica, nel quale già si ipotizza l’uso di retinoidi in connessione al fenomeno della crescita. Nel 1939 è incaricato dell’insegnamento della Fisiologia Generale e della Biochimica all’Università di Modena. Dopo la parentesi del conflitto mondiale (che lo vedrà direttore di un Ospedale Militare in Grecia) nel settembre 1948 consegue la libera docenza in Fisiologia Umana (classificandosiprimo fra sessanta concorrenti) e nel novembre successivo in Chimica Biologica (primo fra 28 concorrenti). Oltre all’insegnamento a studenti delle facoltà di Medicina, Farmacia, Scienze Biologiche e Scienze Naturali, svolgerà il suo ruolo di docente in diverse scuole di specializzazione. Pubblicherà circa duecento lavori scientifici, l’ultimo dei quali l’anno precedente la scomparsa, dopo aver comunicato in oltre cento Congressi Scientifici, metà dei quali Internazionali. Intratterrà una nutrita corrispondenza con scienziati di fama mondiale conosciuti in occasione di congressi, tra i quali: L.C. Pauling (premio Nobel), Epstein, A. Lerner, J. Axelrod (premio Nobel), J. Arendt, D. Gupta, R. Reiter. B) Primi lavori pubblicati I primi lavori pubblicati (Boll. Sc. Biol., Arch. It. di Fisiologia) sono su Vitamina A e Betacarotene e risalgono agli anni 1940-41. I primi esperimenti che provano l’influenza di strutture cerebrali sull’emopoiesi risalgono alla seconda metà degli annisessanta. Procedure e risultati vengono illustrati in un lavoro comunicato al Congresso di Alghero (1969) e pubblicato (Ruolo del sistema abenulo-ipofisario nella regolazione del tasso piastrinemico, Boll. S.I.B.S., volume XLV, numero 20bis, 31 ottobre 1969). Il lavoro sperimentale viene vivamente elogiato e definito un’importante scoperta dal professor Moruzzi, presente al congresso, che gli indirizzerà numerosa corrispondenza (ancor oggi consultabile). Per la cronaca, Giuseppe Moruzzi era ritenuto il massimo fisiologo vivente (confronta http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Moruzzi: «Moruzzi è stato giudicato uno dei più grandi scienziati italiani del XX secolo»). Dopo aver presentato in 11 congressi nazionali gli approfondimenti e gli sviluppi delle ricerche citate, completate con la collaborazione dei suoi assistenti (molte delle quali relative agli effetti su cavie della melatonina) verràinvitato dal professor Domenico Campanacci, il più celebrato clinico del tempo, sui cui testi (Manuale di patologia Medica, in IV volumi) si sono formate generazioni di medici, e presidente della Società Medico Chirurgica di Bologna (confronta www.archiviostorico.unibo.it/System/72/452/campanacci.pdf), a tenere una conferenza presso la sede dell’Archiginnasio di Bologna sul razionale e sui primi risultati delle sue vedute terapeutiche il 7 dicembre 1973 (una sintesi della conferenza verrà pubblicata nel Bollettino delle Scienze Mediche, organo della Società e Scuola Medica Chirurgica di Bologna, anno CXLV, fascicolo I, 1974.) (Per maggiori particolari: http://www.dibellainsieme.org/discussione.do?idDiscussione=1513). Il professor Campanacci non solo manifesterà la suaammirazione per le ricerche ma approverà, anche come clinico, i primi approcci terapeutici del professor Di Bella, concludendo la seduta con l’invito ai medici presenti perché collaborassero (esiste registrazione audio della conferenza). Dalla fine degli anni sessanta aveva iniziato a trattare diversi casi ematologici con l’impiego di melatonina (allora sciolta in alcol etilico) Metionin-adenosina, HIOMT, vitamina E, vitamina A, vitamina D3 ed altri principi attivi, con la collaborazione del professor Edoardo Storti, uno dei più illustri ematologi del dopoguerra (www.ferrata-storti.org/storti.html), presidente della Società Italiana di Ematologia dal 1973 al 1976, che intratterrà con lui per oltre vent’anni una nutrita e cordiale corrispondenza, intervenendo con parole di alta stima in un’intervista dell’autunno 1997 e indirizzandogli alcuni pazienti (come testimoniano lettere autografe). Anche ilprofessor Emilio Trabucchi, mostro sacro della farmacologia italiana, gli manifesterà la sua ammirazione, definendo la sua una «scoperta destinata a far progredire le nostre conoscenze in un settore di così eccezionale importanza sotto un aspetto scientifico e di sensibilità umana». Nonostante la stima di queste alte personalità scientifiche, nonostante si conoscano, in tutto il mondo, solo 500 casi di leucemici vissuti 5 anni dalla diagnosi, e nonostante la traumaticità dei protocolli allora comunemente seguìti (molti bambini, prima di morire, erano diventati ciechi e i decessi erano più iatrogeni che dovuti alla malattia), l’annuncio di una nuovo orientamento per la terapia delle emopatie viene accolto con viva ostilità e quasi totale chiusura dagli ambienti ematologici italiani (esattamente come avverrà venticinque anni dopo), si tenterà di togliere allo scienziato un incarico universitario (riottenuto dopo l’intervento di un legale) e lo stesso professor Storti, nelfrattempo trasferito a Pavia, sarà consigliato di interrompere la collaborazione. L’estate dell’anno successivo comunica sul razionale scientifico ed i primi successi terapeutici al Congresso Mondiale di Fisiologia di New Delhi (Luigi Di Bella, M. T. Rossi, Nervous control of thrombocytopoiesis, IUPS-International Union of Physiological Sciences, 1974), riscontrando vivissimo interesse ed entusiasmo da parte dei ricercatori presenti. Un suo lavoro, presentato anni dopo ad un importante Congresso Mondiale (Congresso EPSG, Amsterdam, novembre 1978), e riguardante il razionale del suo Metodo ed un rapporto sugli esiti su parecchie centinaia di tumori (polmonari, dello stomaco, del seno, osteosarcomi e linfomi) della terapia, che già da tre anni comprende la somatostatina, sarà pubblicato in extenso (L. Di Bella, M. T. Rossi, and G. Scalera, Cattedra di Fisiologia Generale, Università di Modena, Perspectives in pineal functions - Progress in Brain Research, volume 52, Editors J. AriënsKappers and P. Pever © 1979, Elsevier/North-Holland Biomedical Press). Dopo numerosi altri lavori comunicati in congressi internazionali, nel 1988, in occasione del Symposium on Melatonin and the Pineal gland - Hong Kong, illustrando il lavoro presentato (L. Di Bella, Melatonin in cancer therapy) definisce il suo Metodo «Terapia Biologica dei tumori». C) Pazienti trattati I pazienti trattati sono stati - provatamente - migliaia, probabilmente più di 30.000. Cifra che non potrebbe assolutamente spiegarsi senza un meccanismo di passa-parola, dato il pressoché ermetico silenzio stampa. Ma - e l’espressione ci pare particolarmente confacente - qui casca l’asino: il passa-parola presuppone, per forza di cose, la soddisfazione del paziente o dei suoi familiari. Anche perché, in aggiunta, bisognerebbe sostenere che la forza della suggestione è stata tanto intensa da consentire a pazienti, in eccellenti condizioni di salute, di testimoniare la loro gratitudine ancheventi o trent’anni dopo. La tesi che questo meccanismo si sia affermato perché il medico aveva poteri ipnotici, e con un a me gli occhi convinceva i malcapitati che stavano meglio o addirittura erano guariti, può essere sostenuta solo da chi deficit di intelligenza o di onestà. La seconda ipotesi - che si sia trattato di allocchi o di imbecilli - oltre ad essere insostenibile, espone i baldi e scientificissimi fan dell’illusione collettiva al rischio di gluteo-podo-trattamento intensivo da parte dei pazienti, o di qualche querela. I malati non si erano rivolti, per la diagnosi, ad un guru dallo studio invaso da puzzolenti fumi speziati e che li aveva invitati a sedute di meditazioni trascendentali condite da cantilene a base di aummmmmmm..., ma erano transitati precedentemente nei reparti di oncologia od ematologia, avevano fatto i consueti esami analitici, istologici, radiografici, e il più delle volte erano stati trattati con le metodologie di rito con esiti negativi. Avete maisentito di malati guariti che abbandonano i guaritori e si cercano altri medici? La loro documentazione - attenzione, perché questo è un punto fondamentale - era tutta riscontrabile negli archivi ospedalieri. Terza ed ultima ipotesi: il medico, in realtà, aveva poteri soprannaturali che gli consentivano di fare miracoli. In tal caso sarebbe stato doveroso adoperarsi per la canonizzazione in vita. Avrebbe meritato anche questo riconoscimento a dire il vero, ma non per supposti miracoli, bensì per l’umanità genuina, la bontà, il bene fatto disinteressatamente per una vita, le ingiustizie sopportate cristianamente. Giuseppe Moscati – anch’egli grande fisiologo - aveva fatto un proselite. D) Interessi Quanto agli interessi la faccenda era ancor più imbarazzante: non solo rifiutava qualsiasi onorario, non solo spesso aiutava con discrezione i malati bisognosi, ma aveva rinunciato a qualsiasi ipotesi di brevettazione e della Melatonina coniugata e della Soluzione diretinoidi, possibile non per le sostanze usate (esistenti in natura) ma per la loro combinazione e la formulazione. Questo il quadro sintetico complessivo. Riferendoci agli anni 1973-74, cosa avrebbe avuto il dovere di fare il suo Paese e cosa la classe medica della quale, disgraziatamente per l’umanità, questa povera Italia disponeva? Torniamo a ripetere in sintesi, prevalentemente a beneficio di cervici coriacee o coscienze disastrate, quanto abbiamo appurato. Tre lauree, due docenze, quattro concorsi nazionali vinti da studente; osannato dal massimo fisiologo dell’anteguerra due volte candidato al Nobel (il professor Pietro Tullio), aveva colpito e interessato per il suo ingegno un Marconi; la scoperta dell’influenza del SNC sull’emopoiesi, nel 1969 aveva entusiasmato il massimo fisiologo vivente, Giuseppe Moruzzi (definito, ripetiamo, «... uno dei più grandi scienziati italiani del XX secolo»), mentre sia sotto il profilo sperimentale che terapeutico aveva suscitato enormeinteresse nel più autorevole farmacologo del tempo (professor Trabucchi), nell’ematologo più celebrato (Edoardo Storti), nell’ultimo grande clinico italiano (Domenico Campanacci). Non era abbastanza? C’erano o non c’erano - e ad abundantiam - tutte le credenziali per avere la certezza che ci si trovava di fronte ad uno scienziato e ad un medico degno della massima considerazione, e non di fronte ad un ciarlatano o ad un personaggio non credibile? Attenzione: stiamo parlando, semplicemente, di una sua indiscutibile credibilità, non dell’automatica certezza che si trattasse della sospirata via per sconfiggere cancro e leucemie! Ma ci sono due particolari che - considerando gli eventi con un minimo di senno ed onestà (il ricorrere ossessivo di quest’ultimo vocabolo è più che giustificato!) - venivano ad aggiungersi: 1) l’impotenza terapeutica, in particolare, di fronte alle leucemie, dimostrata dagli appena 500 malati che avevano raggiunto i cinque anni di (tribolatissima)esistenza; 2) L’iter sperimentale scrupolosamente descritto sia durante la conferenza di Bologna che nel corso della comunicazione al Congresso Mondiale di Fisiologia. Soffermiamoci un istante. Era lecito fare spallucce di fronte ai soli 500 sopravissuti cinque anni con la chemioterapia? O costituiva forse un crimine fra i più atroci della pur crudele storia dell’umanità? Non diamo risposta perché questa è insita - quantomeno per un uomo che si consideri onesto - nella domanda e nella documentata realtà. Ma passiamo all’iter sperimentale, argomento che, al di là del caso sul quale ci stiamo diffondendo, è di importanza capitale per chiunque voglia capire cosa sia scientifico e cosa no. Che cosa significa scientifico? Semplicemente un fenomeno che è certo. E cosa è certo? Ciò che, essendo riprodotto esattamente secondo le modalità descritte, dà sempre lo stesso risultato. L’esperimento fatto dal professor Luigi Di Bella era stato minuziosamente codificato in tutte le suefasi, particolarità tecniche, e nel risultato. Consisteva nel sollecitare le habenulae, strutture cerebrali nella zona dell’epitalamo, con un certo tipo di corrente. In seguito alla stimolazione, le piastrine in circolo aumentavano del 300% ed oltre. Continuata la ricerca sperimentale, si era determinata anche la causa di questo aumento: la sollecitata increzione di melatonina da parte della pineale. L’implicazione della scoperta era di immensa portata, non solo perché gettava luce su un fondamentale meccanismo dell’emopoiesi - sovvertendo le teorie indimostrate fino ad allora appoggiate - ma comportava immediate e chiarissime implicazioni sulla terapia delle emopatie, piastrinopenìa in primis. Una scoperta - come d’altronde fu osservato ventotto anni dopo durante un convegno scientifico - da premio Nobel: intendiamo dire, un premio Nobel serio. Non c’è da discutere, ma solo da prenderne atto. Beninteso, avendo a disposizione - minuziosamente descritto - il modo di appurare laveridicità dell’affermazione: la ripetizione dell’esperimento. A nessuno passò minimamente dall’anticamera del cervello l’idea di ripetere la prassi sperimentale per verificare: 1) se davvero si verificava l’aumento delle piastrine in circolo 2) se questo dipendeva dall’increzione di melatonina. Sarebbe cambiato il mondo, perché da questo all’applicazione terapeutica il passo era ovvio e breve. Nessuno lo fece. Perché??? Sono migliaia di morti dalle loro tombe a chiederlo a quanti, potendolo fare, non lo fecero, assumendosi la responsabilità della sofferenza e della morte di innumerevoli esseri umani. Non si scappa, non c’è nessun mi e nessun ma: o si attuava un controllo sperimentale e si dimostrava l’errore dello scienziato, o si riscontrava la puntuale conferma degli assunti, avvenuta la quale era giocoforza agire di conseguenza sotto il profilo terapeutico. Il fenomeno è stato riprodotto da altri ricercatori con puntuale conferma di tutte le osservazioni dello scienziato:ma questo non avvenne in Italia e non avvenne subito, ad imperitura vergogna del nostro Paese. Cosa avrebbe potuto e dovuto fare lo Stato? Cosa ematologi ed oncologi? Cominciamo a rispondere alla seconda domanda variandone la forma: cosa non avrebbero dovuto fare? Arroccarsi in privilegi immeritati e ricordarsi invece del giuramento fatto all’atto della laurea. Quanto allo Stato, sarebbe stato suo ineludibile dovere, anzitutto, contattare lo scienziato e chiedergli di ripetere l’esperimento accennato davanti a ricercatori di propria fiducia. Fatto questo, offrirgli la più ampia collaborazione possibile. Teniamo conto che la notizia (in alcun modo spinta o incoraggiata dal protagonista della vicenda) era apparsa su tutti i quotidiani nazionali e su molti esteri. Da una parte, mettendogli a disposizione mezzi strumentali e collaboratori si sarebbero enormemente accelerate le programmate ricerche sperimentali; dall’altra, incaricando Storti e proteggendolo dalle malevolenze dicolleghi ostili, si sarebbe potuto avviare un progetto di sperimentazione clinica, raccogliere dati rigorosamente documentati, studiare, far studiare e seguire i casi di remissione, fornendo così un aiuto determinante per la pubblicazione dei risultati. Teniamo conto che tutte le componenti della terapia erano prive di tossicità e controindicazioni, a differenza dei micidiali protocolli di rito, fra l’altro totalmente a carico dello Stato (e, quindi, dei contribuenti). È doveroso sapere che uno dei tanti ostacoli che lo scienziato dovette superare fu costituito dal fatto che per sette anni volle sostenere personalmente il costo della melatonina (e della sua costosa preparazione in confezioni iniettabili), fornendola comunque gratuitamente ai pazienti... In ogni caso, ove - a mero titolo ipotetico - le premesse non fossero state confermate dai fatti, ci sarebbe stata sempre la possibilità di dire allo scienziato che facesse il favore di tacere e non sostenere oltre l’insostenibile.Invece ci fu il silenzio: o meglio, il silenziamento. Ma all’estero (soprattutto all’estero) la cronistoria delle ricerche sulla melatonina, a partire dal 1973/1974, fa registrare una nettissima impennata ed una comprensione sempre più vasta delle importantissime e vastissime azioni della molecola. Se nel 1974 la comunicazione al Congresso Mondiale di Fisiologia di New Dehli era stata preceduta da 33 anni di ricerche, i rinnovati clamori della vicenda Di Bella (iniziati negli anni 1995-96) si riferivano ad una concezione scientifica basata su mezzo secolo di ricerche sperimentali ed un quarto di secolo di conferme cliniche! Nonostante questi dati, verificabili da chiunque, venne rimproverato allo scienziato di non avere seguìto l’esempio di altri colleghi, che per anni ed anni avevano svolto in silenzio la loro ricerca prima di fare proposte terapeutiche... !!! È inoltre da tenere presente che centinaia di prescrizioni erano state fotocopiate ed erano circolate nei repartiematologici e oncologici per anni ed anni: nulla vi sarebbe stato di più facile che controllare le diagnosi e la storia clinica dei pazienti! In molti casi fu fatto: ma tacendo sui risultati, che erano positivamente scioccanti. Probabilmente si dormivano sonni tranquilli, pensando che lo scienziato non poteva disporre - specie dopo il pensionamento dall’Università - di alcuna collaborazione e che presto, dati i problemi di età, avrebbe tolto il disturbo. Ma nel 1995 ci fu il boom della melatonina e qualcuno, pensando ad un Luigi Di Bella casalingo e con le pantofole ai piedi, si presentò quale vate. La paternità delle sue acquisizioni emerse invece inevitabilmente (Russel Reiter, in un congresso internazionale, lo aveva definito «il padre della melatonina»), e saltarono fuori anche migliaia di persone e di famiglie che testimoniarono a favore della sua terapia. Quando qualche valvassino pensò di rimediare facendo aumentare a limiti iperbolici il costo della somatostatina (questa, insingolarissimo contrasto con le leggi della produzione farmaceutica, lievitò di dieci volte, raggiungendo le 516.000 lire per dose giornaliera contro le 3.500 lire di costo industriale, mentre un anno più tardi qualche farmacista ritirò la sostanza grezza dalla Bachem - il miglior produttore mondiale - e, dopo le necessarie semplici lavorazioni, vendette la somatostatina a 11.000 lire), i pazienti cominciarono ad organizzarsi fondando associazioni e protestando energicamente. Questa, non altra, fu l’origine del movimento di opinione che si creò e delle proteste. Le testimonianze faranno giungere ai tavoli del ministero della Sanità qualcosa come 10.000 fax, diligentemente ignorati e seguìti anzi da pronunce sprezzanti delle commissioni sanitarie. La tesi è che non esistono prove scientifiche dell’attività antitumorale dei componenti del Metodo Di Bella. Ma una società scientifica del modenese appurerà, dopo una ricerca attenta su Medline, l’esistenza al 31 dicembre 1997 di 7.040lavori: si badi bene, lavori clinici sull’uomo. Questi dimostrano il contrario di quanto sostenuto dalle commissioni ministeriali: sono 2.817 sulla somatostatina, 1.582 sui retinoidi, 1.504 sulla bromocriptina, 819 sulla vitamina E, 318 sulla melatonina. Due soli esempi, a dimostrazione che non si tratta di cifre da estrazione del lotto, che evidenziano come già da anni si sappia come somatostatina e/o octreotide funzionino prescindendo dalla cosiddetta natura endocrina del tumore e che riguardino una vasta gamma di patologie. Un primo lavoro del 1991, Non-endocrine applications of somatostatin and octreotide acetate: facts and flights of fancy: Mozell-EJ; Woltering-EA; O’Dorisio-TM - Dis-Mon. 1991 Dec; 37(12): 749-848, «… a review of the current non-endocrine applications of somatostatin and its analogues, covers a wide range of potential applications for somatostatin-like compounds... ». Un secondo lavoro del 1992, Somatostatin-Analog (Octreotid) in klinischen Einsatz: neuereun potenti elle Indikationen: Meier-R, Dierdorf; Gyr-K - Schweiz-Med-Wochenschr. 1992 Jun 20; 122 (25): 957-68. («… the antiproliferative effect of octreotide also allows its use in patients with somatostatin-receptor-positive non-endocrine solid tumours (e. g. brain, breast and small-cell lung cancer»). Evidenze scientifiche tanto inequivocabili da far cadere i denti ai critici del Metodo Di Bella e che, in una società normale, avrebbero dovuto e dovrebbero portare al licenziamento in tronco e, subito dopo, alla denuncia di supponenti baroni in camice bianco e componenti di commissioni sanitarie: perchè la loro ignoranza - congenita o dolosa che sia - è inescusabile ed ha provocato lutti e dolore. Ma riprendiamo la cronistoria. Si dice allora che sì, è vero che esistono tanti lavori, ma sulle singole sostanze, non sul loro impiego in simbiosi! Arriviamo al dunque. Dopo che sono pretese cento cartelle cliniche, ne sono inviate dalle associazioni in numero di poco inferiore aquello richiesto, i baldi esaminatori concludono che... non si possono trarre conclusioni. Poi, di colpo, anche se beninteso le cartelle non dimostrano nulla in modo incontestabile... ora ci sono le condizioni per procedere ad una sperimentazione. Non c’era di che preoccuparsi, avevano evidentemente convenuto. E si vedrà che c’erano buone ragioni per questa tranquillità. È venuto il momento di elencare alcune delle anomalie, ognuna delle quali, autonomamente, porta a considerare una (tragica) farsa la cosiddetta sperimentazione e che avrebbe dovuto portare - in un Paese civile – all’immediata ed automatica invalidazione della sperimentazione. Perchè - torniamo al fondamentale punto di partenza - un esperimento può definirsi scientifico solo quando i parametri sono rispettati tutti, senza eccezioni e con precisione assoluta. 1) Lo studio retrospettivo C’era un piccolo timore, una possibile variabile in tanta certezza: la documentazione clinica che poteva avere il professor DiBella. Sarebbe stata proprio una beffa dispiegare tanto impegno e sopportare tanti patemi e poi vedersi smentire in modo clamoroso. In realtà la documentazione era costituita dagli esami che avevano lasciato alcuni pazienti, che di per sé, non completati in successione temporale e costantemente aggiornati, potevano costituire un supporto probatorio formidabile se implementati attingendo agli archivi ospedalieri (cosa che un’organizzata ricerca svolta da un gruppo di lavoro, con autorizzazione ministeriale ad accedere alla documentazione clinica, avrebbe potuto fare in brevissimo tempo). Ostentando sincero interesse, un’epidemiologa (omettiamo nome ed evitiamo giudizi, trattandosi di persona scomparsa nel 2009, pare - ironia della sorte - dopo lunga malattia) chiese e ottenne, su incarico del ministero, di accedere all’archivio del professor Luigi Di Bella, in parte informatizzato ad opera di due volontari, suoi vecchi allievi che lo avevano avuto quale relatore nella tesi dilaurea. Esponiamo, seppure succintamente, l’operato dei visitatori, giunti nello studio-laboratorio di Modena il 4 febbraio 1998. Questi esaminarono 3.076 cartelle, cioè quella parte, minoritaria, che era stata informatizzata. Tanto per gradire, una metà venne scartata, o perché si ritenne che la diagnosi non fosse provata con certezza, o perché si trattava di patologie non neoplastiche (bazzecole come sclerosi multiple, Alzheimer, lupus maligni, eccetera...). Delle 1.523 sopravvissute ne vengono prese in considerazione solo 605. Perché? Perché solo queste riguardavano pazienti residenti in regioni coperte dal Registro Tumori (che rappresentava solo il 15% del territorio nazionale)...! Delle 605 ne vengono scartate altre 291, in quanto... non sarebbe esistita la prova che i pazienti fossero stati trattati col Metodo Di Bella (che erano venuti a fare, forse per farsi una briscola o per sottoporsi a qualche ciclo di chemio...?). Ma abbiamo a che fare con persone ordinate, pratiche,che vogliono fare pulizia: di conseguenza altre 66 cartelle finiscono nella virtuale pattumiera. E sapete perché? In 38 casi i pazienti risultano persi (... sic...) e per altri 28... non c’è tempo di assumere ulteriori informazioni! Alla fine del massacro rimangono solo 249 casi valutabili. Ma niente paura: solo in quattro casi risulterebbe con certezza che hanno fatto solo il Metodo Di Bella!!! Di questi quattro, uno solo risulta guarito!!! L’epidemiologa - che insieme ai colleghi aveva espresso, quantomeno all’ospite e a tre collaboratori che allora frequentavano il laboratorio, e tutt’oggi disponibili a dare la loro testimonianza, la sua ammirata meraviglia per i risultati osservati - in aprile stende la sua relazione per il ministero. Puntuale, qualche settimana dopo, escono titoloni dei giornali: «Su oltre tremila pazienti curati dallo scienziato solo quattro hanno fatto la sua cura e di questi solo uno era guarito!!!». Uno su tremila!!! Ma che uomo è questo Di Bella??? È facileimmaginare l’impatto psicologico sui pazienti in sperimentazione e le conseguenze (sperate) sulla loro determinazione a continuare!!! L’epidemiologa scrisse una assai fumosa lettera di scuse al professor Di Bella il 18 maggio successivo, concludendo che «... finora non sono riuscita a sapere chi è il/la responsabile di questa gravissima scorrettezza»!!! Ma guarda un po’! La relazione la conoscevano soltanto coloro che l’avevano redatta ed i responsabili del ministero: ma chi mai avrà commesso la scorrettezza? Mistero. Un suonatore di scacciapensieri (accostamento casuale...) avrebbe risposto: «Cu fu? Nente sacciu e nente dicu!». Singolare coincidenza: i titoloni suaccennati comparvero subito dopo che una delegazione istituzionale, sotto il fischiare di indiscrezioni relative ad avvisi di garanzia in viaggio, fu costretta, il 5 maggio 1998, a recarsi cenere sulla testa dallo scienziato allo scopo di implementare protocolli dichiarati lacunosi (e che, nella pratica dei fatti, non furonoimplementati affatto) ed evitare una protesta popolare dalle conseguenze imprevedibili. Ciò che inescusabilmente non venne dichiarato alla stampa, pur annotato nello studio retrospettivo, era una realtà clamorosa: tra le 249 cartelle - bontà loro - prese in esame, figurano, al di là di qualsiasi dubbio, 27 casi di lungo sopravviventi fra i 10 ed i 25 anni, cioè oltre il 10% dei (sopravvissuti) casi esaminati!!! E si tratta di 27 casi con prognosi a breve/brevissimo termine espressa in reparti di oncologia!!! Per essere più chiari: si tratta di malati mandati a casa perché dichiarati irrecuperabili o in fin di vita. Non c’è male come prova preliminare di interesse obiettivo, correttezza, moralità, senso di responsabilità, volontà di giungere alla verità! 2) Conflitti d’interesse e giudizi Il verificare una nuova terapia richiede innanzitutto curiosità scientifica ed assenza di conflitti di interesse, materiali o psicologici che siano. Ecco un campionario di dichiarazioni cheevidenziano quanto fossero liberi da pregiudizi i giudici incaricati. Tra i membri del Comitato di Revisione Internazionale (costituito per rafforzare un’immagine di autorevolezza): - Professor Franco Cavalli, oncologo svizzero: «... capita spesso nel mondo dei ricercatori che, specie in una persona anziana, subentrino delle fissazioni (sic) che portano a credere, dopo anni di lavoro serio, d’aver scoperto chissà cosa». - Paul Calabresi, consigliere oncologo di Bill Clinton: «Non c’è alcuna razionalità scientifica nell’utilizzo della terapia sperimentale a base di somatostatina (sic...) su malati di cancro portata avanti dal professor Di Bella». - Professor Giuseppe Benagiano, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità: «Le autorità hanno sbagliato a sottovalutare l’impatto che la faccenda avrebbe avuto, e avrebbero dovuto agire prima per stroncarla sul nascere». - Rita Levi Montalcini: «Nessun Paese, se non del Terzo Mondo, potrebbe accettare la sperimentazione del suometodo» (evidentemente considerava appartenere al Terzo Mondo le due persone per le quali aveva telefonato al professor Di Bella pregandolo di visitarle). Per obiettività dobbiamo anche citare successive dichiarazioni di diverso tenore, assai prudenti e perfino di malcelata adesione, forse dovute ad intervenute resipiscenze. Infatti, in un’intervista rilasciata ad un quotidiano in occasione di una conferenza tenuta a Modena, richiesta di un parere sul professor Di Bella dichiarerà: «Quella è una persona valida dal lato umano, di grande serietà negli studi, ma la sua cura sembra un tentativo non portato a termine. Da quel che conosciamo oggi, non è emersa una validità univoca e non si giustifica per questo l’abbandono di altre terapie già conosciute e testate» (Il resto del Carlino, cronaca di Modena, pagina 7, 25 gennaio 2003). Passiamo ora ad alcuni degli sperimentatori. - Professor Dino Amadori: «Non credo minimamente alla sua cura» (17 gennaio 1998). - Professor FrancescoCognetti: «... altri malati vengono attratti da miracolistici metodi di cura di non provata efficacia, eseguiti nella più completa clandestinità ed al di fuori di leggi e regolamenti... » (11 ottobre 1997). - Professor Pierfranco Conte: «Non darei mai questi farmaci ad un congiunto». - Professor Franco Mandelli: «Attraverso false notizie, Di Bella sottrae malati ematologici che hanno, con le vere terapie, la possibilità di avere una valida risposta e ottenere la guarigione» (17 luglio 1997). Niente male, quale prova di assenza di preconcetti e serenità di giudizio. Ovviamente nessuno agisce per smentire se stesso... 3) Ma quali pazienti? In una parola, per non dilungarsi, «pazienti dati per spacciati?» esclamerebbe un lettore togliendoci... la parola? Sbagliato! Questo sarebbe stato il meno... Erano malati con vita residua stimata fra i 12 giorni (sì, avete letto bene) ed i 90 giorni (fonte: rapporti Istisan - Istituto Superiore della Sanità)! Molti di loro morirono nelperiodo tra l’arruolamento e la data fissata per l’inizio della terapia, altri qualche giorno o settimana dopo: anche questi ultimi, ovviamente, furono conteggiati tra gli insuccessi! Il peggio - sì, era possibile addirittura un peggio - era che si trattava di malati chemio-trattati. Attenzione!!! Qui abbiamo altre due enormità: A) mentre nello studio retrospettivo i malati precedentemente chemio trattati, guariti o lungo viventi dopo Metodo Di Bella, non erano stati considerati (possibili «effetti ritardati della chemioterapia», mai riscontrati a memoria d’uomo se non in senso negativo!!!), qui la stessa pregiudiziale era considerata una quisquilia che dir si voglia. In parole povere, di fronte a chemio trattati, se con Metodo Di Bella andava bene era merito della chemio, se andava male, era colpa del Metodo Di Bella! B) nel corso della riunione al ministero del 14 gennaio 1998 lo scienziato aveva dichiarato che «... la non responsività al proprio protocollo dipende daitrattamenti terapeutici precedentemente messi in atto e dalle condizioni generali dei pazienti» (dal verbale della riunione). Ma ecco una chicca (quando si dice che certa gente è distratta...) che conferma, da parte avversa, questa del resto ovvia realtà: una nota Cuf dell’ottobre 1997, nella foga di destituire di validità uno dei numerosi studi clinici sulla somatostatina (Bollettino ottobre ‘97, pagina 10), recita che «... gli studi fin qui pubblicati sono stati condotti pressoché esclusivamente in pazienti con malattia avanzata e pretrattata con altri farmaci, condizioni quasi sempre associate a selezioni e mutazioni che possono alterare il profilo recettoriale della cellula neoplastica... ». Eccovi serviti di barba e capelli! C’è poco da fare: sono persone distratte. Come tutte le persone geniali, del resto... Solo in un caso gli arruolati avrebbero potuto salvarsi: se un Signore con la barba bionda ed una lunga tunica bianca si fosse avvicinato loro esclamando «Lazzari, venitefuori! Alzatevi e camminate». Eppure qualcuno si è salvato (ma ne parleremo in altra sede...)! 4) Mancanza di randomizzazione Uno studio poteva avere un senso scientifico e logico se veniva sottoposto al Metodo Di Bella un gruppo di pazienti, alle cure tradizionali un secondo gruppo (ovviamente omogeneo rispetto al primo, cioè nelle stesse condizioni cliniche e con analoga stadiazione). La disputa qui non era tra tutti gli strumenti terapeutici disponibili, da una parte, e il Metodo Di Bella dall’altra, visto che chirurgia e radioterapia (seppure con diversità relative ai casi ed alle situazioni nei quali intervenire, e in più - per la radioterapia - con differente visione sull’intensità e la durata di applicazione) erano e sono considerati patrimonio terapeutico comune. Qui si trattava di circoscrivere la prova al confronto tra terapie farmacologiche: la chemioterapia ed il Metodo Di Bella, la concezione citotossica e la concezione biologica. E come si poteva fare un confrontose non si confrontavano le due terapie??? Quale delle due garantiva maggiormente salvezza del malato, durata della sopravvivenza, qualità di vita? Il fatto è che tutti gli arruolati nel migliore dei casi non erano più «suscettibili di alcun trattamento»: fossero stati ri-trattati con chemio, sarebbero morti nel giro di ore o di qualche giorno! Ecco perchè rifiutarono la randomizzazione (fra l’altro chiesta - invano - dal professor Veronesi)! In uno studio non randomizzato si può dire tutto ed il contrario di tutto. Se per assurda ipotesi fossero state arruolate nella sperimentazione salme, non persone viventi, anche in questo caso, ovviamente, nessuno si sarebbe salvato, dimostrando l’inefficacia della nuova terapia. Tanto valeva... L’inattendibilità della sperimentazione per mancata randomizzazione fu una delle più severe critiche fatte dal British Medical Journal (critica che i sostenitori della definitività negativa della sperimentazione si guardano bene dal citare). 5) Ma cheterapia è stata sperimentata? Tre farmaci sui 7 fondamentali indicati dallo scienziato e sempre presenti nelle migliaia di prescrizioni che oggi come ieri sono/erano consultabili da parte di chiunque! Ma c’è un mistero mai spiegato. Tra gli atti con tanto di protocollo ministeriale figurano due fogli assolutamente attendibili e inconfutabili, perché redatti di pugno e firmati dallo stesso professor Luigi Di Bella (vedi foto). questi due fogli contengono l’elenco dei farmaci fondamentali da utilizzare (sono otto, in quanto un farmaco è previsto in sostituzione di un altro in caso di neoplasie cerebrali), più quattro da impiegare come coadiuvanti, più altri ancora per situazioni particolari (vomito, nausea iniziali possibili all’inizio dell’infusione della somatostatina). Di più: si specifica anche che la somatostatina (o l’octreotide) deve essere infusa crescendo con gradualità nei dosaggi. È quindi provata la mancata corrispondenza tra la terapia, quale indicata e praticatadallo scienziato, e quella sperimentata. C’è anche un altro clamoroso mistero-non mistero, che per la sua importanza e gravità - scoperta in tempi relativamente recenti - viene descritto minutamente in un’opera che dovrebbe vedere presto la luce. Lo scienziato confermò in un’intervista ripresa da parecchi quotidiani (28 aprile ‘98) che «... nell’attuazione della sperimentazione non è stato osservato quello che io avevo dichiarato sarebbe stato necessario». Allora, a quali protocolli si attennero? Approvati e firmati dove e quando? Non esiste un verbale che riporti giorno, luogo, ora della formalizzazione, cioè dove e quando l’ideatore del Metodo Di Bella abbia letto e firmato quei protocolli! In qualsiasi sede e di fronte a chiunque siamo in grado di dimostrarlo. 6) Errata composizione, errata preparazione dei galenici: irregolarità, acetone, farmaci scaduti Rapporti dei Nas su campioni analizzati in periodi diversi, segnalarono numerose gravi carenze (anche del 50% in meno)nelle percentuali dei vari componenti della Soluzione di retinoidi (vitamina A, betacarotene, acido trans retinoico). La melatonina coniugata, in una percentuale inferiore di casi, risultò anch’essa non conforme (associazione con adenosina e glicina, fondamentale per la biodisponibilità della sostanza). Clamorosa poi la nota indagine svolta da due sottufficiali dell’Arma, che rilevarono, e formalizzarono in un rapporto del 2 dicembre 1998 quanto segue: «Dall’attento esame degli elenchi è emerso un dato preoccupante se non addirittura inquietante: 1.048 flaconi di ‘soluzioni ai retinoidi’ sono stati distribuiti dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico militare di Firenze a 28 Centri dei 60 della Sperimentazione Metodo Di Bella, oltre il termine massimo di tre mesi, come stabilito dall’ISS. Ciò verosimilmente comporta che 1.048 pazienti abbiano assunto, per un periodo oscillante tra i venti ed i trenta giorni (tale periodo varia dalla prescrizione medica in relazione alla patologia),un farmaco potenzialmente imperfetto e non più possedente le caratteristiche terapeutiche iniziali, senza escludere che la degradazione e scomposizione di principi attivi possa produrre effetti collaterali gravi specialmente in soggetti sofferenti patologie neoplastiche. Ne consegue che i risultati ottenuti dalla sperimentazione siano sicuramente inattendibili e che la stessa sperimentazione debba essere quantomeno rivista seguendo un’ottica che tenga conto di tali nuove e significative risultanze». Cosa successe, si chiederà il lettore? Furono elogiati e premiati i due carabinieri? No. Non successe nulla. O meglio, accadde l’incredibile! Tuoni, fulmini e saette. I due sottufficiali furono sottoposti a provvedimento disciplinare dal Procuratore di Firenze Nannucci, perché erano ... «andati oltre i limiti del loro mandato!!!». Per la cronaca, il magistrato fiorentino aveva contestato al Procuratore Guariniello, che indagava sul mare di irregolarità che gli erano state segnalate, lacompetenza per l’indagine... Era veramente troppo, ed il Procuratore Generale di Firenze, poco più di due mesi dopo, archivia la pratica, di fatto censurando l’operato dell’iperattivo Nannucci (che aveva diffidato il comando dei Nas dal prendere altre iniziative senza avvisarlo preventivamente!). Questi i fatti: che certi distratti sostenitori della conclusività della sperimentazione farebbero bene a rileggersi, sempre che tengano ad essere considerati persone oneste! I due sottufficiali non avevano ancora finito con le grane, però. Qualcuno - là dove si puote - sollecitò un trasferimento dei due: uno nell’estremo sud Italia, l’altro fra austriofili del Tirolo. Solo grazie a un opportuno intervento, da parte di chi aveva ancora a cuore la credibilità delle istituzioni, si evitò questo ulteriore scempio di giustizia e legalità. Ma l’argomento non si esaurisce qui. Oltre a carenze dei componenti, oltre a confezioni scadute, oltre a violazione delle concordate norme di conservazione(molti pazienti riferirono di flaconi di retinoidi e blister di melatonina lasciati a cuocere al sole accanto alle finestre degli ospedali, nonostante la raccomandazione di conservarli al riparo dalla luce e da elevate temperature!), i retinoidi contenevano dosi spesso enormi di acetone. L’acetone - e chi fa spallucce farebbe bene a prendere o riprendere qualche libro in mano (a cominciare dal Vangelo) - è ricompreso tra i veleni dal manuale Merck, ha una elevata tossicità che incide pesantemente sulla funzionalità epatica (immaginate che razza di fegato potevano avere pazienti passati attraverso pesanti cicli di chemio!) e, secondo alcune fonti autorevoli, è potenzialmente cancerogeno. Ma che ci faceva l’acetone nella soluzione di retinoidi? Semplice: era usato, in alternativa con alcool etilico, come solvente. Il professor Di Bella in un verbale firmato il 31 marzo ‘98 aveva infatti dichiarato che come solventi potevano essere adoperati «… acetone o alcool etilico» (ripetiamo per idistratti: acetone o alcool etilico), ma che «il solvente deve essere completamente eliminato» attraverso gorgogliamento in corrente di azoto. Così come - attenzione!!! - facevano e fanno di prassi e senza la minima difficoltà validi farmacisti preparatori! Il responsabile dell’Istituto Chimico Militare di Firenze incaricato della preparazione (e che aveva ricevuto le istruzioni relative) disse che... non era possibile eliminare del tutto l’acetone...! Un Istituto statale, con interi laboratori e attrezzature di prim’ordine non riusciva dove semplici farmacisti, con un piccolo laboratorio privato a disposizione, non avevano e non hanno alcun problema! Esiste una intervista televisiva fatta al professor Di Bella, ed oggi visionabile su internet, nel corso della quale lo scienziato definisce come «indegna di un farmacista» l’affermazione del responsabile che, evidentemente mortificato, incassa il rimprovero e tace. Molti pazienti (abbiamo abbondantissima documentazione di articoliusciti all’epoca, e la circostanza è riportata anche in atti giudiziari) riferirono anche di confezioni di retinoidi che, non appena aperte, emanavano «lezzo di fogna»! Anche se abbiamo idee precise in merito, non possiamo provare che si sia trattato di dolo anziché di colpa grave, ma sta di fatto che i sintomi di nausea, diarrea e simili accampati per giudicare il trattamento non privo di tossicità sappiamo benissimo a cosa attribuirli: e con certezza assoluta, dato che i pazienti che ricorrevano/ricorrono a galenici preparati adeguatamente non hanno mai rilevato né puzza di fogna né disturbi! E la scadenza? Questa era fissata in tre mesi dalla data di preparazione. Un prodotto zeppo di acetone, con dosaggi carenti dei principi attivi e tenuto al sole è da buttare non dopo tre mesi, ma dopo tre ore. Uno fatto e conservato come si deve fa registrare solitamente un calo progressivo di attività farmacologica, anche se in un caso, relativo ad un flacone preparato dalla farmacia diriferimento - che prepara questi galenici da quasi quarant’anni - le analisi avevano fatto registrare l’assoluta integrità a distanza di oltre un anno dalla preparazione. Confezioni, pur frutto di ottime preparazioni, dopo la scadenza hanno fatto rilevare fra l’altro una segmentazione dei principi attivi, con ovvia perdita, oltre che dell’attività farmacologica, dell’omogeneità del galenico. D’altronde è notorio, per chiunque sappia che i retinoidi sono una classe di vitamine e provitamine e non un tipo di calze per signora o reti per la pesca del tonno, che queste sostanze sono estremamente delicate e instabili. Betacarotene ed acido retinoico, in particolare, che sono forniti dai produttori in polvere ed in confezioni sigillate, prima della miscelazione debbono essere conservati a -32° ed al buio (confronta http://www.dibellainsieme.org/discussione.do?idDiscussione=2411). Matutte queste anomalie - lasciamo al giudizio del lettore se è legittimo o no definirle incredibili - sono frutto della mente perturbata o della fantasia arrampicaspecchi di esagitati-fanatici-complottisti-fedelissimi del Metodo Di Bella, oppure hanno una base razionale e - quello che più interessa - provata? Ce l’hanno, eccome, e ognuno, ovviamente se in buona fede, può controllarlo: questa la parola magica, controllabilità! I rapporti Istisan li abbiamo già citati (e li citeremo per fatti ancor più clamorosi che esporremo poco più avanti). Ma esistono documenti acquisiti in atti giudiziari. Le carenze dei retinoidi risultarono da diverse analisi, su diversi campioni, su prodotti scaglionati nel tempo, effettuate da diversi laboratori. Lo stesso può dirsi per il citato rapporto dei due sottufficiali. Ma andiamo al sodo. Il magistrato Raffaele Guariniello, dopo avere fatto ricorso alla Corte di Cassazione, che gli dà ragione, per opporsi alla pretesa di Nannucci di avocare a sél’inchiesta, conclude le indagini, rilevando le seguenti anomalie: uso di «farmaci guasti e imperfetti» e mancato avviso, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità che ne era a conoscenza, a 50 dei 51 ospedali coinvolti nella sperimentazione. Gli imputati sono quattro: Roberto Raschetti e Donato Greco, coordinatori della sperimentazione, Stefano Spila Alegiani, responsabile dei preparati galenici, Elena Ciranni, curatrice dei rapporti con i vari centri clinici. Il reato contestato, contemplato dall’articolo 443 del Codice Penale, è di «somministrazione di medicinali guasti o imperfetti», punibile con la reclusione fino a tre anni. I quattro dirigenti ricevono «l’avviso di chiusura indagini», anticamera dell’avviso di garanzia. A questo punto i loro difensori estraggono un coniglio dal cappello, appellandosi alla Legge Carotti, ed al fatto che i galenici sono prodotti a Firenze dall’Istituto Chimico Militare. In realtà, come contesta Guariniello, l’articolo 443 non punisce laproduzione dei farmaci (eseguita a Firenze), ma la somministrazione, avvenuta - relativamente all’inchiesta da lui condotta - a Torino. Guariniello, poco sensibile a pressioni dall’alto, esce di scena, ma prima si toglie un sassolino dalla scarpa. Il 7 settembre 2000 un diffuso quotidiano nazionale (La Stampa) pubblica con questo titolo un articolo ispirato dal magistrato: «Così hanno truffato Di Bella - Guariniello accusa: farmaci scaduti e dosi sballate». Anche la prima inchiesta sulla morte di Mattei si era conclusa dichiarando che era morto per incidente aereo... e solo qualche fanatico complottista si sgolò per dire che non era un incidente, ma un attentato commissionato dalle sette sorelle del petrolio. A Firenze Nannucci ritenne attendibili le teorie per cui l’acetone non fa poi un gran male... le irregolarità erano quisquilie e... vissero tutti felici e contenti (tranne i pazienti). 7) Irregolarità di somministrazione ed altro (somatostatina e octreotide) Somatostatinaed octreotide, come ben sanno tutti i pazienti in cura, debbono essere somministrati tramite siringa temporizzata regolata tra le 8 e le 12 ore, pena altrimenti sintomi avversi (vomito, nausea, dolori addominali), e nelle ore serali. Questo era stabilito nelle intese. Nella maggior parte dei casi la somministrazione avvenne senza gradualizzare i dosaggi, tramite intramuscolare fatta in qualche minuto e di giorno. I sintomi avversi furono scorrettamente attribuiti alla terapia. Ma non è questa la sola cosa grave. A soffrire per questi effetti collaterali furono pazienti reduci dal calvario delle chemioterapie consuete, e che versavano in condizioni fisiche tanto miserevoli da dover essere in prevalenza accompagnati e sorretti da parenti ed amici. Altra chicca. Nonostante in ogni sperimentazione (o studio clinico) che si rispetti si usino rigorosamente le stesse specialità e, in aggiunta, provenienti dallo stesso lotto, in questa prova si assistette ad una costellazione di marche disomatostatina, molte delle quali di provenienza cinese o greca e di infima qualità, quando non del tutto inattiva. 8) Per quanto venne fatta la cura Leggiamo dai rapporti Istisan che l’ottantasei per cento dei pazienti (dicasi 86%) si vide interrompere il trattamento. La cura solo in pochi casi venne fatta per più di un mese. Sì, avete letto bene. Il motivo: «Progressione della malattia o tossicità». Se quindi la massa neoplastica fosse aumentata solo dell’1% contro un’aspettativa (trend di crescita) del 10% (quindi un risultato eccezionale, col sostanziale blocco della crescita), la terapia sarebbe stata interrotta. Da notare come durante l’esposizione del suo Metodo del 14 gennaio lo scienziato avesse affermato che occorrevano parecchi mesi di terapia continuativa per ottenere significative riduzioni volumetriche e/o numeriche delle lesioni tumorali. Quanto alla tossicità (provatamente inesistente)... se si dovessero interrompere i cicli di chemio per questo motivo nessunpaziente potrebbe fare più di una seduta! Rimandiamo d’altronde alle anomalie descritte prima, che spiegano ad abundantiam da cosa fossero provocate queste collateralità. Ma giova anche conoscere cosa avessero scritto i progettisti della prova... e che, per loro incredibile negligenza, trapelò: «... la valutazione del livello di tossicità è importante se si vuole evitare che il Metodo Di Bella venga riproposto come una terapia palliativa... » (documento redatto e firmato il 17 luglio ‘98 dal dottor Raschetti, cooordinatore del Gruppo di coordinamento centrale della sperimentazione, e dalla giornalista Eva Benelli). 9) Criteri di valutazione È, sotto un certo punto di vista, l’anomalia più grave. Perché, anche in caso di pazienti non moribondi ma ancora responsivi, terapia completa e non smozzicata, galenici ben fatti, ben conservati e non scaduti, somatostatina non proveniente da Bingo-Bongo e iniettata con temporizzata, eccetera, ben difficilmente sarebbe stato possibileottenere una riduzione di oltre il 50% della massa tumorale in tre mesi. A parte il criterio cervellotico e ottuso, si era di fronte ad una Terapia Biologica dei tumori e non ad una terapia Citotossica: due concezioni opposte ed inconciliabili, in quanto la prima punta primariamente al blocco della crescita, al recupero funzionale ed al potenziamento delle difese immunitarie e non dell’organismo e - naturalmente - alla graduale eliminazione della disseminazione e della volumetria neoplastica attraverso l’induzione e l’accelerazione dell’apoptosi; la seconda all’uccisione delle cellule neoplastiche attraverso la tossicità dei chemioterapici iniettati. È acquisizione pacifica, riscontrabile in tutta la letteratura scientifica internazionale, questa fondamentale distinzione tra i diversi criteri di valutazione, che ha portato anche a tenere nella dovuta considerazione il parametro (che dovrebbe essere di gran lunga il più importante) della sopravvivenza: e proprio su questo scoglio si èinfranto il talento prestigiatorio delle statistiche truffaldine. Tale aspetto valutativo lo aveva del resto ben chiarito lo scienziato, citando - a mo’ di eccezione che conferma la regola - che solo in un caso aveva registrato la scomparsa del tumore nel giro di qualche mese. In sintesi: se tutti, ripetiamo, tutti i pazienti per ipotesi avessero fatto registrare una diminuzione del 49% del tumore in tre mesi o del 51% in quattro, la terapia sarebbe stata egualmente giudicata inefficace! Quando si raccontano bugie bisogna avere tassativamente buona memoria e noi, pur non contando fole, buona memoria l’abbiamo, anche per prestarla a certi smemorati: questa precisa domanda venne rivolta al professor Cognetti nel corso di una conferenza, e la sua risposta, visibilmente imbarazzata, fu che sì, nell’ipotesi fatta, il giudizio non sarebbe cambiato. All’umanità e, in prima battuta, agli italiani, non importava un fico secco se un tumore diminuiva di oltre il 50% in meno di tre mesi (salvo,riesplodere il mese successivo...), ma interessava solo una cosa: sapere se con il Metodo Di Bella era possibile salvarsi dal cancro - in tre mesi, in un anno o in tre anni poco contava - e, in ogni caso, se si trattava di terapia efficace. Fu tradita, oltre che la verità, la speranza e l’aspettativa del mondo intero. Pensiamo non vi sia da aggiungere altro. Quanto all’osservazione dei critici a tutto campo, e cioè che questi criteri di giudizio e lo schema terapeutico fossero stati accettati dallo scienziato - replicano i distratti e torpidi osannatori della sperimentazione - ebbene, siamo in grado di contraddirli. 1) È provato od è pura invenzione l’esistenza di un documento ufficiale autografo con 8 componenti da somministrare contro i tre adoperati? Come si spiega l’esistenza di questo documento? Perché nessuno rilevò questa incompatibile diversità e chiese lumi in merito? 2) Lo stesso scienziato, alle prime notizie di irregolarità, dichiarò: «Io ho firmato solo duedocumenti: quello che ho dato al direttore generale dell’Istituto Chimico Militare di Firenze e quello che ho dato alla commissione per dire come avrebbero dovuto essere somministrati i farmaci (nostra nota: si riferisce chiaramente ai due fogli autografi, mai seguìti per la esecuzione della terapia). Sono relativi, ripeto, uno alla preparazione dei farmaci galenici, l’altro alla somministrazione e alla successione nella sperimentazione». E allora, come la mettiamo? In sintesi conclusiva è documentato che: a) lo scienziato aveva chiaramente affermato (14 gennaio) che i pretrattati non erano o erano mediocremente responsivi; b) che solo un’osservazione di medio/medio-lungo termine avrebbe consentito di cogliere miglioramenti; c) che occorrevano 7-8 farmaci più alcuni provvedimenti complementari; d) che occorrevano galenici perfetti, ben conservati e totalmente privi di solvente e) che aveva firmato unicamente le disposizioni per il confezionamento dei galenici e i duefogli autografi. Nulla di tutto questo risulta essere stato seguìto. C’è dell’altro, ripetiamo, ma lo renderemo noto in una sede diversa e con precisi riscontri documentali. 10) Pressioni psicologiche negative sugli arruolati Citiamo questa circostanza (ma ne esisterebbero molte altre) non tra i fattori dell’esito negativo, ma quale dimostrazione della scorrettezza professionale ed etica della prova. Molte testimonianze furono comunicate al ministero ed altre formarono oggetto di documentazione allegata ad esposti e denunce. Ne citiamo solo una, per l’impossibilità di dilungarci oltre: «... signora è inutile che lei si sottoponga al Metodo Di Bella, in quanto è acqua sporca e pertanto di nessuna efficacia... voi malati non dovete farvi fare il lavaggio del cervello dalla televisione e dai giornali e farvi lusingare dal Di Bella che quando appare in TV sembra un vecchietto un po’ gobbo e tanto simpatico... Comunque il vostro caso non rientra nella sperimentazione in quanto noi laapplichiamo solo su malati terminali che abbiano solo sei-sette settimane di sopravvivenza» (da lettera inviata alla Direzione Sanitaria dell’Ospedale Sacco di Milano, Ufficio Relazioni con il Pubblico, in data 11 marzo 1998: la signora era interessata da due tumori, un carcinoma mammario ed un adenocarcinoma primitivo polmonare con versamento pleurico. Aveva fatto, senza alcun esito, 6 cicli di chemioterapia. Ma, evidentemente, fu giudicata in troppo floride condizioni per entrare nella sperimentazione!!!). Ci fosse nel lettore qualche dubbio residuo sulle condizioni degli arruolati, ecco un’eloquente risposta. Risultati veri e risultati dichiarati: quello che fu dichiarato e quello che fu occultato. La stroncatura del British Medical Journal Il 13 novembre 1998 ci fu la proclamazione dei disastrosi risultati. Grafici, lucidi, torte colorate mozzano il respiro. Anche se, viene detto alla stampa, non si è fatto in tempo a presentare il testo definitivo (come mai tantaprecipitazione???): i morti, si inizia a dire, sono il 90% degli arruolati... poi, ad una domanda di un giornalista e dopo affannoso rivoltar di carte, Donato Greco dice che no... si sono sbagliati... si tratta della somma tra i decessi e le progressioni di malattia... Poi: i deceduti sono il 57%... ma nemmeno questa cifra è esatta. Infatti - piccola dimenticanza, non sono stati disaggregati coloro che avevano interrotto la terapia il 21 luglio! Facendo correttamente il calcolo disaggregato, la mortalità risulterebbe del 25%. Prima 90%, poi 57%, infine 25%: non c’è male per uno «studio rigorosamente scientifico». Le risposte parziali sono solo tre (e un numero così alto, considerato quanto abbiamo visto, lascia a bocca aperta): non perché si tratti di 3 su 386, ma in quanto pazienti in condizioni terminali o semiterminali hanno fatto registrare una diminuzione di oltre il 50% della massa tumorale. I casi definiti stabili (meno del 50% di riduzione) sono 47: ed anche questo meraviglia.Gli arruolati - non dimentichiamolo - avevano una vita residua massima di tre mesi, e avrebbero dovuto essere tutti morti. Nessuno lo notò, nessuno lo fece notare. Con enorme fatica, di fronte ad un microfono che misteriosamente gli sgusciava davanti gli occhi... il professor Stefano Iacobelli, direttore del Centro Oncologico di Chieti, riesce a prendere la parola: «… dopo sette mesi, il tumore è regredito di oltre il 50%. Era un tumore molto esteso e inoperabile, quindi sarebbe stato impossibile avere successo con altre cure... ». Si trattava di un carcinoma del pancreas, per il quale non si conoscono sopravvivenze. Filtrò, ma non in quella sede, che diversi pazienti, capita l’antifona, avevano acquistato i galenici presso farmacisti preparatori validi. Dopo scene da Sarah Bernhardt, con strappamento di capelli per il dispiacere che la prova si fosse conclusa negativamente, i baldi sperimentatori attesero che le inchieste in corso seguissero l’alveo pretracciato. Nonostante ilparziale incidente di un disobbediente Iacobelli ... tutto era andato come da copione. Espressione polemica, questa? Prima di dare giudizi, è bene leggere quanto aveva scritto Raschetti nel documento prima citato: «Nella maggior parte dei casi i pazienti in trattamento non hanno valide alternative terapeutiche... Occorre opporsi alle reazioni scomposte, bugiarde e violente dell’entourage Di Bella... I dati relativi alla mortalità non potranno essere utilizzati per una valutazione della sopravvivenza, rientrando questo tipo di informazione nella sfera della valutazione di efficacia per la quale occorrerebbe avere un gruppo di controllo... Circa i casi di ‘stabilità’ dei pazienti… questi casi non possono rientrare tra i dati da considerare come indicativi di attività, ma pongono comunque un problema di comprensibilità da parte di un pubblico non specialistico (una malattia stabile è quantomeno un episodio non negativo)... La comunicazione al Paese attraverso i media dovrà esseresemplice, precisa e senza smentite. Non ci deve essere spazio per cambiamenti di rotta, revisioni, retromarce. A tal fine si ritiene necessario predisporre dei testi scritti e decidere chi, ed in quale sequenza, dovrà intervenire alla conferenza stampa. Luigi Di Bella ha acquisito presso l’opinione pubblica l’immagine di studioso onesto ed estraneo rispetto al sistema ricerca, ma proprio per questo potenzialmente geniale. ... Luigi Di Bella non è un nemico da sconfiggere bensì un ricercatore da confutare. ... La presentazione vera e propria dei risultati dovrà essere affidata ad una rosa di nomi ristretta e qualificata... Per la sua capacità di tradurre il linguaggio scientifico ed il grande seguito di popolarità di cui dispone, una figura come quella di Piero Angela può svolgere un ruolo chiave nella gestione di questi primi risultati della sperimentazione... ». C’è da rimanere sbigottiti, pensando, fra l’altro, che questi alati pensieri e suggerimenti erano stati vergati nel luglioprecedente, nel bel mezzo della prova. Come si faceva a pensare alle reazioni «scomposte e bugiarde e violente dell’entourage Di Bella»? Come mai, già allora, preoccupavano i casi di stabilità? E come leggere quel «Non ci deve essere spazio per cambiamenti di rotta, revisioni, retromarce»??? I destinatari dell’avvertimento (Iacobelli in primis) dovevano fare il saluto nazista e urlare Sieg Heil? Un vero gioiello la faccenda del professor Di Bella, che bisognava indicare non come un «nemico» - come, in effetti, lo vedevano - ma un «ricercatore da confutare». Chi sostiene ancora la validità di questa truffa dovrebbe sentire il dovere di emigrare. Ma c’è dell’altro: non è finita. Qualche mese dopo i brindisi per la sconfitta del «nemico», arrivò una batosta i cui effetti non risultarono devastanti solo grazie alla normalizzazione che era stata attuata sui mass media. Uscì infatti un editoriale (non un semplice commento) sul British Medical Journal (il solito guastafeste...) firmato dalprofessor Marcus Müllner, dal titolo profetico: Di Bella’s therapy: the last word? (Terapia Di Bella: l’ultima parola?). Chi vuole andarselo a leggere può farlo tranquillamente (BMJ, 1999; 318:208). Siccome i critici del Metodo Di Bella sono affetti da grande distrazione, dato che dimenticano l’episodio del British Medical Journal (oppure se ne ricordano, ma solo per la pubblicazione dello studio, dimenticando le critiche) sarà bene gettarci l’occhio, seppure di volata. «Lo studio che pubblichiamo oggi e che è stato già riportato dalla stampa, ci dice che il trattamento è inefficace e tossico. Questo studio, tuttavia, avrebbe potuto essere progettato meglio. ... il trattamento è stato interrotto nell’86% dei pazienti a causa di progressione della malattia, tossicità o morte. Il nostro parere è che la maggior parte dei clinici giudicherà convincente questa sperimentazione, ma essa non è perfetta. Noi non siamo in grado di sapere se i pazienti fossero rappresentativi, né sappiamo se icontrolli avrebbero risposto meglio oppure peggio. I ricercatori avrebbero dovuto condurre la sperimentazione con studi controllati e randomizzati. Perché questi studi non sono stati randomizzati? ... I motivi che vengono addotti a giustificazione della non randomizzazione dei pazienti sono la difficoltà del reclutamento, i costi, il tempo e ragioni di ordine etico. Le difficoltà nella randomizzazione-reclutamento sono ragioni deboli... Gli autori della ricerca sostengono che i pazienti non sarebbero stati forse d’accordo a far parte di gruppi di controllo-confronto con diversi trattamenti in modo randomizzato. Ma è veramente così? Poiché molte migliaia di pazienti avevano richiesto la multiterapia Di Bella, alcune centinaia avrebbero consentito a partecipare ad una sperimentazione randomizzata e controllata. Indiscutibilmente sarebbe stato meglio valutare la terapia Di Bella in un minor numero di tipi di cancro, ma c’era evidentemente l’urgenza di valutare l’attività del trattamentoin una vasta tipologia di tumori. Gli autori sostengono inoltre che non avrebbero potuto condurre studi randomizzati per ragioni etiche, ma queste ragioni etiche non sono chiare. In realtà, si potrebbe affermare che è proprio il progetto scadente di questo studio a non essere etico. Il tempo è stato forse il fattore più influente, poiché c’era una forte pressione dell’opinione pubblica sul ministero della Sanità italiano affinché fosse chiarito al più presto questo problema. Il progetto di questa sperimentazione è fallace». C’era da ammazzare un elefante. Certi passi spiegano forse l’epidemia della citata distrazione. Somma poi la distrazione nei confronti di un successivo articolo, nella edizione on line del British Medical Journal, firmata da J. L.Reyes, che ribadisce l’insignificanza di uno studio non randomizzato: «Compared to what?» (Confrontato con che cosa? - PhD Physiology, British Medical Journal on line, 22 gennaio 1999). Questa la conclusione: «Tutto porta a pensare chela ricerca tendeva alla erezione di un fantoccio che potesse essere facilmente demolito. La mala scienza vince di nuovo». Può bastare? E invece no, perché i redattori del British Medical Journal, che qualche anno dopo si sarebbero liberati il fegato pubblicando il celebre studio (ignorato dai mass media) che ha smascherato le truffe statistiche (29% di sopravvivenza a 5 anni) ancora non erano a conoscenza di un altro dato clamoroso. La fonte - si badi bene - non è dibelliana, ma ufficiale: a fronte di una previsione di vita inferiore ai tre mesi, alla data del 15 giugno 1999, e cioè ad oltre 14 mesi dall’inizio della sperimentazione, risultavano in vita ottantotto pazienti, il 23% del totale. Per essere più chiari: rispetto allo zero per cento di possibilità di arrivare vivi a tre mesi dall’arruolamento, dopo un anno e due mesi 88 malati su 386 erano in vita! Nonostante tutto!!! Questa avrebbe dovuto essere la notizia da megafonare in tutto il mondo! Venne data nel corso di unatrasmissione TV della RAI e poi mai più ripresa. Quali le risposte degli sperimentatori? ... ma... lo studio non prevedeva... di valutare la sopravvivenza...! Sì, avete compreso bene, non sono nostre forzature. Oggi si continua ancora a sostenere che la sperimentazione dimostrò l’inefficacia del Metodo Di Bella e che fu condotta a regola d’arte! Non c’è dunque da meravigliarsi di tutto quello che abbiamo visto nelle precedenti puntate, e nemmeno che si continui a morire di cancro esattamente come succedeva dieci, venti, trent’anni fa. Non c’è spazio per distinguo o salti mortali da acrobati da circo. L’unica cosa onorevole da fare sarebbe tacere o ammettere di non sapere come siano davvero andate le cose. Avevamo parlato del concetto di scientificità e precisato che un presupposto fondamentale, vera colonna portante, è l’assoluta e meticolosa riproduzione del fenomeno sperimentale. Ognuno è in grado di valutare che tutte le condizioni, tutti i parametri sono stati diligentementetraditi e stravolti. Di scientifico, nella sperimentazione del 1998 rimane solo la sua antiscientificità, considerata la certosina adozione di tutte quelle misure che potessero compromettere il risultato e impedire che emergesse la verità. Ne risulta pertanto una clamorosa, scandalosa, assoluta e dolosa inattendibilità e, ripetiamo ancora, antiscientificità. Conclusione Il nostro fine era quello di informare di quanto non si vuole che i cittadini vengano al corrente. Non era nostro intento demonizzare nessuno né sparare nel mucchio. Oggi come ieri (anche se meno di ieri) esistono medici che onorano la professione e la società per le doti di intuizione, perizia, attaccamento al dovere, passione. Le case farmaceutiche non erano Belzebù: ma è stato loro consentito, in molti casi, di diventarlo. Hanno lavorato ed ancora lavorano in queste aziende, multinazionali o locali che siano, chimici e biologici di grande valore, che sarebbero perfettamente in grado di approntare farmaci dipregevolissima ideazione e di grande efficacia, così come hanno fatto in passato e come, in misura assai inferiore, è loro consentito di fare tutt’oggi. Non è loro la responsabilità del malcostume - che non di rado sconfina nel crimine - passato in rassegna. Le aziende farmaceutiche - abbiamo letto in dichiarazioni di autorevolissimi esperti del settore - sono ora nelle mani non di tecnici, ma di speculatori della peggior specie, che opprimono e condizionano i loro esponenti scientifici così come opprimono, corrompono, degradano istituzioni sanitarie e interi governi. Ma la colpa non è delle case farmaceutiche, bensì di chi ha consentito e consente loro di allungarsi a soffocare come piovre l’intero tessuto sociale, politico e statale delle nazioni più avanzate. Perchè sono state colonizzate dai più cinici poteri finanziari, quelli che dominano il mondo. Quali i rimedi? Alcuni autori che abbiamo letto e citato parlano di iniziative che stanno nascendo per regolamentare in misura piùefficace l’editoria scientifica e la pratica medico-ospedaliera. Personalmente siamo assai scettici in merito. E, per di più, non nascondiamo il nostro accorato avvilimento per l’immensità del male che è stato fatto e si continua a fare - certo, in primis - a chi soffre; ma in modo particolare per l’estrema difficoltà di risalire la china, correggere storture ormai pluridecennali, restituire dignità ed autorevolezza all’insegnamento scientifico, alla medicina praticata, alla ricerca. Ma una nuova classe di docenti non si improvvisa: occorrono almeno due generazioni. Ammesso che si potessero subito prendere gli energici provvedimenti indispensabili, cambiare completamente i programmi di studio, a partire da quelli propedeutici al corso universitario, recuperata una classe docente finalmente degna, eliminate decine e decine di specializzazioni assurde quando non ridicole, occorrerebbe attendere un’altra generazione ancora per avere medici degni di questo nome. Medici liberi,responsabili ma liberi, restituiti alla loro dignità, affrancati dall’avvilente impiegatizzazione, da diktat di corrotte istituzioni sanitarie, da linee guida che sono l’insulto più atroce alla logica medico-scientifica e salvati dall’annichilimento di qualsiasi anelito per il progresso della vera medicina, sia essa sperimentale o clinica. Questa rivoluzione deve partire - si fa per dire - dal basso, pretendendo che il medico di base faccia il medico, visiti, prescriva razionalmente, senza altro vincolo che la propria scienza e coscienza: non che, atrofizzato nelle sue conoscenze e capacità, si riduca a smistatore di assistiti verso il Pronto Soccorso, reparti ospedalieri, cliniche private. Il medico ospedaliero, quando convinto del proprio ruolo, sarebbe così alleggerito da un continuo e logorante esame di casi che un modesto ma coscienzioso medico condotto di montagna di cinquant’anni fa avrebbe diagnosticato e curato in tutto riposo. Avrebbe finalmente il tempo di visitare come sideve visitare; e di studiare. Perché la laurea in medicina insegna sì molte cose: ma quella più importante è che rende consapevoli della propria ignoranza (ignoranza forzata, di fronte a quello che si dovrebbe sapere) e mette in condizione di cominciare a studiare sul serio. Altrimenti tanto varrebbe sostituire medici in carne ed ossa con computer adeguatamente programmati (magari con una bella copertina bianco-camice) e... perchè no, accessibili con carta di credito, bancomat e codice sanitario: ci sarebbero probabilmente diagnosi più affidabili e terapie più consone; e si risparmierebbero milioni. La nostra è una battuta-non battuta, perché, grazie a Dio solo in una consistente percentuale di casi, forse non nella maggioranza, il medico-tipo evoca oggi il titolo di un celebre dramma di Pirandello «Come tu mi vuoi». Analogo cammino a ritroso deve essere fatto per la ricerca, puntando al recupero del concetto di scientificità. Scientifico è ciò che può essere verificato riproducendolo stesso fenomeno nelle identiche condizioni. Il cancro della ricerca contemporanea è che si studia e si sperimenta solo in vista di un utile d’impresa. Il razionale è oggi una Cenerentola, messo insieme in quattro e quattr’otto, prima di passare a sedicenti studi clinici che nessuno mai (o quasi mai) controlla e nessuno può eseguire senza disporre di mezzi imponenti: riservati ad associati al sistema. La tragedia è che, sbiadendosi la vera nozione di scientificità, questa è stata ridotta ai proclami di chi dispone dei megafoni dell’editoria e dei mezzi d’informazione. In altre parole, tutto riposa sulla parola di caste medico-farmacologiche. Come si fa a controllare? Bisognerebbe disporre di risorse immani, ma soprattutto di medici, biologi, chimici moralmente integri e liberi da condizionamenti. Chi controlla i controllori? Così è possibile dire tutto e il contrario di tutto. Uno studio recita che la tale sostanza nell’ics per cento dei casi ha una certa azione (o non ce l’ha):ma si va a vedere come è stato condotto, si controlla l’omogeneità dei pazienti, si verifica se i casi negativi sono stati esclusi e quelli dichiarati positivi non siano artefatti? Senza un organismo dimostratamente autonomo da sirene che cantano in dollari o in euro, che controlli sistematicamente criteri clinico-sperimentali e risultati, che impedisca pubblicazioni senza tale preventivo e rigoroso (e ripetuto) controllo, si continuerà a ciarlare di guarigioni inesistenti, di farmaci prodigiosi - anche se tossici ed inefficaci - e si drogheranno i cittadini lecitamente e impunemente con sostanze che gradualmente, fatalmente, creano in loro dipendenza, obnubilamento mentale e morale, arrendevolezza, perdita del senso critico. Già lo dimostrano le cronache nere quotidiane. Senza una reazione netta e intransigente, si avvicineranno sempre di più i panorami angosciosi descritti nel 1984 di George Orwell. Occorre restituire la ricerca ai veri ricercatori, sottraendola alle imposizionidegli speculatori; e restituire la medicina ai veri medici, strappandola di mano a commissioni sanitarie incolte e corrotte che umiliano l’elevatissima funzione del medico e gli impongono cosa e come prescrivere. Per ottenere questo deve cambiare un intero mondo. La logica della fazione - faziosa in tutto - deve cessare. Divide et impera: un motto che tutti dovremmo ricordare. La famiglia deve tornare ad essere la famiglia, la scuola la scuola, l’arte l’arte, la cultura cultura. Senza confusioni di ruoli e rispettando la vera libertà: che è quella per cui l’uomo può pensare e non imitare, imparare e non ripetere slogan, migliorare se stesso e dare un sentito contributo ai propri simili. Recuperare il senso della vita significa anzitutto questo. L’individuo non deve essere preso in considerazione solo quando indossa la veste di contribuente, consumatore, elettore, utente e l’invasività di un mercato sboccato, senza limiti, invasato dalla libido del guadagno e del successo, devevenire contrastata, controllata, abbattuta, fatta inginocchiare energicamente ai piedi delle esigenze dell’uomo e della civiltà. Quest’ultima deve tradere, cioè consegnare in una triste ma motivante staffetta il bastone della saggezza e dell’esperienza da una generazione all’altra. Si costruisce solo sopraelevando su solide fondamenta, non sul vuoto. Tagliare e dimenticare il passato è l’’egida della barbarie e dell’oppressione. Si riuscirà in tale intento? Esistono forze ed uomini che hanno deciso di dedicare la loro esistenza al salvataggio dell’umanità? Lo speriamo con tutta l’anima, più che per noi, per i nostri figli, nipoti, pronipoti. L’auspicio è che un domani sempre più persone possano concludere la loro esistenza potendo ripetere quello che scrisse Luigi Di Bella pochi mesi prima di chiudere gli occhi per sempre: «L’animo mi dice tuttavia che non sono vissuto inutilmente, perché ho fatto del bene ed ho gioito per il bene fatto».disinformazione.it
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