La riforma del mercato del lavoro sta dividendo sia le forze politiche che lo stesso governo che l’aveva varata. Non si tratta soltanto della consapevolezza delle contrarietà che, a diverso e opposto titolo, sono nate in campo imprenditoriale e sindacale e di considerazioni tecniche sulla inapplicabilità, dal punta di vista finanziario, di alcune delle soluzioni previste. I ripensamenti tra i vari ministri sono dettati anche da considerazioni elettoralistiche, viste le intenzioni di alcuni di loro di candidarsi alle politiche dell’anno prossimo. Presentarsi come uno di quelli che ha messo sulla strada milioni di persone non rappresenta infatti un buon biglietto da visita da spendere con i cittadini ai quali chiedere un voto. Meglio quindi cercare di aggiustare un po’ quella legge per non dare l’impressione di aver voluto trasformare il mercato del lavoro in una giungla dove vige la legge del più forte e il lavoratore è destinato a soccombere nelloscontro con l’imprenditore. Due giorni fa, il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, aveva definito “migliorabile” il testo del disegno di legge. E Passera, ex amministratore delegato di Intesa-San Paolo, è uno dei “tecnici” dati per sicuri come candidato ministro o addirittura candidato premier di uno schieramento centrista alle prossime elezioni. O forse di quello di centrosinistra, vista la sua partecipazione alle primarie dell’Ulivo del 2005. Un tratto che lo accomuna all’ex amministratore di Unicredit, Alessandro Profumo. A dimostrazione che un certo mondo finanziario ha scelto da tempo da che parte stare e che gli attuali dirigenti del PD stanno lì a calcare la scena senza poter dettare però i tempi e i ritmi dello spettacolo. Elsa Fornero, ministro del Lavoro, ha puntualizzato che con Passera “c’é piena sintonia”. Quello che il governo vuole fare, ha assicurato, è cercare di risolvere i problemi. Semmai, si potrebbe replicare, di problemi la riforma riformabile ne stacreando di nuovi aumentando il già diffuso senso generale di precarietà e di incertezza. Nonostante le continue assicurazioni sul fatto che una volta conclusa l’opera di risanamento dei conti pubblici, il governo andrà a casa, il ministro dalla lacrima facile e i suoi colleghi non hanno alcuna intenzione di togliere il disturbo. Così la Fornero ha voluto correggere la sua recente dichiarazione che se non passasse la riforma il governo andrà a casa. Ma quando mai. Avevo detto, ha precisato anche per rispondere ad un Monti piuttosto scocciato, che il governo ha portato in Parlamento, senza alcuna arroganza, il disegno di legge pensando che fosse un buon accordo e che non dovesse essere stravolto. In realtà è proprio quanto il governo aveva inizialmente fatto cercando di imporre la riforma ad un Parlamento rassegnato all’idea di doverla approvare unita al voto di fiducia, come già accaduto per gli altri provvedimenti precedenti. Una ipotesi che era stata accantonata preso atto dellecrescenti ostilità che la riforma aveva incontrato a tutti i livelli, sindacale, politico ed imprenditoriale. Oltre che, ovviamente, tra tutti i lavoratori interessati. Sul tavolo della Fornero ogni giorno arrivano dossier “molto angoscianti”, così li ha definiti, a testimoniare la deriva sociale in corso e il ministro è cosciente della difficoltà di restare simpatica agli italiani. Il governo non ha la bacchetta magica, ha ammesso, ma vanno risolti i problemi per troppo tempo restati fermi e che “diventano ancora più urgenti considerata la situazione economica generale del Paese”. Affermazione che significa che le aziende devono poter disporre di dipendenti licenziabili per fare fronte agli alti e bassi del mercato. La Fornero ha difeso la soluzione normativa trovata per sostituire l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello sul licenziamento per giusta causa e giustificato motivo. Quel licenziamento per motivi economici che è impugnabile soltanto se il lavoratore lo ritengaoriginato da motivi discriminatori e che il giudice può annullare dichiarandone la manifesta insussistenza e ordinando il reintegro nel posto di lavoro è considerato dalla Fornero una soluzione più che buona. Non abbiamo fatto la riforma che volevano molti, in due articoli, si è difesa. Il primo che stabilisce che esiste un contratto unico e il secondo che le imprese possono licenziare quando vogliono. Invece, ha rivendicato, di articoli ne sono stati fatti ben 72 perché la società italiana è complessa e il governo ha cercato di valorizzare ogni tipo di contratto riuscendo a resistere alle pressioni di imprese e sindacati ma scontentandoli entrambi. Le prime lo hanno accusato di avere fatto troppo, le seconde troppo poco. Ora per accontentare i partiti della maggioranza, pure Monti ha assicurato che il Ddl sarà più ampio e incisivo. Allo stesso tempo, la Fornero è ben cosciente sulle difficoltà di abbassare costo del lavoro. Con i soldi pubblici, ha spiegato, si devono pagare lacassa integrazione, la mobilità, l’assegno di disoccupazione. Quando ci viene chiesto di mandare in pensione persone relativamente giovani, ha lamentato, siamo di fronte a nuove richieste di spesa. In questo modo, ha concluso, tutto diventa più difficile. Figurati per chi è senza lavoro.Filippo Ghira
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