"Mi chiamo Hassan Osman, in arte Fantastic, sono il direttore di Shabelle Media Network, una TV e una webradio indipendenti . Ho 30 anni e sono padre di tre figli". Che tipo di programmi trasmette la vostra radio? "Il palinsesto è molto vario. Abbiamo programmi di intrattenimento e di approfondimento sui diritti umani. Cominciamo con la radio alle 6 del mattino fino a mezzanotte, mentre con la televisione andiamo in onda dalle 18 alle 22". Chi sono le persone che ascoltano radio Shabelle o guardano la vostra Tv? "La nostra radio ha molti ascoltatori a Mogadiscio e dintorni, ma anche nel sud della Somalia: seguono i nostri programmi e le notizie attraverso il sito 2. Abbiamo molti ascoltatori via web. Il nostro segnale arriva a 250 chilometri di distanza, ma chi vive lontano da Mogadiscio può ascoltare la radio". Quali sono i vostri messaggi? "Sono messaggi di pace, perché da 20anni c’è la guerra nel nostro paese, praticamente da quando è caduta la dittatura di Mohamed Siad Barre, l’ultimo presidente della Somalia. Ci sono stati conflitti tra clan, guerra civile, e altri conflitti sono in corso anche adesso. Ora vedi che ci sono Al Shabab e il governo di transizione nazionale, sostenuto dall’Unione Africana. Ma la gente ha bisogno di pace, perché senza pace non c’è vita. La gente ha anche bisogno di aiuto umanitario: c’è stata la carestia nel sud e nel centro della Somalia, milioni di persone avevano bisogno di soccorso. Noi dalla radio davamo indicazioni di come muoversi, come reagire, come fare per aiutarsi a vicenda per non morire. I nostri sono stati suggerimenti di pronto intervento: poi sono arrivati gli aiuti della comunità internazionale". Che tipo di giornalismo è il vostro? "Siamo una stazione radio e TV indipendenti, non siamo sostenuti da nessun governo né dal ministero dell’Informazione. Abbiamo una posizione imparziale,non ci schieriamo con nessun gruppo in Somalia. Offriamo un servizio indipendente alla società, è questo il nostro lavoro". Che musica trasmettete? "Tanti tipi di musica, ma soprattutto quella somala. Trasmettiamo musica di intrattenimento per la nostra gente. Ma a volte proponiamo anche musica indiana e americana". Perché il movimento Al Shabab ha vietato la musica? "In Somalia ci sono dei grandi artisti, e con la musica si può parlare di tutto. Al Shabab e anche un altro movimento islamico hanno proibito la musica sostenendo che Allah non permette ai fedeli musulmani questo tipo di svago. Noi crediamo che non ci siano motivi per proibire la musica nell’Islam. La nostra radio è stata una di quelle colpite dal divieto di trasmettere musica. Abbiamo ricevuto minacce perché gli uomini di Al Shabab venivano nel nostro quartier generale, al mercato di Bakara, e volevano usare la nostra radio per trasmettere i loro messaggi. A quel tempo nonpotevamo reagire, per questo abbiamo deciso di cambiare sede". Come si raccolgono le informazioni in Somalia? "Questo è un aspetto problematico. Prendiamo le informazioni da diverse fonti. Radio Shabelle Network è stata fondata nel 2002 a Marca Town, una città a sud di Mogadiscio. Abbiamo corrispondenti da tutto il mondo, Africa, Asia e anche qualche rappresentante in altre regioni della Somalia. Gli uomini di Al Shabab volevano mettere sotto controllo tutti i giornalisti indipendenti, per questo abbiamo deciso di trasferirci vicino all’aeroporto di Mogadiscio. Qui possiamo lavorare. È molto difficile per i giornalisti comunicare dai territori posti sotto il controllo di Al Shabab: finora sono stati uccisi sei colleghi, inclusi due direttori di Radio Shabelle. Quei giornalisti non possono inviarci le informazioni, ma le otteniamo lo stesso segretamente, attraverso il telefono. Dalle altre aree della Somalia, quelle non controllate da Al Shabab, abbiamocorrispondenti che ci inviano le informazioni senza grossi problemi. Anche da Somaliland, Kenia, Gibuti, Uganda. Nella capitale possiamo spostarci liberamente, il governo ci lascia lavorare. Il nostro primo nemico è Al Shabab". Come finanziate la radio? "Non c’è nessuna organizzazione, società o Ong che ci finanzia. Vendiamo qualche spazio pubblicitario alle aziende di telecomunicazione. In questo modo ci paghiamo solo le spese (Internet, elettricità). Ma chi lavora qui non ha uno stipendio sufficiente per vivere". Quante persone lavorano a Radio Shabelle, e chi sono queste persone? "Sono giovani giornalisti somali, tra i 25 e i 40 anni, ci sono anche delle donne. La nostra redazione conta oltre 50 persone. Abbiamo anche delle guardie di sicurezza che ci proteggono dagli attacchi di Al Shabab o di altri estremisti contrari al nostro progetto. Quando ci siamo spostati qui, vicino all’aeroporto, ci hanno minacciato di morte. Hanno detto cheattaccheranno la nostra redazione, e che ci avrebbero ucciso ovunque fossimo andati. Molti dei nostri giornalisti non tornano a casa a dormire e non vedono la propria famiglia: la maggior parte dorme qui, per paura di essere colpito nella propria casa. Perché se vanno là fuori verranno uccisi con un colpo alla testa. Questo è il modo in cui lavoriamo. Qui abbiamo davvero dei giornalisti coraggiosi che non hanno paura di Al Shabab". Ricevete segni di gratitudine dai somali per quello che fate? "Abbiamo il supporto della gente somala, che è il più grande sostegno che desideriamo avere. Tra tutte le radio siamo la migliore, siamo quella che offre i programmi più completi: notizie, intrattenimento, musica. Siamo una delle migliori radio al mondo! (ride)". Pensi di essere fortunato? Perché? "Sì sono fortunato, perché c’erano tante altre radio a Mogadiscio, ma almeno sei sono state chiuse da Al Shabab. Noi siamo stati gli unici a metterci insalvo. Molti giornalisti sono stati torturati e uccisi. Per questo siamo fortunati, riusciamo a lavorare, siamo al sicuro, viviamo in pace nonostante le minacce. Lavoriamo sempre chiedendoci se Al Shabab ci attaccherà, chi saranno i prossimi giornalisti ad essere ammazzati. Ma tutto sommato siamo fortunati perché siamo riusciti a sottrarci dal controllo di Al Shabab". Qual è il tuo "appello radiofonico" al mondo intero? "Qui è Radio Shabelle Media Network, è il direttore che vi parla. Abbiamo bisogno di aiuto. Ci servono attrezzature tecniche e sostegno economico. Ai nostri giornalisti manca uno stipendio minimo per sopravvivere e alla nostra radio manca l’equipaggiamento per continuare ad esistere. Al Shabab ci ha portato via tutto. Grazie, restate con noi (sorride)". Andrè Liohon-repubblica
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