Non bastavano le accuse dei cittadini costretti ad onorare i debiti col fisco dietro il pagamento di tassi, more e sanzioni. Adesso l’Agenzia delle Entrate deve fare i conti con il Consiglio di Stato. L’amministrazione di Attilio Befera (foto) è stata infatti messa sotto accusa da un sindacato di dirigenti della Pubblica amministrazione. Più di settecento nomine in ruoli dirigenziali sarebbero totalmente illegittime. Linea condivisa anche dal Tar del Lazio, i giudici di via Flaminia avevano infatti dato torto all’Agenzia con una sentenza pubblicata nello scorso mese di agosto. I dirigenti sono stati nominati aggirando le norme sul concorso pubblico, una procedura – in base a diversi pareri – in grado di ledere profondamente l’indipendenza dei funzionari. Impiegati facilmente revocabili, se non in linea con le direttive dei dirigenti superiori. “L’Agenzia delle Entrate, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’economia per quanto riguardal’indirizzo politico, gode di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria”, si legge in un comunicato dei Radicali italiani. “Questa autonomia gestionale permette all’Agenzia di collocare le risorse umane, senza alcun controllo, nemmeno di spesa – spiega il documento – unico vincolo, come ogni Ente pubblico, il rispetto delle norme sull’accesso ai ruoli dirigenziali, consentito solo tramite concorso pubblico”. Peccato però che l’ultimo concorso pubblico risalga a dodici anni fa e che 800 attuali dirigenti dell’Agenzia, siano stati scelti tra i funzionari interni, senza criteri di trasparenza e senza concorso pubblico. Questo significa che i nominati che occupano un ruolo dirigenziale non sono dirigenti effettivi e possono quindi essere facilmente sollevati dall’incarico dai propri superiori. Insomma la maggioranza dei dirigenti dell’Agenzia che vigila contro l’evasione fiscale di cittadini, imprese, partiti ed enti in tutta Italia, èstata scelta in maniera discrezionale ed è tenuta sulla corda della revoca”. L’Agenzia delle Entrate non ha gradito la pronuncia del Tar. Impugnando la sentenza, ha ottenuto la sospensiva da parte di Palazzo Spada. Una difesa pienamente legittima nell’ottica della dialettica processuale. Lo è meno cercare di ottenere l’approvazione di una leggina in grado di mettere ordine tra i ruoli dell’ente. Questa è la denuncia di diversi parlamentari. Il governo di Mario Monti sta cercando di “venire incontro” alle esigenze dell’amministrazione tramite l’inserimento di un comma in uno degli articoli del “decreto semplificazioni”. Una norma di copertura non in sintonia con il contenuto del Decreto licenziato da Palazzo Chigi. Le semplificazioni dovrebbero servire ad assestare un duro colpo alla burocrazia, non ad aggirare il dettato di una norma contenuta in Costituzione. L’articolo 97 della Carta fondamentale è abbastanza chiaro: per diventare dipendenti pubblici occorre superare un concorso.Le eventuali eccezioni devono essere motivate in modo da non essere lesive del principio di uguaglianza. I funzionari di un Comune della provincia più profonda e quelli inquadrati nei ranghi dell’Agenzia delle Entrate devono essere trattati allo stesso modo. Senza odiose disparità. Soprattutto se queste persone sono incaricate di scovare evasione ed elusione fiscale. Attività delicatissima e strategica. Leggi e regolamenti sono posti a garanzia dei contribuenti e dei dipendenti. Ignorarli ci riporterebbe di qualche secolo, quando i cittadini erano solo sudditi ed i ricorsi contro le amministrazioni si facevano chiedendo la grazia al sovrano di turno. Intanto da ieri è in vigore la nuova normativa per i ricorsi di fronte alla Commissioni tributarie provinciali. È infatti iniziata l’era della “mediazione tributaria”. Per contrastare un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate di valore inferiore ai ventimila euro, non ci si potrà più rivolgere direttamente al giudice tributario ma si dovràprima attivare la nuova procedura del reclamo, con possibilità di mediazione. Procedura avversata da molti giuristi. Tanti la ritengono una immotivata riduzione della garanzia giurisdizionale. Una “dilazione” contro le ragioni di chi assume di essere stato oggetto di accertamenti o contestazioni illegittime. Non si escludono ricorsi alla Corte Costituzionale nel breve periodo.Matteo Mascia
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