Un anno fa, o poco più, su queste pagine elettroniche parlando del Governo Berlusconi, avevo osservato che ormai non si poteva neppure più parlare, marxisticamente, di “comitato d’affari della borghesia”, e che si era al cospetto di una banda di malfattori al potere. Se ripenso a quella banda, alla sua laida sfrontatezza istituzionale, alla mia (e di milioni di concittadini) vergogna di sentirsi “guidati” e rappresentati da personaggi del calibro di Brunetta e Sacconi, e gli altri geni politici che affiancavano il loro “presidente” in un tripudio godereccio, allietato da ministre, sottosegretarie e varia femminilità disponibile, ebbene, mi sento di confermare il senso di sollievo provato un mese fa alla caduta del Caimano. E la faccia del tutto normale, un po’ “grigia” e inespressiva di Monti e di gran parte dei suoi ministri e ministre, mi pare cosa meravigliosa, dopo tanto cabaret di basso profilo, e di infinita volgarità, di cui gli italianisono stati costretti a nutrirsi per anni. Le parole sobrie, lo stile ingessato, molto british, del nuovo presidente del Consiglio, il numero ridotto di ministri e sottosegretari, forse non varranno a riconciliare 60 milioni di italiani con la politica, ma a farli sentire un po’ meno imbarazzati, a smettere di vergognarsi, ventiquattr’ore su ventiquattro, del loro premier e delle innumerevoli cricche rotanti intorno a lui. Il fatto che non siamo più in mano alla banda non può che rallegrarci, ma da qui a godere di questo nuovo Esecutivo ne passa. In sintesi, siamo ritornati al governo comitato d’affari della borghesia. Un governo di destra, fortemente imbevuto di cattolicesimo – un cattolicesimo che vuole ritornare alla piena egemonia nel Paese –, un governo che cerca di fare il suo lavoro sulla base dei dettami della superborghesia europea. Un governo di professori universitari, di manager, di banchieri, tutte o quasi tutte persone rispettabili , con qualche problema di conflittodi interessi di cui avremmo fatto volentieri a meno. Un governo che, senza gridare ai venti le sue velleità di modernizzazione travolgente, di grandi (ossia devastanti) cambiamenti epocali, sta peraltro portando avanti quei regressi sociali chiamati, secondo un a ben nota pratica “rovescista”, “riforme”. Certo, alcuni cambiamenti strutturali erano e sono necessari: tutto sta nel segno di quei cambiamenti. E il segno che Monti ha impresso alla sua azione ministeriale è indubbiamente indirizzato verso un ricupero di posizioni del nostro sistema economico e finanziario, nel quadro iugulatorio definito non tanto dai politici, quanto dai banchieri europei, sotto l’assedio speculativo di altri banchieri, finanzieri, e capitani di ventura del malaffare finanziario internazionale. La “manovra” Monti, dunque, ha qualche spunto interessante, che non sarebbe corretto negligere, ma esprime, nel suo insieme, una visione di classe che non può essere sottovalutata: e quando dico di classe, intendoche, pur in uno sforzo progressivo di riaggiustamento, apprezzabile, benché limitatissimo, la manovra colpisce essenzialmente ceti popolari e ceti medi, toccando appena le zone del privilegio, della speculazione, dell’evasione ed elusione fiscale. Una vera infamia è l’azione sulle pensioni: giusto cancellare quelle d’anzianità, e giusto anche il principio contributivo, ma il resto è inaccettabile. Quello che è stato chiamato “il popolo dei mille euro al mese” viene duramente penalizzato dalla manovra. Senza contare gli interventi autoritativi per costringere gli uni ad andare in pensione molto più tardi degli altri (fino ad oggi); rimane – mi sia consentito ricordarlo – il paradosso della docenza universitaria, che si costringe ad uscire dal servizio prima (i ricercatori a 65 anni, prescindendo dagli anni di servizio), ma senza provvedere contestualmente a un nuovo ingresso di massa – tale dovrebbe essere, fatti salvi i principi della selezione – di una intera generazione (itrenta-quarantenni et ultra), che rischia di rimanere fuori per sempre. E da una parte la Lega Nord, dall’altra il Vaticano, pur con i loro bei cadaveri negli armadi, hanno attaccato la manovra parlando di iniquità, alludendo soprattutto al capitolo pensioni: lasciamo stare la carità pelosa di Bossi & Co., che cercano di lucrare politicamente dall’opposizione a Monti; mentre faccio credito alla Chiesa di vera sollecitudine verso i più deboli. Rimane il dato macroscopico di un governo che si ostina a perseverare nell’inaccettabile (moralmente) e insostenibile (politicamente) esenzione fiscale degli edifici (non di culto) di proprietà di enti ecclesiastici. Più ambigua la posizione dell’IDV, incerto tra il lusco e il brusco, per così dire. Mentre ormai tagliato fuori mi sembra Vendola e la sua (letteralmente) SEL. E il PD si è infilato probabilmente in un tunnel di cui è difficile intravedere l’uscita, se non forse a prezzo di una interna divisione. Si sarebbe potuto operarediversamente? Sicuramente sì. Dobbiamo smettere di accettare passivamente, supinamente, tutto quello che, a proposito della crisi e dei suoi “rimedi”, ci si dice, dall’altro, come se dall’Olimpo divinità malvagie o capricciose decidessero del nostro destino. Si sarebbe potuto operare diversamente, certo: segnare la discontinuità. Perseguire davvero l’evasione, ad ogni livello, colpire severamente i grandi patrimoni – sempre frutto di intrallazzi ruberie e, appunto, evasione fiscale –, e i beni di lusso, fare una patrimoniale seria e necessariamente aspra, liberalizzare le professioni, là dove si può, senza esitare (dai medici ai farmacisti, dagli avvocati ai tassisti, dai benzinai ai notai…). Ma tutto questo, se si fosse inserito nella manovra, ci avrebbe configurato un governo di centrosinistra, serio; e invece noi abbiamo, con il prof. Monti, e i suoi sodali, un serio governo di centrodestra. Dunque non possiamo neppure stupirci o lagnarci più di tanto. Monti sta facendo il suolavoro, e lo fa, finora, discretamente: non è il governo del popolo, né può davvero fare politiche di equità sociale. Spetta a noi – a chi non si sente rappresentato socialmente, né culturalmente – dalle politiche di questo governo non soltanto dissentire, ma avanzare proposte alternative. La glaciazione berlusconiana sembra finita per sempre. La nave Italia sta ripartendo: cerchiamo di indirizzarne la rotta, o quanto meno di condizionare i suoi piloti – con cui, se non altro, si può discutere – e farli dirigere verso approdi meno ingiusti. A tale scopo abbiamo il dovere di metterci subito a studiare, e avanzare proposte. Dobbiamo capire il meccanismo dell’economia e della sua finanziarizzazione, dobbiamo studiare idee e istituzioni politiche, dobbiamo mettere a giorno gli interessi celati dietro le parole “tecniche”, insomma: lottare per la verità, come primo passo nella battaglia per una nuova giustizia sociale. Non è forse questo il compito primo dell’intellettuale? Angelod’Orsi
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