Rischia di trasformarsi in un incubo collettivo: il comune di Taranto è insolvente, ormai da giorni, con la banca Opi (istituto del gruppo San Paolo-Imi). La prima rata, pari a nove milioni di euro, è già scaduta il 23 novembre mentre a dicembre, in scadenza, ce n'è un'altra da 25 milioni. Per la prima volta nella storia italiana un'amministrazione pubblica potrebbe fallire. E infatti: il primo dicembre è stato organizzato un vertice a Palazzo Chigi, che sarà coordinato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta. E se Taranto fallisse, le ripercussioni potrebbero toccare il resto d'Italia: sul mercato finanziario regioni, province e comuni hanno già accumulato debiti per 100 miliardi di euro. In media ogni anno ne accumulano circa 15 miliardi. L'insolvenza di Taranto potrebbe far crollare il rating generale: per la prima volta nella storia, in Italia, un'amministrazione pubblica avrebbe dimostrato di poter fallire; il rischioper chi investe s'eleverebbe di colpo, e con il rischio s'alzerebbe anche il tasso d'interessi sui mutui. Per tutte le amministrazioni d'Italia. Gli uffici legislativi di Palazzo Chigi e dei ministeri dell'Interno e dell'Economia stanno lavorando a stretto contatto per evitare questo effetto domino, e non è escluso che a breve termine sia varata una norma ad hoc per impedire il disastro. Secondo fondate indiscrezioni, inoltre, il governo sta cercando di chiudere un accordo con le banche creditrici, proponendo di risolvere il problema tarantino in via extragiudiziaria, puntando su un mutuo a lunghissimo termine, forse quarantennale, che prevede anche la vendita del patrimonio pubblico. Ma è davvero possibile che un Comune fallisca, esattamente come un'impresa commerciale? L'abbiamo chiesto a Francesco Boccia, responsabile del dipartimento economico di Palazzo Chigi, inviato a Taranto in qualità di commissario liquidatore. «Sul piano giuridico», spiega Boccia, «l'equivalente delfallimento già esiste, a causa del dissesto, stimato in 350 milioni di euro e destinato a salire fino alla fine dell'anno. Ma un Comune non è un'impresa. E infatti mentre l'impresa con il fallimento di fatto muore, un Comune con il dissesto non può e non deve morire: perché l'erogazione dei servizi e il soddisfacimento dei bisogni umani non possono e non devono terminare». Un Comune non può e non deve morire, né può terminare l'erogazione dei servizi ai cittadini, ma il fallimento, per il mercato finanziario, esiste eccome. Se il Comune non paga risulta insolvente, e siamo al crack. La differenza tra dissesto e fallimento finanziario c'è, ed è sostanziosa, e infatti l'agenzia di rating Fitch potrebbe dichiarare che il Comune di Taranto, per i mancati rimborsi di mutui e prestiti, è entrato nella classe «default»: fallito. Come l'Argentina nel 2001. «Se ciò avvenisse - continua Boccia - passerebbe il concetto che anche un Comune, e quindi la pubblica amministrazione, possanofallire» Questo avrebbe ripercussioni serie, più in generale, anche sul mercato finanziario. Le agenzie, per esempio, potrebbero rivedere il rating di tutti gli altri comuni. «In teoria è possibile», prosegue Boccia. «Il rating attuale parte dal presupposto che il fallimento finanziario di un'amministrazione pubblica, in Italia, non sia possibile. Stiamo facendo di tutto per evitarlo, con un coordinamento molto stretto tra gli uffici legislativi di Palazzo Chigi, del ministero dell'Interno e dell'Economia: sono convinto che ci sarà una risposta costruttiva. E anche in tempi brevi. Inoltre vorrei tranquillizzare tutti gli operatori, perché non sono in discussione le rate dal primo gennaio 2007, fino alla scadenza, ma solo quelle che decorrono dal 18 ottobre, data del dissesto, fino al 31 dicembre. Lo ripeto: il problema è giuridico e ci stiamo lavorando». E se Boccia fa di tutto per gettare acqua sul fuoco, il punto nevralgico resta lo stesso; se Taranto fallisse, l'Italia cirimetterebbe centinaia di milioni di euro. Il ricorso alle banche, da tempo, è uno strumento a disposizione di regioni, province e comuni per autofinanziarsi. Se oggi il fallimento travolgesse Taranto, domani potrebbe travolgere altri comuni: l'Italia intera, per le agenzie di rating, sarebbe un territorio rischioso. E il rischio si paga: indebitarsi, per qualunque amministrazione, costerebbe - in termini d'interessi - molto di più. Più alto il rischio d'insolvenza, più stringenti le garanzie richieste, più elevati i tassi d'interessi. E non solo. A quel punto, per le amministrazioni che già ricorrono al mercato finanziario, potrebbero lievitare gli interessi sui debiti già maturati. Ecco perché salvare Taranto (dal fallimento) è diventata una missione prioritaria. Per ora Taranto è al livello «Junk Bond». Letteralmente significa: «Debito spazzatura». Sulla città jonica, oltre questo mostruoso debito spazzatura, pende anche un'altra triste sigla, la «C», e così Taranto ènell'anticamera del «default» che significa, appunto, fallimento. E come se non bastasse Boccia annuncia che i 320 milioni di debito sono stimati per difetto: «La stima definitiva - dice - potremmo stilarla solo nella prima settimana di gennaio: tutti i debiti acquisiti fino al 31 dicembre rientreranno nel dissesto». Un esempio? Le bollette del palazzo di città. Oppure l'acqua: in questi giorni l'Acquedotto pugliese ha dichiarato di essere creditore per ben 13 milioni di euro. Ma come s'è potuto arrivare a questo punto? «Questo dissesto - continua Boccia - si caratterizza per un'alta propensione alla spesa. Inoltre sono state sottostimate le entrate: non c'era attenzione nel recupero dei crediti. Se un tarantino era insolvente, insomma, non è che il Comune si scapicollasse per farsi pagare». Altro particolare che fa riflettere: il servizio di riscossione dei tributi era completamente esternalizzato. Certo, Taranto non è l'unico comune ad aver adottato questa soluzione, ma ilrisultato? Il comune perde il controllo sui contribuenti, non ne conosce più neanche il profilo. E se manca l'attenzione pubblica, sul recupero dei tributi, si lascia al privato la possibilità di gestire come vuole. Volendo pensar male, gli si lascia anche la possibilità di stabilire chi paga subito e chi, invece, mai. E' lo stesso Boccia a sottolineare che, a volte, la pubblica amministrazione si trasforma in una mucca da mungere. Ma esclude, per quanto ha potuto verificare, che dietro il dissesto esista una vera e propria regia. La procura di Taranto, nel frattempo, ha già stilato un lungo elenco d'indagati: venti persone. «Se dovessi cercare un comune denominatore», continua Boccia, «potrei rinvenirlo nella scarsa attenzione per la cosa pubblica. Molti investimenti pubblici, per esempio, sono stati programmati senza un'adeguata copertura finanziaria. Certo: gli appalti servono alla città, ma anche a chi preme per averli, e allora s'è ricorso ad anticipazioni, a operazioni pocoortodosse. Il prestito obbligazionario, per esempio, da un lato è servito a rinegoziare il vecchio debito, dall'altro a lanciare nuovi investimenti pubblici. Ma ben 70 milioni sono serviti per la spesa corrente». E cioè: Taranto s'è indebitata per pagare gli stipendi della pubblica amministrazione, le bollette, la minima manutenzione. Non ci si arriva di colpo: «C'è voluto almeno un decennio», continua Boccia, «non si arriva a queste cifre in pochi anni. Adesso ci tocca affrontare un percorso doloroso e complesso». Le tre parole d'ordine lanciate da Boccia, nel giorno dell'insediamento a Taranto, sono state: trasparenza, legalità ed efficienza. «Serve trasparenza», conclude, «perché questo deve essere il codice di comportamento della pubblica amministrazione. Serve legalità perché la nostra attività di liquidatori si incrocerà, inevitabilmente, con le indagini della magistratura. E servirà efficienza, perché la città ha bisogno di risposte veloci. Tra passato e futuro c'è unafrattura: questo vuoto va riempito con la presenza delle istituzioni». Ora i commissari liquidatori dovranno censire la massa passiva, relativa ai debiti contratti dal comune di Taranto fino al 31 dicembre 2006. I creditori, invece, potranno chiedere, dai primi giorni di gennaio 2007, d'essere ammessi allo stato passivo. Resta l'incubo delle rate scadute. E l'Italia ha qualche ragione per tremare. Intanto il governo sta lavorando alacremente. E la vicenda ormai sta facendo scuola, sia sui mercati finanziari italiani, sia su quelli internazionali. da Il manifesto
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