Quanta chimica in quella mela
 











Una mela, ci pare il più semplice dei frutti. Eppure in quelle che vediamo nelle ceste del supermercato c’è qualcosa di innaturale: come mai sono tutte identiche, lucide al punto giusto, perfette? E come le mele tutto il resto: frutta e verdura sembrano giochi in plastica, privi di difetti, lucenti e omologati. Qualcosa deve essere accaduto nel tragitto dall’albero al carrello. In che modo si ottengono prodotti che sembrano tanto innaturali ma che sono capaci di resistere per giorni dentro al frigorifero come se fossero appena colti? Quanta chimica ci vuole per giungere a quel risultato? E si tratta di una chimica buona o pericolosa?
Bisogna tornare sul campo. Per seguire il destino di questa mela. Che in questi aspetti ha una storia del tutto simile alla fragola, all’arancia, alla pera o alla pesca. Così facendo scopriamo che per arrivare a quel frutto, l’albero spesso è stato trattato con fitofarmaci, che lo hanno aiutato a tenere lontani leerbe infestanti, gli insetti, i funghi, i vermi. E che consentono agli agricoltori produzioni costanti e prodotti, in buona parte, integri. Si tratta di sostanze sottoposte a normative europee che fissano limiti molto rigidi, usate praticamente in tutte le colture non biologiche.
Questi prodotti, sparsi variamente sulle piante o nel terreno, per periodi di tempo più o meno lunghi, si ritroveranno inevitabilmente anche nel frutto. E da anni si discute su quali siano i meno dannosi per la salute e di come e quando debbano essere somministrati. Oggi però l’utilizzo dei fitofarmaci è largamente sorvegliato e le autorità sanitarie hanno potuto disciminare tra quelli che causano malattie anche molto gravi come il cancro e quelli, invece, che sembrano innocui. La questione, comunque è ancora aperta: e il desiderio di mettere in tavola prodotti senza fitofarmaci alimenta il boom del biologico, così come un gran numero di ricerche che puntano a cercare sostituti validi per i chimici.
Comespiega Daniele Spadaro, esperto di tecnologie per la lotta integrata della facoltà di Agraria dell’Università di Torino: "Fino agli anni Novanta in Europa erano permessi circa 800 prodotti tra insetticidi, funghicidi ed erbicidi, ma le normative via via introdotte hanno ridotto il loro numero a 200 circa, eliminando quelli più discussi e facendo sì che i prodotti siano uguali per tutti nei dosaggi. Così a partire dal 2005 si è assistito a un graduale adeguamento delle filiere. Il risultato è che oggi meno del 2 per cento dei campioni analizzati in Italia presenta tracce di agrofarmaci superiori ai limiti consentiti. E va ricordato che questi limiti consentiti, in base alle disposizioni europee, sono comunque molto bassi e inferiori da cento a mille volte rispetto alle dosi che possono provocare danni alla salute".
L’Agenzia per la Sicurezza alimentare (Efsa9), del resto, di recente ha confermato che le cose in Europa vanno abbastanza bene. Secondo l’ultimo rapporto annuale, relativoal 2009, la conformità ai regolamenti comunitari continua ad aumentare e il 97,4 per cento degli oltre 68 mila campioni analizzati per più di 800 sostanze rientra nell’ambito dei limiti, con un aumento di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Non solo: il 61,4 per cento dei campioni è risultato del tutto privo di residui misurabili.
Ma torniamo alla nostra frutta. Trattata se non biologica, cresce e si avvicina al momento della raccolta. E qui interviene il produttore, che separa il raccolto in base al calibro e all’aspetto in tre categorie principali: quelle un po’ ammaccate, cosiddette di primo prezzo, che finiranno nei reparti dove vince la convenienza, quelle normali, le più vendute, e quelle di alta gamma, che avranno caratteristiche ricercate e prezzi conseguenti. Spiega Marco Hrobat, agronomo e vicepresidente dell’Associazione Nazionale Direttori Mercati all’Ingrosso: "La scelta di vendere prodotti tutti uguali è dettata da logiche commerciali, che la grandedistribuzione e non solo quella, negli ultimi anni, ha esasperato. Le mele devono essere lucide, le arance grandi (ma più sono piccole e maggiore è la concentrazione di antiossidanti), le prugne ricoperte da cera e così via".
Insomma le regole del marketing vogliono che la frutta e la verdura debbano essere per forza sempre più simili a prodotti quasi ideali. Ma per giungere a un simile risultato non basta la selezione: ci vogliono la chimica e la fisica. Spiega Hrobat: "In generale, i trattamenti effettuati dopo la raccolta vanno dal lavaggio alla spazzolatura, all’eventuale aggiunta di prodotti chimico-naturali in grado di proteggere il prodotto da attacchi di funghi, batteri e altre avversità naturali durante lo stoccaggio. Non solo: spesso vengono aggiunte sostanze naturali come la cera o la gommalacca per esaltare l’intensità del colore del vegetale e fargli acquisire così un particolare aspetto lucido e invitante".
I produttori adottano quindi diverse strategie perconservare frutta e verdura, e per fare apparire la propria merce più invitante. Prendiamo i peperoni: possono essere dolci o piccanti, di piccolo o grande volume, di forma cuboide, conica più o meno regolare, piramidale, allungata o breve, di colore rosso, giallo, verde, bruno o scuro, e in effetti ormai la maggior parte di mercati e supermercati ne offre assortimenti che sono una festa per gli occhi. Tutti, però, se non biologici, sono nati da piante trattate e sono stati lavati e lucidati per bene, al punto che spesso il colore finale è nettamente più chiaro rispetto a quello originario. Una volta sul bancone, poi, è probabile che i peperoni vengano sottoposti a frequenti rinfrescate con apposite nebulizzazioni di acqua, anche perché una volta raccolti non durano di solito più di 15 giorni, cioè tendono ad avvizzire velocemente e devono essere mantenuti giovani almeno di aspetto il più a lungo possibile, soprattutto se il locale del negozio non è adeguatamente refrigerato (fatto cheaccelera la maturazione).
Subire trattamenti sul "banco" è routine per la gran parte dei prodotti. Come commenta Hrobat: "Per ammaliare l’acquirente e invogliarlo all’acquisto, i supermercati adottano molteplici accorgimenti come l’uso di lampade con luminosità tale da amplificare e far risaltare meglio i colori e la nebulizzazione o l’umidificazione automatica dei banchi, pratica diffusa per mantenere idratato il prodotto, anche se ciò comporta un rischio perché l’acqua può favorire fenomeni di marcescenza e attacchi fungini".
Frutta e verdura che occhieggiano dal bancone del supermercato ha dunque subito trattamenti chimici nel campo, poi fisici e chimici durante la conservazione e poi ancora fisici nel momento della vendita. Di tutto questo restano tracce che non dovrebbero rappresentare un pericolo per la salute. Ma resta il fatto che molti di noi preferirebbero che la chimica restasse fuori almeno da questi alimenti. Risponde Hrobat: "Il consiglio migliore che si può dare èquello di acquistare dove c’è chiarezza sui controlli, per esempio perché è indicato in etichetta. E poi di rivolgersi a fornitori di fiducia, tenendo anche presente che più la filiera è corta e minori sono i trattamenti necessari. Inoltre il consumatore deve informarsi sulle caratteristiche dei singoli vegetali e non aspettarsi cose che in natura non esistono: per esempio, fragole e ciliegie comunque trattate durano solo pochi giorni, mentre le arance e le mele molte settimane".
Per chi vuole evitare qualunque rischio e non è diffidente se vede una mela un po’ bitorzoluta e opaca, commenta Spadaro: "Ci sono comunque i prodotti biologici, che rappresentano ormai una fascia importante di mercato e che non entrano in contatto con agrofarmaci. E ci sono quelli derivanti dalla lotta integrata, che alterna trattamenti chimici con metodi fisici e biologici come l’uso di insetti e, soprattutto, che prevede che tali trattamenti vengano fatti non sempre, come avviene nelle colturetradizionali, ma solo in caso ve ne sia una reale necessità. Per questi prodotti, purtroppo, non esiste ancora un’uniformità né un marchio europeo, ma la loro presenza sul mercato sta aumentando sempre di più".
Infine, la verdura e ormai anche la frutta non sono solo selezionate, ma per chi le vuole anche pulite e pronte per l’uso. Gli italiani amano molto le confezioni pronte, come dimostra il fatto che il loro consumo è in aumento costante e che sono i primi a livello continentale per volumi di vendite, a scapito di quelle fresche ma da lavare. In generale si tratta di prodotti adeguati, però, sottolinea Spadaro, "ogni passaggio che comporta acqua rappresenta un rischio potenziale per la crescita di microrganismi ed è quindi bene assicurarsi che non vi siano rotture del sacchetto o vapore acqueo all’interno, che può indicare l’interruzione della catena del freddo nella lavorazione (vanno lavate a temperature vicino allo 0C), lavare comunque il contenuto e consumarle entro 48 ore".L’Italia circa un anno fa ha adottato una normativa molto severa su tutta la lavorazione e la commercializzazione di questi prodotti, anticipando leggi europee che per ora non ci sono, quindi anche in questo caso la sicurezza dovrebbe essere in aumento.  Agnese Codignola










   
 



 
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