-Poi, all’improvviso, qualcuno della piazza davanti a noi, alza una scarpa. Poi un altro. E un altro ancora. In un attimo tutti gli uomini, le donne e i bambini presenti sollevano una scarpa in segno di indignazione. "Tutto questo non ha prezzo. Guardali. è una cosa che semplicemente non ha prezzo"-. Sono mediattivisti, giornalisti, blogger e artisti. Sono stati la voce pubblica e spesso anche il volto di quella che ha già assunto il nome di "generazione di piazza Tahrir", dalla piazza del Cairo divenuta per tutto il mondo il simbolo della primavera democratica araba. Hanno consentito attraverso i loro blog e l’attività continua sui social network di raccontare quanto stava avvenendo, ma anche di far crescere ogni giorno di più il movimento di protesta, aggirando la censura imposta dal regime di Mubarak a stampa e televisione. E’ anche grazie a loro se la repressione non ha fermato sul nascere la rivoluzione egiziana e se i ragazzi del Cairo,dopo quelli di Tunisi, sono diventati un emblema di speranza e di libertà per tutti i giovani del mondo arabo. La loro storia e quella dei diciotto giorni di occupazione di piazza Tahrir, giorni che hanno cambiato per sempre il volto dell’Egitto e dell’intero mondo arabo, sono raccolti in un libro che ha la forza di un reportage e i sentimenti di un romanzo, che racconta giornate febbrili e scontri violenti ma anche attese durate per molti lo spazio di un’intera vita. I diari della rivoluzione (pp. 206, euro 15,00), firmato da Nadia el Awady, Mohamed el Dahshan, Sarah el Sirgany, Amira Salah-Ahmed, Mahmoud Salem, Tarek Shalaby - con un’introduzione di Hossam el Hamalawy, fondatore del blog Arabawy - che Fandango Libri pubblica in questi giorni e che alcuni degli autori hanno presentato a Ferrara in occasione della quinta edizione del Festival di Internazionale che si conclude oggi, è il primo documento che ci racconta dall’interno la rivoluzione egiziana, iniziata il 25 gennaio diquest’anno proprio con l’occupazione di piazza Tahrir. Quel giorno, spiega Hossam el Hamalawy, gli egiziani hanno capito che non erano più prigionieri del terrore in cui il regime di Mubarak li aveva fatti vivere da tanto tempo. Ed è stato l’esempio che arrivava da un altro paese arabo a diffondere il contagio della rivolta: -Per riuscire a vincere le proprie paure non c’è niente di meglio del fatto di sapere che qualcun altro, da qualche altra parte, condivide lo stesso desiderio di liberazione e ha già cominciato a combattere per realizzarlo-. Così, -quello che è accaduto in Tunisia, la rivolta e la fine del regime di Ben Ali, ha avuto un’importanza enorme per milioni di cittadini. Le immagini di Tunisi trasmesse da Al Jazeera hanno contribuito, insieme ai ripetuti episodi di abusi della polizia, ad accendere la scintilla della protesta egiziana-. Poi, giorno dopo giorno, è stata la rivoluzione che si stava realizzando a scandire il tempo e le emozioni dei giovani del Cairo chehanno vissuto in prima persona scontri e proteste, hanno scoperto per la prima volta di poter incidere concretamente nella realtà in cui vivevano, hanno fatto i conti con lo scetticismo o la rassegnazione di qualche padre. Per diciotto lunghi, indimenticabili giorni la loro vita è ruotata intorno a piazza Tahrir e ai messaggi da postare in rete perché tutti sapessero, perché tutti potessero farsi un’idea da soli di quanto stava avvenendo o perché potessero accorrere a difendere il presidio di libertà della piazza. Del resto, come racconta Tarek Shalaby, tra i più noti web designer egiziani, -questa è la mia città, questo è il mio paese, questo è il mio popolo. E noi siamo gli unici proprietari dell’Egitto. Nessuno può portarcelo via, e questo è stato solo l’inizio. Nessuno ama l’Egitto più di noi egiziani-. La piazza è insieme il luogo collettivo dove tutto sta avvenendo e la metafora di quella che Mahmoud Salem, blogger e poeta, descrive come -una rivoluzione senza capi-. In quellapiazza ci sono le speranze e i timori di un intero popolo e l’annuncio di ciò che, forse, potrà essere. Perché I diari della rivoluzione descrivono l’inizio di un processo, non il suo esito finale. I giovani del Cairo hanno fatto la loro rivoluzione, ma di cosa sarà del loro paese, ancora non c’è certezza. Perché, come sottolinea ancora Hossam el Hamalawy, «quella che è appena cominciata è la fase due della rivoluzione, il momento in cui devono essere avviati i cambiamenti sociali ed economici. Adesso dobbiamo portare piazza Tahrir nelle fabbriche, nelle università e nei luoghi di lavoro. In tutte le istituzioni del paese sono ancora troppi i rappresentanti del vecchio regime che devono essere espulsi, l’Egitto è ancora pieno di Mubarak in miniatura-. Guido Caldiron
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