Detto e fatto: Occupy blocca i porti della costa del Pacifico
 











Lo avevano annunciato e lo hanno fatto. Il movimento di Occupy segna un’altro punto a suo favore dimostrando ora anche grandi capacità organizzative. Nella giornata di lunedì gli attivisti hanno bloccato i porti della costa ovest degli Stati Uniti, come avevano già fatto lo scorso 2 novembre a Oakland. I sindacati dei lavoratori, subito dopo l’annuncio delle manifestazioni, avevano però dichiarato di non voler aderire e avevano criticato l’iniziativa sostenendo che sarebbe stata dannosa: bloccare i porti avrebbe significato la rinuncia a una giornata di stipendio e l’indebolimento del potere contrattuale nelle trattative future.
Scioperare in America è complicato e difficile. Infatti negli Usa uno sciopero generale o per pratiche da noi assolutamente tollerate come i boicottaggi e l’occupazione del luogo di lavoro i sindacati possono essere portati alla sbarra e i lavoratori rischiano di pagare di tasca propria multe salatissime in caso diadesione. Con il famoso Taft Hartley Act del ‘47 (quasi totalmente ancora in vigore) vennero infatti dichiarate illegittime una lunga serie di pratiche sindacali. Nonostante la posizione e le dichiarazioni dei sindacati dei lavoratori portuali, costretti come si può intuire dalle rigide norme a non aderire al blocco, le proteste si sono svolte fin dalle prime ore del mattino in varie città americane.
Migliaia di manifestanti hanno marciato sui porti, dalla California meridionale allo Stato di Washington, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulle disuguaglianze economiche, l’alto tasso di disoccupazione e un sistema finanziario che è ingiustamente favorevole ai più ricchi.
Al porto di Longbeach, adiacente a Los Angeles, 250/300 persone hanno marciato sotto la pioggia verso un impianto terminal dove si sono confrontati con agenti di polizia, che il hanno respinti con manganelli. Due persone sono state arrestate prima che i manifestanti lasciassero l’area per bloccare iltraffico lungo un’arteria limitrofa. A Seattle, gli agenti hanno lanciato alcuni razzi illuminanti prima di fare alcuni arresti a uno dei terminal.
L’azione più imponente è avvenuto a Oakland, nel quinto porto-container più trafficato della nazione. «Quali porti? I nostri porti», inneggiava una folla di un migliaio di attivisti, sfilando ancora prima dell’alba da una stazione di transito verso il porto di carico della città: 150 operai sono stati sono stati mandati a casa, proprio perchè bloccati dal picchettaggio; e nel pomeriggio, Scott Olsen, il veterano dei Marine rimasto ferito negli scontri tra agenti e attivisti di
Occupy Oakland ad ottobre, ha guidato una marcia di circa un migliaio di persone che puntavano verso il porto. Due terminal sono stai anche bloccati a Portland, in Oregon. Una delle ragioni della protesta contro i porti era il fatto che la Goldman Sachs ha un’importante partecipazione azionaria di SSa Marine, l’azienda che gestisce la gran parte del terminalsulla costa occidentale.
A New York dove Occupy è riuscito a mettersi al centro dell’interesse mediatico mondiale, un centianaio di manifestanti hanno marciato verso la sede di Goldman Sachs di prima mattina. Al grido di friggiamo come calamari hanno chiesto che gli istituti paghino più tasse. La polizia ne ha arrestati 17.
«La prima cosa che dovete sapere su Goldman Sachs è che è dappertutto; è un gigantesco calamaro vampiro, avvolto sulla faccia dell’umanità, che minaccia inesorabile qualsiasi cosa profumi di soldi» ha scritto poche settimane fa Matt Taibbi, noto giornalista della rivista musicale Rolling Stone. Un messaggio recepito dai giovani di Zuccotti Park che ieri appunto hanno ripreso quel termine per sbeffeggiare la grande banca.
Ancora una volta Occupy ha dimostrato la sua vitalità e creatività, ma soprattutto ha confermato che considerarli solo una minoranza folckoristica è un enorme errore. Come ha detto in una intervista sul Corriere della Sera Cornel Westdocente di Princeton che è insieme a Henry Louis Gates Jr. il più autorevole intellettuale nero d’America, «Per mettere in crisi lo status quo, spingendo i politici a fare concessioni, basta una disobbedienza civile prolungata alla King Jr. I partiti rispondono solo se minacciati. E non parlo certo di violenza. Il futuro del movimento è come il jazz: meglio l’improvvisazione del dogmatismo». E sul futuro del movimento West è certo «Il potere può sfrattare corpi, non un’idea, una visione, un magnifico risveglio collettivo delle coscienze democratiche che ha contagiato ogni angolo del Paese. Il genio è uscito dalla bottiglia e non puoi più farlo rientrare». Obama è avvistato, anche senza un vero sfidante repubblicano, dovrà rendere conto a questa parte di America.  Simonetta Cossu









   
 



 
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