Da quando è scoppiato il caso a luci rosse di Patrizia D’Addario e compagne, nell’immaginario nazionale - e in qualche misura, perfino internazionale - Bari è diventata suo e nostro malgrado "la città delle escort". Poi, passando per lo scandalo della malasanità regionale, ha conquistato anche il titolo di Capitale delle scommesse illegali sul calcio. E adesso, con il commissariamento e la "parentopoli" del Teatro Petruzzelli, rischia ormai la sorte di Sodoma e Gomorra, incenerite dal Dio della Bibbia per i peccati dei loro abitanti. Ma non si fa in tempo a riepilogare tutti gli scandali che già se ne aggiunge un altro, quello dei parcheggi interrati con arresti annessi, arrivando addirittura a lambire il Palazzo del Comune. Come mai è potuto avvenire tutto ciò? E perché proprio qui, con un tale tasso di concentrazione e di inquinamento? Quali sono le ragioni di questo degrado? Che fine hanno fatto le virtù tradizionali dei baresi, comel’intraprendenza, la laboriosità, la discrezione, la morigeratezza? Possiamo e dobbiamo cercare di rispondere a tutti questi interrogativi. Se non altro per identificare le cause e magari i rimedi. Ed è senz’altro opportuno chiamare in causa le responsabilità individuali e collettive: quelle della politica, dell’imprenditoria, della cultura e anche della cosiddetta società civile. Ma soprattutto è necessario e urgente fermare questo declino, per evitare che la crisi della città arrivi a un punto di non ritorno,fino a diventare irrimediabile e irreversibile. Non serve a niente consolarsi con il ricordo che Tangentopoli è scoppiata a Milano o con l’idea di "Roma ladrona", per dirla alla maniera dei leghisti. Né tantomeno coltivare nell’inconscio un vago complesso di vittimismo o di persecuzione da parte dei "giornali del Nord" che si occupano del Sud solo per parlarne male e mai per parlarne bene. Al di là del fatto che non è propriamente così, tant’è che - per citaresolo due esempi - l’abbattimento dell’eco-mostro di Punta Perotti ha fatto il giro del mondo e la riapertura del Petruzzelli dopo 17 anni dall’incendio s’è imposta all’attenzione dei media nazionali, spetta soprattutto a noi baresi di nascita o di adozione "fare notizia", produrre "buone notizie" e prima ancora compiere "buone azioni". Altrimenti, senza saperlo e senza volerlo, si finisce per nascondere la spazzatura sotto il tappeto. Bisogna fare appello, perciò, alle energie migliori, alle risorse intellettuali, alle donne e ai giovani, in modo da suscitare una riscossa morale, un soprassalto di indignazione e di protesta. Occorre una mobilitazione generale, dalla scuola all’università, dalle aziende ai sindacati, dai professionisti a tutti i lavoratori e alle lavoratrici, dalle associazioni ai circoli privati, per salvaguardare l’immagine della città e ripristinare la sua rispettabilità. E ciascuno di noi, nell’ambito delle proprie relazioni personali e sociali, può giàcominciare a comportarsi e ad agire di conseguenza nella speranza di diffondere un contagio virtuoso. Bari e i baresi non possono arrendersi alla propria denigrazione. Chi è nato e vive qui, o è emigrato altrove per ragioni di lavoro o di famiglia, oggi ha il dovere morale - innanzitutto nei confronti di se stesso - di respingere l’indifferenza e la rassegnazione. Non possiamo rinunciare a difendere - anche da lontano - una storia, un’identità, un’appartenenza comune. Lo dobbiamo ai baresi del passato e ancor più a quelli del futuro. Giovanni Valentini-repubblica
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