L’ombra della balcanizzazione sulla Libia
 











Mercoledì, in Libia, i miliziani di Zwara hanno preso il controllo del valico di frontiera di Ras Jadir con la Tunisia scacciando la polizia che lo presidiava. Il quotidiano al Zaman ha riferito che prima della conquista del posto di confine ci sono stati violenti combattimenti tra i “ribelli” e gli agenti militari regolari. Niente di nuovo: le milizie oramai spadroneggiano da mesi nel Paese. Chiaramente nel completo disinteresse dei media internazionali, che hanno spento i riflettori sulla Libia immediatamente dopo la fine dei bombardamenti Nato, a “liberazione” avvenuta. Meglio stendere una coltre di silenzio sul quel che è oggi la Libia, meglio restare in silenzio e evitare di rendere conto della pulizia etnica nei confronti dei neri sub-sahariani sterminati e cacciati dalle città perché ritenuti sostenitori di Gheddafi. O delle migliaia di persone rinchiuse per la stessa ragione nelle carceri improvvisate: torturate e uccise dai miliziani“ribelli”. Nei giorni scorsi ha fatto il giro del Web un video (rintracciabile su Youtube) che mostra un gruppo di uomini, sospettati di aver combattuto per Muammar Gheddafi, rinchiusi in una gabbia in uno zoo, come animali. Minacciati e costretti dai “rivoluzionari” a mangiare brandelli della bandiera verde pre vessillo monarchico oggi simbolo della nuova Libia. Non è che un episodio, un esempio di quel che accade nella Libia “libera”, dove regna il caos. Dopo essere saliti sul carro dei vincitori, trainato dalle bombe Nato, se ne stanno accorgendo anche i leader della rivolta. “I disordini e il caos” che si registrano in Libia possono portare, se esasperati, a una “possibile divisione del Paese”, ha affermato pochi giorni fa, da Misurata, il leader del Cnt, Mustafa Abdel Jalil. Citato dal sito web dell’emittente al Arabiya, Jalil ha affermato: “Abbiamo sempre temuto un sistema federale che avrebbe diviso la Libia in tre parti. Ora siamo al cospetto di un sistema federale (di fatto,ndr) in distretti, villaggi e tribù. Temiamo che questo sistema faccia la Libia a pezzi”. Ci avrebbe dovuto pensare prima, Jalil: quando si unì ai gruppi di Bengasi che intendevano abbattere il regime di Gheddafi, o prima che la “coalizione dei volenterosi” iniziasse a scaricare tonnellate di bombe sul Paese. Qualunque osservatore aveva prefigurato questo scenario: una balcanizzazione della Libia, smembrata dai conflitti fra tribù mai state alleate ma che durante il governo di Gheddafi convivevano in un equilibrio garantito dal leader della rivoluzione verde. Spingere sulle rivalità tribali per far crollare il Paese è stato facile, e ora chi sempre messo da parte da Gheddafi, chi risvegliato nelle proprie mire dall’imminente fine del regime, tutti coloro che si sono schierati contro il “colonnello” pretendono che la contropartita dell’appoggio alla rivolta sia il controllo del proprio territorio e un ruolo di rilievo nel governo centrale. Ci sono poi le milizie islamiste, che cercanodi imporre la loro influenza sulle grandi città, capitale compresa. Tra chi ora gode di un certo potere – prima negato da Gheddafi – ci sono i Fratelli musulmani, che lungi dal descrivere la reale situazione libica continuano a cercare nel “colonnello” la causa dell’instabilità del Paese. Mohamed Abdul Malek, numero due della Fratellanza, mercoledì in visita in Italia, ha affermato che la sfida più grande della Libia è ora quella nel campo della sicurezza, perché la “famiglia Gheddafi rappresenta una minaccia seria”, dal momento che i familiari del defunto Muammar “si trovano nei Paesi confinanti e possono organizzare, come si è visto a Kufra, piccoli eserciti”. Muammar è stato ucciso, Seif al Islam è in mano ai miliziani di Zenten. Di Hannibal si dice che sia stato ucciso, Saadi si è rifugiato in Niger. Ma gli islamisti libici continuano ad accusare la famiglia Gheddafi. Un capro espiatorio ancora molto agevole per nascondere il pantano infestato da integralisti e qaidisti che èdiventata la Libia dopo la “liberazione”. Nel frattempo, a dispetto delle affermazioni post bombardamenti secondo cui nessuno stivale straniero avrebbe calpestato il suolo libico – sempre confermate dai leader della rivolta oramai assidui frequentatori dei salotti buoni della politica internazionale - Parigi e Tripoli hanno firmato la scorsa settimana un accordo militare sulla sicurezza, in base al quale truppe francesi controlleranno quattromila chilometri di frontiere libiche con i Paesi vicini, comprese quelle con l’Algeria. Alessia Lai-rinascita









   
 



 
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