La casa comincia con un tavolo
 







di Tommaso De Berlanga




Il problema della casa si presenta in carne e ossa fuori dalla sala dove si svolge il primo incontro del Tavolo di concertazione sulle politiche abitative. Curiosamente, tra tutti i soggetti invitati (ministri di infrastrutture, solidarietà sociale, economia, politiche giovanili, per la famiglia; presidenti di regioni, province autonome, Anci, Federcasa, sindacati e costruttori) mancavano proprio i rappresentanti di inquilini, sfrattati, senza casa, occupanti e chi più ne sa di cosa voglia dire vivere senza un tetto sicuro sulla testa.
Così oltre 2.000 persone hanno raccolto l'invito delle associazioni storiche romane (Asia-RdB, Coordinamento di lotta, Sunia, Action, Comitato obiettivo casa, ecc) «assediando» pacificamente l'Istituto San Michele a Ripa, in piena Trastevere. Il ministro Paolo Ferrero ha quindi accolto una delegazione di manifestanti, a nome del governo, per ascoltare le loro proposte e invitarli, in risposta, a partecipare a «untavolo parallelo» da cui criticare e in qualche modo «controllare» i lavori della sede istituzionale.
Ma i problemi fondamentali, apparsi subito chiari, sono due: risorse scarse e assenza di una visione di politiche abitative che risponda alla dimensione del malessere sociale. Lo stesso Ferrero ha ammesso che «servirebbero 10 miliardi», ma che bisognerà accontentarsi di molto meno («briciole», ha riassunto Angelo Fascetti dell'Asia). Soprattutto, all'interno del governo prevale un'impostazione assolutamente «mercatista», che recalcitra di fronte all'intervento pubblico per avviare una politica della casa diversa dall'attuale. Il massimo che si riesce a concepire è infatti il «recupero degli alloggi pubblici sfitti (pochissimi, ndr), autorizzazione ai comuni di acquisire alloggi da mettere sul mercato, verificare il complesso delle proprietà del Demanio, utilizzare gli immobili sequestrati alla mafia, rendere disponibili alloggi degli enti previdenziali». Nessuna intenzione invece dimettere in discussione la legge 431 (quella che abolì l'equo canone, scatenando la corsa verso il cielo degli affitti), né di rimpinguare un patrimonio pubblico massacrato da dismissioni e cartolarizzazioni. Nessuna risposta nemmeno alle proposte del Sunia: «introdurre la detraibilità dell'affitto dal reddito», per creare un «conflitto di interessi tra locatario e affittuario», e la «tracciabilità del pagamento», con l'obbligo di effettuarlo per assegno o bonifico (si azzererebbe o quasi il fenomeno dell'affitto «in nero»).
«Servirebbe un milione di alloggi», spiegano i comitati di movimento. Meno dei contratti di locazione che scadranno entro quest'anno, mettendo altrettante famiglie di fronte all'alternativa tra consegnare la propria busta paga al padrone di casa oppure lanciarsi nel «mercato delle occupazioni». Probabile perciò una manifestazione nazionale a maggio.
Le politiche seguite negli ultimi 20 anni hanno infatti privilegiato l'acquisto privato sul libero mercato,creando una quota enorme di popolazione indebitata con i mutui. Per chi è rimasto in affitto, il canone può arrivare a incidere fino al 60-70% dello stipendio. Una ricerca del Cresme - condotta per conto di Legacoop e Ancab - pubblicata proprio ieri, dimostra l'entità del fenomeno e il livello abnorme di redditività dell'investimento immobiliare in alcune aree (in certe città un nuovo immobile può rendere fino al 290%), visto che i costi di costruzione sono invece relativamente omogenei su tutto il territorio nazionale. Delude, in questo caso, la proposta: da ricercare «facendo i conti con il mercato», ma chiedendo alle amministrazioni locali di «far reinvestire» parte di questa redditività in aree e immobili da destinare all'emergenza abitativa.da Il Manifesto









   
 



 
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