Ho aderito con totale convinzione alla manifestazione indetta dalla Fiom per il 9 marzo. Ciò che sta avvenendo alla Fiat, con l’estensione del modello Pomigliano a tutti gli stabilimenti del gruppo, è gravissimo: come si fanno ad accettare gli operai Fiom per lavorare e non accettarli per discutere? Equivale a dire: la forza lavoro mi interessa, è un soggetto che sono disposto a riconoscere, solo finché e in quanto produce profitto. Quando invece produce consapevolezza, e magari dà vita a una contestazione delle cose assurde che gli voglio imporre, la forza lavoro deve scomparire, non deve più esistere. È un atteggiamento intollerabile. Mi ricordo quando presidiavamo gli ingressi delle Officine 32 e 33 di Mirafiori. Alla fine degli anni Sessanta gli operai di quelle officine erano quasi tutti i giovani meridionali che avevano portato in fabbrica un grande vento di novità, legato alle culture giovanili di quel periodo, alle nuove tendenze eforme espressive che crescevano dentro la società. Erano molto diversi dal modello «operaio massa» con cui fino a poco tempo prima si tendeva a identificare il lavoro alla catena di montaggio. C’era un livello straordinario di consapevolezza, di curiosità, di voglia di capire come funzionava il mondo in cui si viveva, e nel quale si voleva essere liberi. È difficile dimenticare quell’Italia bellissima. In quel periodo non pensavo, mai avrei potuto pensare, che sarebbe arrivato il giorno in cui qualcuno avrebbe deciso di far girare al contrario le lancette della storia, il giorno in cui il «padrone» – tornato, appunto, «padrone» – avrebbe imposto nuovamente delle regole non rispettose della dignità di chi lavora e dei più elementari princìpi della democrazia. Per questo motivo la battaglia della Fiat ha un valore che va oltre la sorte dei singoli lavoratori coinvolti. Tanto più che non sono affatto convinto che la classe operaia, come si è ripetuto per anni, sia in via diestinzione. Il nostro tessuto manifatturiero può resistere a questa crisi solo se riesce a fare tesoro della grande professionalità dei nostri operai, dei nostri metalmeccanici, dei lavoratori dei cantieri navali, per citare un altro settore dove è in corso una complicatissima e drammatica vertenza. Non bisogna commettere l’errore di svilire questi mestieri, pensando che non sia importante il contributo che può dare la loro capacità intellettuale, la loro esperienza, il patrimonio di idee, pratiche, inventiva, manualità, abilità tecnica che si è stratificato nel corso degli anni e che rappresenta una delle poche risorse di cui disponiamo per essere e rimanere competitivi in tanti settori. Secondo qualcuno la fase che sta attraversando il paese, le difficoltà drammatiche che il nuovo governo è chiamato ad affrontare, dovrebbero imporre un di più di responsabilità a tutti gli attori sociali: non è questo il momento di manifestare e creare conflitti, si dice; è il momento di fareognuno la sua parte per uscire dalla crisi. Io al contrario credo che sia proprio questo il momento di mettersi in gioco e cercare di offrire una visione del futuro, una proposta all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte, di riattivare una voglia di partecipazione diffusa. In questo senso sono enormemente grato al governo Monti: non abbiamo più l’angoscia di essere governati da clown o da sottospecie di clown; non abbiamo più l’angoscia di occuparci delle spinte eversive di cui il vecchio governo, pur nel grottesco, era portatore. Ora abbiamo al governo degli onesti liberaldemocratici e finalmente siamo tornati a confrontarci – e a scontrarci – su temi fondamentali come il lavoro, la crisi, la disoccupazione eccetera. Diciamo che il governo Monti ha permesso il riemergere di una fisiologica dialettica fra destra e sinistra, fra visioni diverse della realtà, che prima era stata offuscata dall’anomalia nella quale eravamo immersi. Tutto ciò non dovrebbe servire a tacitare ilconflitto, al contrario. Viva questo governo espressione di una cultura moderata e democratico-liberale e viva il conflitto storico fra quest’ultima e la classe operaia! Credo che il nostro malandato paese abbia solo da guadagnare dal confronto dialettico, intelligente, fra parti vitali e propositive della società. Massimiliano Fuksas, da MicroMega
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