È considerazione riconosciuta abbastanza pacificamente che l’arte, nella sua accezione migliore, svincoli l’uomo dalle contingenze terrene per condurne lo spirito in un mondo che è al di sopra di ogni materialità. Questo però non significa che quello dell’arte, della migliore arte, sia un mondo parallelo a quello della stretta quotidianità e che con questo, quindi, non abbia alcun punto di contatto; proprio da questo, invece, viene fuori, per staccarsene prodigiosamente vieppiù che i risultati che raggiunge sono più fini. La parola, ad esempio, con buona certezza, dapprima nacque per strette ed immediate esigenze pratiche, poi seppe diventare anche poesia. Così la pittura, la scultura, il cinema e tutte le altre arti. È solo quando gli esiti sortiti sono di particolare qualità, di raffinatissima capacità comunicativa, che avviene il rapimento dell’anima ed il suo abbandono delle miserie della vita concreta di ogni giorno. Anche l’artista diviene autenticamente tale ogniqualvolta riesce a liberarsi, con l’animo, dalle catene della sopravvivenza, ma è pur sempre uomo di carne, condannato, per vivere, alla materialità, ed ha quindi indispensabile bisogno di mangiare, bere, dormire ed altre cure. Da qui l’esigenza, anche frequente, di far fruttare economicamente le proprie virtù, da qui l’accostamento contraddittorio, difficile, se non addirittura impossibile, di arte e commercio. Una evidente difficoltà di conciliazione giacché l’arte inclina ad offrire al fruitore qualcosa che questi non si aspetta e che lo rende migliore, mentre il commercio intende offrire all’acquirente ciò che egli chiede, semmai ingenerandogliene prima, anche subdolamente, l’esigenza, e che lo mantiene semplicemente nel gregge del resto dell’umanità, anche quando, paradossalmente, quel compratore vuole qualcosa che lo distingua dagli altri, giacché, a ben vedere, lo scopo ultimo di questa distinzione, è proprio quello di essere dal resto del mondo, anche se per invidia o semplicemente ammirazione, riconosciuto e quindi, in qualche misura, accettato. Con ogni probabilità è proprio per questa forte divergenza tra arte e commercio che tanti grandi artisti, come tanti profeti, mistici ed in genere uomini miglioratori dell’umanità, acclarati non di rado solo posteriormente, dalla storia, hanno menato esistenza terrena difficile. Varie le soluzioni epocali ed individuali, più o meno efficaci, trovate a questo contrasto. La committenza spontanea; che però porta in sé più o meno scopertamente il vincolo di un risultato finale che sia encomiastico a favore di un uomo o di un potere, civile o religioso. La nascita della figura dell’impresario, persona che si fa carico di curare l’aspetto commerciale dell’arte; ma quanto poi, questi, con la sua necessaria politica da mercante, non indirizza l’artista nelle scelte e nei suoi risultati? Oggi viviamo un’epoca particolarmente dedita al commercio, di tutto, come forse nessuna altra prima, che si tratti di beni materiali, intellettuali o morali. Sarà forse per questo che la produzione artistica soffre? Gli artisti, esecutori ed autori, vendono continuamente la loro immagine, quando non anche la loro dignità, perché la loro merce artistica abbia più richiesta e mercato, si pensi già solo agli attori. I volumi editi proliferano. Un tempo erano certo pochi coloro che potevano leggere libri, perché rari e preziosi, ed in virtù di questo però più difficilmente cattivi. Oggi che si stampa e si distribuisce tanto e con facilità, i libri sono sì molti, ma restano ancora pochi coloro che in tanta congerie sanno scegliere e trovare quelli buoni. Già Giacomo Leopardi, due secoli fa, nel terzo dei suoi “Pensieri” annotava: “…l’usanza del secolo è che si stampi molto e che nulla si legga”; e rincara la dose nel cinquantanovesimo e nel sessantesimo: “ È cosa detta più volte, che quanto decrescono negli stati le virtù solide, tanto crescono le apparenti. Pare che le lettere sieno soggette allo stesso fato, vedendo come, al tempo nostro, più che va mancando, non posso dire l’uso, ma la memoria delle virtù dello stile, più cresce il nitore delle stampe. Nessun libro classico fu stampato in altri tempi con quella eleganza che oggi si stampano le gazzette, e l’altre ciance politiche, fatte per durare un giorno: ma l’arte dello scrivere non si conosce più né s’intende appena il nome. E credo che ogni uomo da bene, all’aprire o leggere un libro moderno, senta pietà di quelle carte e di quelle forme di caratteri così terse, adoperate a rappresentar parole sì orride, e pensieri la più parte sì scioperati”; “ Dice il La Bruyere una cosa verissima; che è più facile ad un libro mediocre di acquistar grido per virtù di una riputazione già ottenuta dall’autore, che ad un autore di venire in riputazione per mezzo di un libro eccellente. A questo si può soggiungere, che la via forse più diritta di acquistar fama, è di affermare con sicurezza e pertinacia, e in quanti più modi è possibile, di averla acquistata”. Quindi a ben osservare, per dirla in qualche maniera come Giuseppe Tomasi di Lampedusa, circa la bontà dei libri, tutto cambia, esteriormente, per rimanere, sostanzialmente, così come era. Importante diventa allora il corretto sostegno degli artisti da parte della collettività. La tutela dell’arte, non solo come fruizione, ma come produzione, è sicuramente una delle grandi sfide evolutive per la società del domani. Forse il dissidio tra arte e commercio potrà definitivamente risolversi quando il commercio annullerà se stesso e cioè l’affinamento del pubblico sarà tale che il mercato saprà chiedere solo arte che non sia di mercato, quanto dire il giorno di una educazione artistica sana, accurata e completa di ogni cittadino. Fortunatamente non va dimenticato anche che la tecnologia democratizza le opportunità ed è oggi sicuramente più facile, materialmente, come realizzare libri, così registrare esecuzioni, praticare l’arte fotografica ocinematografica, almeno in privato, e divulgarne gli esiti, per cui una strada che pare già più possibile da percorrere oggi è una pratica dell’arte che non sia necessariamente professionale, come nella seconda metà dell’Ottocento fu per quel sodalizio di musicisti russi formato da Milij Balakirev, Aleksandr Borodin, César Cui, Modesto Musorgskij e Nikolaj Rimskij-Korsakov, chi medico e chimico, chi ingegnere, chi ufficiale di Marina, che prese nome di “Gruppo dei Cinque”. È possibile che molti oggi già facciano così. Chissà quanto bene. I loro risultati più significativi, con ogni probabilità, saranno noti solo quando potranno essere scoperti una volta estinte tante dannose pressioni mediali e commerciali che, come forte lampada accesa che tutto intorno mette in ombra, attualmente non ce li fanno facilmente vedere.
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