La vita, la poesia, le mafie, la crisi tutte le parole di "Quello che (non) ho"
Roberto Saviano
Le parole richiedono impegno. Tutti ne hanno tante in tasca e sembra che facciano fatica a sceglierne solo una. Poi però la trovano e scopri che dietro a "pomodoro" c’è la storia di come può cambiare una vita. Che "sempre" ti viene voglia di usarla quando di tempo, invece, te ne resta poco. Che "impossibile" racconta tutto quello che si può fare. Impossibile è quello che tentano Fabio Fazio e Roberto Saviano, coraggiosi o incoscienti nel pensare a una televisione senza immagine, un programma che sarebbe magnifico alla radio, con un parterre di ospiti che chiunque altro li avrebbe accolti con l’orchestra diretta dal maestro Vessicchio e un sacco di luci. Invece, nella stanzona delle Officine Grandi Riparazioni di Torino dove un tempo si aggiustavano le locomotive, parte il treno di Quello che (non) ho, in direzione ostinata e contraria alle logiche della tv, solo tre stazioni per raccontare una storia, un’Italia, diversa e possibile. Primoappuntamento con il programma più atteso di questa fine della stagione tv. Gli altri due il 15 e il 16. Si ricrea la coppia di Vieniviaconme. Fazio fa un regalo alla sua generazione e si ricorda di Gianni Rodari, prende in prestito la sua Le parole per alzare il sipario perché se "abbiamo parole per comprare e per vendere, ci servono parole per pensare, per amare" mentre "parole per parlare non ne abbiamo più". A Saviano di parole gliene basta una per cominciare, entra in studio fra gli applausi e ricorda la parola pronunciata un anno e mezzo fa (su RaiTre) "che fece intervenire l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, era ’interloquire’, dissi che la ’ndrangheta cercava di interloquire con tutti i partiti, anche con la Lega, si arrabbiarono tutti, dissero che era inammissibile invece il tesoriere della Lega interloquiva, eccome". Scorrono le parole. Di "bacio" parla Lila Hazam Zanganeh, scrittrice iraniana in esilio. Pupi Avati tira fuori "sempre", Carlo Petrini s’èportato "terra", Ermanno Rea "impossibile", Massimo Gramellini "forza, la forza d’animo che accudisce i fragili e lenisce le ferite, la forza femmina". Yvan Sagnet, un ragazzo del Camerun che studia al Politecnico di Torino, ha con sé "pomodoro": cosa significa per lui che li ha raccolti. Erri De Luca ha "il ponte". "Finanza" la spiega Paolo Rossi. Pierfrancesco Favino legge una lettera alla bambina che sta per nascere, parole che tutte insieme compongono la "vita". Fazio alla stessa bambina elenca le parole che le augura di non pronunciare mai, "burlesque" e "faccendiere", "briffare" e "performante", "Padania", "reality", "talent", "movida", "personal shopper", "escort", "morsa del gelo", "soluzione simpatica", "cachemirino", "attimino", "futon". Le parole che hanno segnato certa Italia degli ultimi vent’anni. E’ un andirivieni di presente e memoria. Nel luogo dell’archeologia industriale arriva la notizia che su Twitter, a pochi minuti dall’inizio del programma, l’hashtagufficiale #qchenonho è nei top trend mondiali. La musica è quella del passato e di sempre, Elisa al piano canta Father and Son di Cat Stevens poi torni all’oggi con Saviano che parla degli imprenditori che si suicidano perché non reggono la crisi, e delle mafie che della crisi approfittano per "mangiarsi le imprese". Gli strumenti non mancano, ci sono le società finanziarie e le aste fallimentari e per un’azienda che scoppia c’è liquidità pronta a riscattarla. E ci sono gli imprenditori che a quella liquidità criminale si affidano e sbagliano ma solo perché non sentono la presenza di uno Stato, e quant’è attuale l’arringa che Piero Calamandrei pronunciò nel 1954 in difesa di Danilo Dolci e che Saviano ricorda, "il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi". Ci sono le tragedie dell’attualità, la testimonianzadella figlia di un imprenditore suicida (la legge l’attrice Francesca Inaudi) e le tragedie dimenticate. Beslan, la strage di bambini che non tutti rammentano, era il 2004, una scuola in una cittadina dell’Ossezia del Nord fino ad allora, per molti, solo un’espressione geografica. La ricorda lo scrittore, in studio c’è pure la madre di uno di quei ragazzini ammazzati dal commando di separatisti ceceni. Oggi è la presidente dell’Associazione madri di Beslan. E chiede ancora giustizia. La madre orfana di figlio, una delle donne vere, mica quelle rappresentate di cui ride Luciana Littizzetto fra mutande brasiliane e pubblicità che propongono modelli improbabili. Le donne vere che la forza, se non ce l’hanno, se la devono dare. "Ci sono uomini che per farci credere che ci vogliono bene ci riempiono di botte. Dall’inizio dell’anno - ricorda l’attrice - 55 donne sono state uccise dai loro uomini, perché le consideravano loro proprietà, non ne tolleravano la loro autonomia. Ma la colpa èanche nostra, quando ci innamoriamo non capiamo più nulla. Ma un uomo che ti mena è uno stronzo e basta e dobbiamo capirlo dalla prima sberla - dice Littizzetto - gli uomini maneschi continueremo ad amarli ma questo non li cambierà, denunciamoli, e se abbiamo una figlia che ha un fidanzato del genere dobbiamo ’impacchettarlà e portarla a casa. Lei si incazzerà, ma noi impediamole di vederlo". Ci sono cose che se ti mancano è meglio così. Altre che se ti mancano non le puoi ritrovare ma qualcosa rimane. "Quello che non ho è l’idiozia di credere che sparare alle gambe a qualcuno possa portare giustizia", dice Saviano nell’elenco che chiude il programma, "quello che non ho è la pazienza", replica Fazio. "Quello che non ho è la leggerezza", ammette lo scrittore, "quello che non abbiamo più è Antonio Tabucchi", ricorda Fazio. "Quello che non ho più è Peppe D’Avanzo", lamenta Saviano ricordando il giornalista di Repubblica scomparso la scorsa estate. Ma poi Fazio ricorda che ci sonorimasti "i libri di Tabucchi". E Saviano dice di aver imparato da D’Avanzo che "i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere". "Quello che ho, è un Presidente della Repubblica di cui sono orgoglioso": a Fazio l’ultima parola.A. Vitali-repubblica