L’"equa" buonuscita di Mr Finmeccanica
 











Dammi tre parole: rigore, crescita, equità. Come nel tormentone di qualche estate fa, il premier Monti ripete il suo mantra dal giorno dell’insediamento a Palazzo Chigi. Anzi, già da prima. E, per non sbagliare, lo ripetono all’unisono i suoi ministri, come fosse un marchio di fabbrica o un’etichetta di qualità. Tre paroline magiche che dovrebbero, come per incanto, trasformare l’Italia da cenerentola in principessa al solo pronunciarle.
Come si concili questo mantra con la vicenda Finmeccanica (di cui lo Stato è azionista al 30%) resta però un mistero. Resta soprattutto un mistero cosa c’entri con l’equità liquidare ad un manager, costretto alle dimissioni da uno scandalo di tangenti e parentopoli, la bella cifra di 5 milioni e mezzo di euro (quattro di liquidazione vera e propria e un e mezzo di "patto di non concorrenza" che gli verrà versata tra un anno). Che al diretto interessato, Pier Francesco Guarguaglini, la cosa non scandalizzi più ditanto non sorprende: «Non mi sembra una mega liquidazione, se uno pensa che Alessandro Profumo ne ha presi quaranta». Beh certo, il paragone effettivamente non rende. Ma cosa dovrebbe dire, allora, un qualsiasi dipendente Finmeccanica che per arrivare alla "piccola" liquidazione dovrebbe mettere insieme oltre duecento anni di stipendio?
Ma questo è persino niente (si fa per dire) rispetto al fatto che dopo nove anni di cura Guarguaglini l’azienda, pur tra le maggiori al mondo, ha un rosso di un miliardo, le azioni sono in caduta libera (hanno perso il 60% in un anno) ed è già pronto un piano di tagli, dismissioni, chiusure e ridimensionamenti che non saranno indolori per i lavoratori. Basta guardare al caso Alenia (del gruppo Finmeccanica): l’ultimo accordo mette in cassa integrazione oltre 400 persone, che seguono le 500 di un precedente accordo biennale. Totale: 900 persone a spasso.
E questa la chiamano equità? Proprio mentre per i comuni mortali si annunciano rasoiate asalari e pensioni, il governo delle-tre-parole si è messo lì a trattare per la buonuscita di un manager indagato per false fatturazioni (lo è anche la moglie, Marina Grossi, a capo della Selex, sempre del gruppo Finmeccanica), il quale non ne ha voluto sapere di dimettersi proprio per non perdere la ricca liquidazione spettante in caso di risoluzione anticipata del contratto. E pazienza se Finmeccanica si era trasformata nel bancomat dei partiti (come dice Travaglio) e se, come racconta l’inchiesta di Panorama, si sono sprecate le assunzioni di figli, mogli, sorelle, fratelli, nuore e generi di questo e quel vip, di questo e quel politico. E questo, Mr Monti, lei lo chiama rigore? A Guarguaglini lo hanno pure «sentitamente ringraziato», laddove costringerlo a dimettersi invocando la giusta causa sarebbe stato il minimo aspettarsi da un governo che dice di voler essere rigoroso ed equo.
Macché. Ricoperto d’oro il presidente, al suo posto arriva con pieni poteri l’amministratoredelegato, Giuseppe Orsi, in perfetta continuità con la gestione Guarguaglini. Uno messo lì dalla Lega e che, per eseguire gli ordini del gran capo Bossi, si è messo a spostare le sedi romane dell’azienda al Nord (ai più sfugge la strategia produttiva connessa alla decisione), ma soprattutto ha in testa di (s)vendere le aziende "civili" (gioiellini come Ansaldo, soprattutto), per concentarsi su aeronautica e armi (mercati sempre ricchi e appetitosi). E (scommettiamo?) a farne le spese saranno ancora una volta i lavoratori. Così anche la parola crescita è sistemata.
Insomma, non si può dire che alla prima prova, il governo Monti abbia saputo rispettare la regola aurea che lui stesso si è dato. E, ahinoi, ne avremo ulteriore conferma lunedì quando il consiglio dei ministri varerà le misure anti-crisi. Contro la decisione di pagare cinque milioni e mezzo di euro a Guarguaglini adesso è un coro. Zingaretti (Pd): «Buonuscita vergognosa»; Fassina (Pd): «Sospenderla»; Granata (Fli):«Vergogna»; Belisario (Idv): «Bloccare i soldi»; Pezzotta (Udc): «Scandaloso»; Merlo-Esposito (Pd): «Fornero batta un colpo». Chissà se il professor Monti è uno di quelli capaci di tornare sui suoi passi. In fondo gli conviene: la luna di miele con i cittadini ancora non è finita, ma se domani l’incantesimo si rompe, chi lo proteggerà dai veti incrociati dei partiti in parlamento? A meno che l’irreprensibile ex commissario europeo non sia già finito nella ragnatela del «sistema Golden share» come lo chiama il radicale Maurizio Turco, inteso -non già come riserva di controllo da parte dello Stato ma come riserva di caccia della partitocrazia. Che è viva, non sta tanto bene, ma continua a rapinare-. Romina Velchi









   
 



 
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