Altro che equità. Gli interventi sul sistema previdenziale concordati con l’Europa dal presidente del Consiglio Mario Monti, servono solo a fare cassa sulla pelle dei pensionati. E’ unanime l’altolà dei sindacati dopo avere letto ieri sulle prime pagine dei giornali i contenuti di una riforma che, secondo i calcoli, dovrebbe fruttare, in termini di spesa pubblica, dieci miliardi di euro all’anno di risparmi. Dalla stretta sull’anzianità (per lasciare il lavoro 40 anni di contributi potrebbero non bastare più) all’accelerazione del percorso di parificazione a 65 anni dell’età di vecchiaia tra uomini e donne nel settore privato, passando per il blocco dell’adeguamento della pensione al costo della vita (sia pure con l’esclusione degli assegni più bassi): questo è ciò che bolle nella pentola del governo tecnico. Una minestra indigesta dal punto di vista sociale, ma soprattutto sbagliata sul piano economico «perchè colpisce - spiega la Cgil - le fascepiù deboli, già impoverite dalla caduta del potere d’acquisto di salari e pensioni, con effetti anche sulle condizioni generali del Paese segnate dalla caduta dei consumi e delle dinamiche recessive in atto». Una scelta perciò contraddittoria rispetto al principale obiettivo programmatico dichiarato da Monti nel suo discorso alle Camere, ossia rilanciare la crescita, l’unica vera medicina per abbattere il debito pubblico e rassicurare i mercati sulla solvibilità dell’Italia nel medio-lungo termine. Invece, secondo queste indiscrezioni, a pagare saranno ancora una volta i lavoratori, mentre i ricchi, nella peggiore delle ipotesi, se la caveranno con una minipatrimoniale che - anche qualora riuscisse a superare il veto posto dall’ex premier Silvio Berlusconi - sarebbe appena del due per mille sulle ricchezze oltre un milione e mezzo di euro. In pratica, «chi ha due milioni di euro in banca - ironizza Giorgio Cremaschi, leader di Rete 28 Aprile - pagherà la spaventosa tassa di milleeuro». Monti ieri ha di nuovo fatto appello «al senso di urgenza e responsabilità» dei partiti e delle forze sociali: «Se l’Italia manca questo passaggio o fa meno di quello che si attende - ha ammonito il presidente del Consiglio - le conseguenze sarebbero molto gravi per tutti». Il classico "al lupo, al lupo" che, tuttavia, non può spaventare chi, al di là degli interessi che rappresenta, da tempo sostiene che sono altre le ricette di cui il Paese ha bisogno. «Credo che il governo debba sapere che 40 è un numero magico intoccabile», commenta da Bologna la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, attirando su di sé l’ironia del vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei: «Camusso forse rimpiange i suoi 40 anni, l’età pensionabile deve crescere». Questa volta però la Cgil non è isolata: «Innalzare la soglia dei quarant’anni? Sarebbe ingiusto - afferma il leader della Uil Luigi Angeletti - i lavoratori non avrebbero nessun aumento alla pensione; lavorerebbero gratis. E’un obolo, una donazione alle casse pubbliche». Ciò non vuol dire che non ci sia nulla da fare per rendere più equo il nostro sistema previdenziale. «I privilegi e le disparità - spiega la segretaria confederale della Cgil Vera Lamonica - non sono legati al lavoro dipendente e vanno affrontati sul serio e non solo con misure che avrebbero puro valore simbolico, come ad esempio la parificazione delle aliquote per il lavoro autonomo, che va effettuata per tutta la platea ed in misura adeguata, o i vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali, tema sul quale intravediamo un segno positivo che va esteso e concretizzato». Almeno su questo tema, la Cisl sembra parlare la stessa lingua della Cgil. Infatti anche il segretario confederale Maurizio Petriccioli propone di completare «l’armonizzazione delle regole dei diversi regimi pensionistici, a cominciare da quelli che si applicano ai politici», e di ridurre «la forbice contributiva che ancora sussiste fra il lavoro dipendente edindipendente». Sul versante politico, Monti dovrà fare i conti con il dissenso annunciato della Lega («L’aumento dell’età pensionabile penalizza i giovani in cerca di lavoro»), e quello probabile dell’Idv («ll blocco dell’adeguamento di tutte le pensioni all’inflazione è iniquo», dichiara Silvana Mura). Cammina sulle uova come al solito il segretario del Pd Pierluigi Bersani: «Sulle pensioni ci sono cose sulle quali potremmo essere d’accordo, altre no», si limita a dire. Ma soprattutto a non dire. Paolo Ferrero, segretario del Prc, ha invece le idee chiare: «Contro il taglio delle pensioni serve lo sciopero generale e noi - assicura Ferrero - siamo impegnati a costruire la più forte opposizione sociale e l’unità della sinistra». Roberto Farneti
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