-La riproduzione assistita ci rende liberi di scegliere invocare la natura non ha senso-
 











Essere "contronatura". Compiere un atto "contronatura". Quante volte abbiamo sentito questa parola, utilizzata per lo più dalla Chiesa cattolica e dalle sue gerarchie, per stigmatizzare comportamenti sessuali o atti sessuali non conformi a determinate regole, in primo luogo l’omosessualità. Oppure, più recentemente, per puntare l’indice contro quegli avanzamenti della scienza che hanno permesso alle donne e alle coppie di veder aumentate le possibilità di diventare madri, padri, insomma genitori. Senza dimenticare l’assoluta contrarietà della Chiesa all’uso degli anticoncezionali, anche quelli contrari alle leggi naturali. Ma come è possibile utilizzare ancora il richiamo alla natura per regolare i comportamenti umani quando l’uomo appunto da millenni è molto di più che un semplice essere in carne ed ossa? Affrontato il tema con Stefano Rodotà, giurista, da sempre in prima linea nella difesa di un approccio laico sui temi dellabioetica.
Professore, che senso ha ancora oggi richiamarsi alla natura per frenare determinati comportamenti o cambiamenti dell’essere umano, per esempio nei confronti del sesso e della procreazione?
Partiamo da una valutazione generale. E’ ovvio che la natura è un dato dal quale non si può prescindere. Il problema è quello legato all’uso che si fa del termine natura. Il primo problema sorge quando si usa l’espressione "diritto naturale". Formula largamente ambigua, nel senso che, se non ricordo male, già Bobbio aveva contato qualcosa come sedici o diciotto significati che possono essere attribuiti all’espressione "diritto naturale". E questa espressione ci aiuta a capire che il riferimento alla natura è un riferimento strumentale, anche in senso positivo in alcuni casi. Per esempio, soprattutto in passato, il riferimento al diritto naturale è stato utilizzato per opporsi ad una certa utilizzazione del diritto da parte di regimi autoritari. Dicendo che ci sonosituazioni che essendo legate alla natura dell’uomo, non possono essere negate da un governo. Questa è un’accezione positiva che ci mette di fronte ad un dato di realtà, rappresentato dal fatto che il riferimento alla natura è un riferimento che noi costruiamo in alcune situazioni per opporci a qualcos’altro e dunque non è semplicemente un estrarre dal dato biologico una legge o un indicazione dalla quale poi non si possa prescindere. L’uso del termine "contronatura" è stato oggetto recentemente di un bel libro di Francesco Remotti, intitolato Contronatura, una lettera al Papa, che esamina con grande cura le varie utilizzazioni del riferimento alla naturalità. E svela per un verso un dato di realtà che certamente non può non essere preso in considerazione. E dall’altro, invece rivela l’esistenza indiscussa di una curvatura di tipo autoritario.
Che diventa reale soprattutto se qualcuno pretende di parlare a nome della natura…
Se c’è qualcuno che si attribuiscequel diritto esclusivo di definire che cosa sia la natura e anche, di conseguenza, il diritto di parlare in nome della natura siamo certamente di fronte ad un dato di tipo autoritario e pericoloso. Il monopolio della parola relativa alla natura è qualcosa che porta con sé un rischio. In realtà l’espressione "contronatura", lo ricordava lei prima, è stata utilizzata per stigmatizzare i comportamenti. E quindi qui c’è immediatamente un significato di forzatura, di autoritarismo, rispetto a scelte individuali o collettive. E il riferimento alla natura diventa uno strumento per delegittimare questo tipo di scelte, in particolare quella dell’omosessualità. Oggi, se noi guardiamo al panorama che abbiamo di fronte, sia esso culturale, che medico - l’omosessualità è stata eliminata dalla lista delle malattie dall’Organizzazione mondiale della sanità - questo riferimento rimane confinato nella sua funzione politica, nel senso più largo del termine. Oggi quella espressione non corrisponde più alsentire comune diffuso, anche all’interno dello stesso mondo cattolico. Voglio citare semplicemente un numero di qualche anno fa di "Aggiornamenti sociali", rivista dei gesuiti e non un organo di feroci anticlericali, dove era stato pubblicato un dossier che si riferiva al matrimonio tra persone dello stesso sesso. E concludeva dicendo che il riconoscimento di un valore giuridico anche a questo tipo di unioni è un valore morale prima ancora che un obbligo giuridico.
Tirare in ballo ripetutamente il concetto di natura, non comporta un approccio riduzionistico nei confronti del valore stesso della persona?
Non c’è dubbio, noi siamo biologia ma soprattutto biografia. Siamo una costruzione consapevole attraverso il nostro rapporto con l’ambiente. Nessun genetista che abbia un minimo di serietà, usa discorsi di tipo deterministico o sostiene che c’è un corredo genetico dato una volta per tutte che mi accompagna immutato per l’intera mia vita. Dimenticando quanto siafondamentale l’interazione con l’ambiente.
Di recente il riferimento alla natura viene di nuovo tirato in ballo per mettere in discussione quegli avanzamenti della scienza biogenetica in grado di aprire strade nuove per chi non riesce a diventare genitori. Che cosa ne pensa?
Questo avviene perché le innovazioni profonde determinate da questa rivoluzione scientifica, che continua e che non è arrivata ancora ad un punto finale che ci consenta di tirare le somme, ha determinato la possibilità di scelta da parte delle persone là dove prima era caso, destino o necessità. Una volta si nasceva in un solo modo. Oggi, dopo le ricerche di Edwards e il diffondersi in tutto il mondo delle tecniche di riproduzione assistita, è possibile sapere se, come e quando procreare. Questo pone certamente un problema di limiti. Però l’invocazione della natura diventa qualcosa che non regge, non solo di fronte al progresso scientifico, ma anche di fronte alla considerazione della vitaquale ciascuno di noi evidentemente concepisce. La stessa medicina è stata sempre una sfida continua con la natura. L’uomo, fin dalle origini, ha cercato di sconfiggere il ciclo naturale per sopravvivere.
Come può interagire il diritto con questo insieme di questioni?
E qui nasce il problema. Perché in nome della natura si chiede al diritto di ricostituire l’ordine naturale "violato" dalla scienza. Come ha tentato di fare la legge 40 sulla procreazione assistita. Usando il diritto in termini puramente proibizionisti.
Con un evidente fallimento dello stesso obiettivo che si era preposto di raggiungere…
Certo, se consideriamo che in un anno ci sono più di diecimila donne che vanno fuori d’Italia per ottenere dalla tecnologia quello che qui è vietato. Insomma, la pretesa generale di ricondurre alla natura quei processi che naturali non sono più, attraverso l’ordine artificiale del diritto, di fatto, non regge. Questo vuole dire che tuttoquello che è possibile tecnologicamente diventa eticamente ammissibile e giuridicamente possibile? Le cose non stanno così. Ma le valutazioni che devono essere fatte non devono essere legate a un modo di intendere la natura, ma sono riferite ad una serie di condizioni fisiche, corporee, culturali, sociali ed anche economiche. Vittorio Bonanni









   
 



 
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