E’ l’11 gennaio 2007. Un missile si alza dalla Terra, verso un satellite a 850 chilometri d’altezza. Lo centra in pieno. Il satellite esplode in mille pezzi. O meglio in oltre 3 mila, contando solo quelli visibili. E’ l’inizio di una guerra spaziale? No, per fortuna. O non ancora. Ma di certo è l’inizio di un immenso ingorgo spaziale. Il bersaglio di Pechino era un vecchio satellite cinese fuori uso. E il missile è partito dalla stessa Cina, che ha così realizzato il suo primo test di successo di un’arma antisatellite. Ma gli Usa hanno rivissuto lo shock dello Sputnik: l’avversario rivelava le sue vere, inattese capacità. E, senza i toni accesi della guerra spaziale tra Usa e Urss, iniziava una nuova competizione stellare. Che oggi conta decine di attori, una sessantina di nazioni e parecchi operatori privati. Tutti impegnati a lanciare macchine in orbita. Macchine che poi si scontrano. Con che effetti? Per capire la portata dei fatti bisognatornare a quel gennaio del 2007 e dal guaio immediato fatto dal test: ha disseminato la preziosa e affollata orbita bassa di migliaia di schegge pronte a colpire altri satelliti. Se non bastasse, due anni dopo il satellite Usa Iridium-33 si è scontrato con il russo Cosmos-2251, producendo, nella prima collisione tra satelliti dall’inizio dell’era spaziale, altri 1.500 frammenti. Il senso degli eventi è chiaro: l’idea che nell’immensità del cielo il rischio di una collisione sia così basso che è inutile preoccuparsene non regge più. Perché lassù, rivela l’ultimo Celestrak, il Satellite tracking website del Center for Space Standards & Innovation americano, si affollano oltre 16 mila oggetti spaziali. E invece, "lo spazio intorno alla Terra va pensato come una risorsa naturale. Si credeva inesauribile ma si è scoperto che è estremamente delicato, facile da inquinare e difficilissimo da pulire", osserva Luca del Monte, che ha guidato le Attività sicurezza e difesa dell’Agenziaspaziale europea. Prezioso e affollato In 50 anni di era spaziale sono stati lanciati circa 6 mila satelliti, di cui 800 sono oggi operativi, per una massa complessiva di 5.500 tonnellate. I satelliti sono indispensabili per le operazioni belliche, ma anche nella vita quotidiana, dalle telecomunicazioni ai media, dal meteo al Gps, dai rilevamenti agricoli alla risposta alle catastrofi. "Anche se non ce ne rendiamo conto, oggi lo spazio è la spina dorsale della difesa e dell’economia mondiale. Anche una parte di un’operazione col bancomat passa per il cielo", osserva del Monte. Ma i satelliti, con il corpo d’alluminio senz’altra protezione che gli scudi termici e con i delicati sensori, sono tanto sofisticati quanto vulnerabili. A porre i rischi minori sono i satelliti operativi, perché sono controllati di continuo e possono spostarsi. Ma lassù ci sono decine di oggetti non controllati, i satelliti morti e i detriti. Come stabilito dal comitato Onu per l’uso pacifico dellospazio (Copuos), a fine vita operativa i satelliti nelle orbite più alte possono essere spinti su orbite-cimitero inutilizzate, mentre quelli in orbite basse possono precipitare sul Pacifico, dove piovono gli eventuali frammenti non consumatisi nell’aria. Ma queste operazioni costano fiumi di carburante. Perciò, in assenza di un obbligo, molti satelliti morti restano in orbita insieme a ogni sorta di oggetti abbandonati: parti dei lanciatori non ricadute a terra, coperture delle lenti tolte quando il satellite entra in funzione, bulloni, il guanto perso da un astronauta. E soprattutto, restano i detriti delle frammentazioni intenzionali o accidentali. Così, fluttuano incontrollati 5 mila oggetti di dimensione superiore al metro, 20 mila di almeno 10 centimetri, e 600 mila oltre il centimetro. "Quelli da un millimetro potranno anche essere non visibili, ma viaggiando a 25 mila chilometri orari sono anch’essi proiettili pericolosissimi", commenta del Monte. Sorvegliare epulire Per sventare le collisioni, il rimedio principe è la sorveglianza. Ed è possibile monitorare oggetti di 5-10 centimetri in orbite basse, e fino a 30-100 spostandoci verso i 36 mila chilometro dell’orbita geostazionaria. Ma la sorveglianza è garantita solo dalla difesa Usa, che ogni giorno diffonde on line informazioni gratuite e aggiornate su 12 mila oggetti (i russi hanno un loro sistema ma non comunicano i dati, e un sistema europeo è ancora allo studio). Tutto a posto, quindi? Non proprio. Non solo perché è impossibile tenere traccia di tutto ciò che circola, anche fra gli oggetti visibili. Né perché, per quanto ci riguarda, è imbarazzante che l’Europa dipenda dagli Usa per una funzione così vitale. Ma anche perché i dati comunicati permettono di predire la traiettoria solo con approssimazione, anche perché, per non svelare le capacità militari, non specificano il margine d’errore. "A ogni potenziale allarme, gli operatori satellitari come l’Esa o i privati valutanoil rischio di collisione e decidono se occorre o no una manovra evasiva", dice del Monte: "Se si decidesse di muovere il satellite a ogni segnalazione, si esaurirebbe subito il carburante". Di qui l’incidente del 2009. Il pericolo era segnalato, ma il satellite russo non era operativo e non poteva più manovrare. La società telecom Usa che gestisce Iridium ha valutato, come in tanti altri casi, che il rischio fosse basso, anche perché perdere uno dei 66 satelliti della flotta non avrebbe compromesso il servizio. Ma la realtà le ha dato torto. Quanto al ripulire l’immondizia spaziale, le idee più o meno realistiche non mancano: robot che spingano le vecchie carcasse su orbite-cimitero o in atmosfera, un laser orbitale che vaporizzi i detriti, o satelliti-spazzino che li intrappolino con spume. Solo da poco però se ne parla seriamente, non solo perché il pericolo era sottovalutato, ma anche perché ogni tecnica presuppone la capacità di agganciare un oggetto nello spazio, con gli ovvirisvolti militari: "Se posso rimuovere un mio vecchio satellite, posso distruggerne uno altrui", spiega del Monte. Battaglie nei cieli E questo è il problema. La loro importanza civile e soprattutto militare fa dei satelliti un bersaglio privilegiato in caso di conflitti a tutto campo. "Se mai scoppierà una guerra tra Usa e Cina, con ogni probabilità i primi colpi saranno nello spazio", pronostica Everett Dolman, docente di studi militari alla Maxwell Air Force Base negli Usa. Il test del 2007 era stato largamente interpretato come una prova di forza cinese, e i cablo diffusi quest’anno da WikiLeaks che rivelano i botta e risposta fra Pechino e Washington e le tese comunicazioni interne Usa hanno confermato le supposizioni. Nel febbraio 2008 gli Usa hanno risposto con un test antisatellite. E l’operazione è stata vista dai più come un’azione militare, sollevando i timori di una corsa al riarmo spaziale che inevitabilmente avrebbe coinvolto anche l’India, quindi il Pakistan, echissà chi altri. L’India ha infatti riattivato i suoi programmi di difesa spaziale, e nel gennaio 2010 i cinesi hanno condotto un nuovo test. I missili sono l’unica arma di provata efficacia, ma le possibilità di distruggere un satellite sono molte. E anche senza distruggerli, i satelliti possono essere messi fuori uso in vari modi, alcuni fantascientifici, altri già impiegati da Stati come Libia e Iran, o addirittura da semplici gruppi di oppositori in Cina). Verso un accordo Come impedire che lo spazio diventi irreparabilmente inservibile? La soluzione potrebbe venire dall’Europa. Su iniziativa italiana, l’Unione europea lavora a un Codice di condotta volontario, che impegni a non danneggiare i satelliti e minimizzare i rischi di collisioni. Gli Usa, abbandonato l’unilateralismo di Bush, guardano con interesse al Codice e anche i russi sono abbastanza possibilisti. Più problematica è la Cina, che è lanciata a capofitto nelle sperimentazioni e vuole le mani libere perrecuperare terreno sugli Usa. I lavori comunque proseguono. "Dopo una bozza nel 2008, nel 2010 ne è uscita una seconda, segno che l’idea appare fattibile", dice Valerio Briani, consulente di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma. Il rispetto non sarebbe garantito da verifiche e sanzioni, ma da misure per favorire un clima di fiducia, promuovendo la trasparenza, notificando lanci e manovre e mettendo in comune le informazioni e condividendo gli interessi grazie all’uso congiunto degli stessi strumenti. Nello spirito di quanto accaduto l’anno scorso, quando gli americani hanno visto un satellite cinese minacciato da un frammento prodotto dallo stesso test cinese del 2007. Frank Rose, un responsabile della sicurezza spaziale al Dipartimento di Stato, ha confessato la tentazione di non avvisarli: il pasticcio l’hanno fatto loro, si è detto, e ora se la vedano da soli. Ma si è subito ricreduto: la collisione avrebbe creato altri detriti, e questo non è nell’interesse dinessuno. Giovanni Sabato-espresso
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